Principali dubbi ed errori della lingua italiana | Regole grammaticali in italiano

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    Se un uomo non ha scoperto qualcosa per cui è disposto a morire non è degno di vivere.


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    Errori grammaticali, lettera A
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    a preposizione, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante: esempio a-lato, allato; a-canto, accanto; a-torno, attorno; a-fondo, affondo; a-dosso, addosso; a-posizione, apposizione, ecc.
    Nelle locuzioni avverbiali a mano a mano, a poco a poco, a passo a passo, a corpo a corpo, a spalla a spalla, a tre a tre, a goccia a goccia e simili, la preposizione a deve essere ripetuta per ogni parola; non è raro, però, incontrare locuzioni con una sola a, secondo l'uso francese: gomito a gomito, faccia a faccia, poco a poco, uno a uno, mano a mano, ecc.
    Altre espressioni entrate ormai nell'uso sono: spaghetti al sugo, uova al burro, bistecca ai ferri o alla gratella, gelato alla crema, che rientrano nel complemento di mezzo; perciò si dovrebbe dire più correttamente: spaghetti col sugo, uova col burro, bistecca sui ferri o sulla gratella, gelato di crema. Così sono entrate nell'uso le espressioni: alla francese, all'americana, all'antica (sottinteso: maniera), al trotto, al galoppo (che indicano appunto un modo di correre dei cavalli); tuttavia, chi vuole essere assolutamente corretto dirà: di trotto, di galoppo.
    Rientrano nel complemento di tempo le espressioni invalse nell'uso: una volta al giorno, al tramonto, a notte alta, alla mattina, alla sera. Altri modi errati sono: a mezzo di (è più corretto dire: per mezzo di), a nome di (in nome di), a nome Giulio (di nome Giulio), insieme a (insieme con).
    Francesismo da evitare è l'uso di a con l'infinito nelle espressioni: a riportare, a registrare, a spedire. In tutti questi casi si dovrebbe usare la preposizione da (da riportare, da registrare, da spedire).

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    abbino errore comune in certi dialetti; si deve dire: abbiano.

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    accento nella nostra lingua l'accento si segna soltanto nei seguenti casi:
    Nelle parole polisillabe:
    a) quando l'accento cade sull'ultima sillaba (parole tronche): ad esempio, virtù;
    b) quando varia il significato della parola, secondo la sillaba su cui cade l'accento: esempio àncora, ancóra; bàlia, balìa;
    c) quando varia il significato della parola secondo che l'accento sia grave o acuto: ad esempio, fóro (buco), fòro (piazza); ésca (nutrimento), èsca (imperativo del verbo uscire), ecc.

    Nelle parole monosillabe:
    a) quando terminano in dittongo e potrebbero sembrare due sillabe: ciò, può, già, più, ecc. Però qui, qua non si accentano mai, poiché la u è parte integrale del suono della q;
    b) quando si debbano distinguere da altri: ché (perché) diverso da che congiunzione; dà (verbo) diverso da da preposizione; là (avverbio) da la articolo; ecc.

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    acre ha il superlativo irregolare: acerrimo. La forma acrissimo non è più usata.

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    adempíre (o adémpiere meno comune) è verbo transitivo e quindi è errato usarlo intransitivamente, con la preposizione a: adempire ai propri doveri; si dovrebbe dire adempire i propri doveri.

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    aereo prefisso adoperato per comporre parole attinenti all'aeronautica. Nell'uso corrente è spesso sostituito da aero: aeroporto invece di aereoporto, aeroplano invece di aereoplano; mai però: areoplano, che è un errore non raro.

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    affatto significa interamente, del tutto; è quindi errato l'uso che alcuni fanno di questo avverbio in senso negativo, quando non sia preceduto da negazione. Esatto è dire: non mi è affatto simpatico; ma questa stessa frase, senza la negazione, mi è affatto simpatico, significa proprio il contrario: mi è del tutto simpatico.

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    affinché e acciocché sono congiunzioni che introducono proposizioni finali. Reggono sempre il congiuntivo: te lo dico affinché tu possa provvedere.

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    affittare è limitato ai fondi rustici. Da questo verbo derivano affittavolo, fittavolo, ma esso si usa anche per case, botteghe, ecc., per le quali sarebbe più appropriato utilizzare appigionare, locare, dare a pigione. In ogni modo non significa mai prendere in affitto; quindi, è un grossolano (e frequentissimo) errore dire: io ho affittato un appartamento, per dire che io l'ho preso in affitto.
    Tuttavia è nell'uso commerciale la locuzione "affittasi, affittansi". Attenzione: un errore molto comune è quello di usare il verbo al singolare quando il soggetto è plurale. Ad esempio, è errato scrivere "Affittasi case per l'estate"; la forma corretta è "Affittansi case per l'estate".

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    aggettivo concorda in genere e numero con il nome a cui si riferisce. Però, quando i nomi sono di genere diverso, l'aggettivo va al maschile se si tratta di nomi di persona: Marco e Luisa sono bravi. Se si tratta di cose o nomi astratti, allora si deve cercare di disporre l'aggettivo in modo che concordi col nome più vicino: il giglio e la rosa odorosa, prati e selve vastissime, vastissimi prati e selve; la virtù e il gènio italiano, oppure si può adoperare il plurale maschile (ad esempio, lo sguardo e la fàccia stravolti, Manzoni).
    Se l'aggettivo forma parte del verbo, esso si dovrà mettere al maschile plurale quando è riferito a nomi di diverso genere, anche se inanimati: il giglio e la rosa sono odorosi.
    Riguardo alla collocazione dell'aggettivo, è bene tener presente alcune osservazioni di carattere generale.
    L'aggettivo si antepone al nome quando ha senso generico o esprime qualità essenziale del nome stesso: il biondo Tevere, gli ottimi vini, le ricche vesti.
    Si pospone al nome quando, invece, indica qualità che lo distingua da altri nomi dello stesso genere: vino spumante, tavola rotonda; o quando l'aggettivo sia accompagnato da complementi: uomo illustre per molti meriti.
    Taluni aggettivi assumono sfumature di significato diverso secondo la posizione in cui sono collocati. Si noti: un uomo povero e un povero uomo; un bravo figliolo e un figliolo bravo; un gentiluomo e un uomo gentile; un uomo galante e un galantuomo.

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    ala ha il plurale irregolare: le ali.

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    all'infuori di modo erroneo di fuori di. E' sconsigliato l'uso di all'infuori di, al posto di : fuorché, eccetto, ad eccezione, ecc.

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    ambedue entrambi, ambo rifiutano l'articolo, ma lo vogliono sempre dinanzi al nome a cui si riferiscono: ambedue i fratelli, entrambe le donne, ambo le mani.

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    ampio ha il superlativo assoluto irregolare: amplissimo.

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    andare verbo irregolare della prima coniugazione. Attenzione a non cadere nell'errore di dire andiedi, andetti (riprendendo le forme del verbo "dare") invece di andai. Si usa con il gerundio di altro verbo per indicare azione continuata: andava dicendo sciocchezze. La costruzione del verbo andare con a e l'infinito di un altro verbo per dire che si sta per compiere l'azione indicata da esso, è un francesismo da evitare: si va ad incominciare (più correttamente si dovrebbe dire: si sta per cominciare).
    Si può invece costruire il verbo andare con a e l'infinito quando si vuole esprimere una proposizione finale: allora si va a (per) vedere nel tal libro.

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    ante (anti) è una preposizione che, usata come prefisso per comporre parole, richiede dopo di sé la consonante semplice: anteporre, anteguerra, antenato.
    Il prefisso anti in alcuni casi significa precedenza: anticamera, antidiluviano; più spesso, invece, indica opposizione, avversione: antipapa, antipodo, antincendio, antiaereo.

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    apostrofo è il segno dell'elisione o dell'apocope; ma mai del troncamento. Quindi è un errore apostrofare un dinanzi a nome maschile cominciante con vocale: un uomo, un animale, perché in questo caso si tratta di troncamento e non di elisione. Si dovranno apostrofare, invece, un'anima, un'aquila e simili, perché il femminile una si elide e non si potrebbe troncare, appunto perché femminile in a.

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    appena è un avverbio di tempo per indicare azione già compiuta e quindi non va mai usato con un futuro semplice; potrà essere usato con un futuro anteriore: appena avrai fatto questo, ecc.; ma non nel caso di appena farai questo, ecc.

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    articolo si omette davanti ai nomi propri di persona (Carlo è buono); però, nell'uso popolare e familiare, spesso i nomi femminili si fanno precedere dall'articolo (la Lucia, la Giuditta). Va ricordato che l'articolo si può omettere davanti ai nomi di parentela preceduti da un aggettivo possessivo che non sia loro (mio padre, mia madre), a meno che il nome non sia plurale (i miei fratelli) o preceduto da un aggettivo qualificativo (la mia vecchia nonna), o che il possessivo segua il nome (il padre mio. Col nome mamma o babbo unito al possessivo, si deve mettere sempre l'articolo: la mia mamma, il mio babbo.
    Col superlativo relativo è un grave errore ripetere l'articolo quando il nome a cui l'aggettivo si riferisce precede l'aggettivo e abbia già l'articolo: la nazione più gloriosa (e non la nazione la più gloriosa); tuttavia, l'articolo si deve ripetere quando davanti al nome c'è l'articolo indeterminativo (un'alunna la più brava della classe) oppure quando l'aggettivo, anziché essere unito al nome come attributo, svolge la funzione di predicato (il tuo bambino è il più bello del palazzo).

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    articolo partitivo è usato erroneamente con cose che, essendo solamente due, quando sono usate al plurale non possono essere più prese in parte, ma sono indicate necessariamente tutte: quella signora ha degli occhi bellissimi. Si deve dire semplicemente ha occhi bellissimi. Se ne avesse più di due, si potrebbe usare il partitivo; ma, avendone due soli, quando si dice ha occhi bellissimi, li si indica già tutt'e due.

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    aspro ha il superlativo assoluto irregolare: asperrimo.

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    assisa (tribunale) fa al plurale assise e non assisi (che è la città di San Francesco).

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    ausiliare i verbi transitivi attivi vogliono sempre l'ausiliare avere. L'ausiliare essere si usa per tutti i tempi della forma passiva (io sono abbandonato), per i tempi composti della forma riflessiva (noi ci siamo aiutati) o pronominale (tu ti duoli). Si usa altresì con i verbi impersonali (era nevicato, si è combattuto) e nei tempi composti della forma attiva di numerosi verbi intransitivi (siamo venuti, si è recato dalla mamma).
    Con i verbi indicanti fenomeni atmosferici si trova anche l'ausiliare avere, specie per indicare un'azione continuata (Aveva diluviato tutta la notte; Ha nevicato tutto il giorno).
    I verbi servili (volere, potere, dovere e sapere nel senso di potere) hanno sempre l'ausiliare avere quando siano usati in modo assoluto: io ho voluto, potuto, dovuto; quando invece siano seguiti da un verbo all'infinito, prendono l'ausiliare essere o avere, secondo che voglia l'uno o l'altro il verbo che li accompagna: sono voluto andare; ho voluto mangiare.

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    automobile (abbreviato spesso in auto, alla maniera francese) è femminile, essendo un aggettivo sostantivato, poiché viene sottinteso il nome carrozza, vettura. Quindi si deve dire un'automobile grigia, spaziosa, ecc.
    "Automobile è femmina!" disse D'Annunzio, a cui fu richiesto il genere della parola.





    Errori grammaticali, lettera B
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    babbo quando è unito a un aggettivo possessivo vuole sempre l'articolo: il mio babbo; è un errore dire mio babbo. Si potrà invece dire mio padre.

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    barabba resta invariato al plurale: i barabba.

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    barbarie nome femminile che resta invariato nel plurale: le barbarie.

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    belga al plurale fa irregolarmente belgi; ma il femminile è regolare, belghe.

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    bello si elide dinanzi a vocale e si tronca davanti a consonante, purché non sia s impura, z, gn, ps (oppure l'aggettivo non sia posposto al nome): bell'azione (però anche bella azione), bell'animale; bel consiglio, bel libro. Negli altri casi va detto: bello gnomo, bella psicologa, bello scopo, libro bello.
    Al plurale: begli davanti a vocale, s impura, z, gn, ps; bei davanti alle altre consonanti; belli, quando è posposto al nome ed è usato come predicato nominale. Ad esempio, begli occhi, begli scherzi, begli zaini; bei cavalli, bei sandali; giovani belli; tutti gli sport sono belli. Al femminile: bella, belle.

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    benché congiunzione che introduce una proposizione concessiva. Preferisce il verbo al congiuntivo, salvo rare eccezioni in poesia: benché tu sia stanco, ora devi partire; dimagriva sempre, benché mangiasse molto. Un esempio di eccezione poetica: "Benché la gente ciò non sa né crede" (Petrarca).

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    benedivo forma errata di benedicevo, perché il verbo è un composto di dire che fa dicevo nell'imperfetto indicativo. E così è anche erroneo benedissi per benedicessi, nell'imperfetto del congiuntivo. Benedissi è voce del passato remoto.

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    benefico ha il superlativo assoluto irregolare: beneficentissimo.

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    bisognare è un verbo impersonale. Quando si costruisce con l'infinito, rifiuta ogni preposizione: bisogna lavorare, bisogna partire. E' pure costruito con la particella pronominale che esprime la persona a cui bisogna qualcosa, mentre ciò di cui si ha bisogno è rappresentato dal soggetto: ti bisognava il nostro aiuto; mi bisognano mille euro.

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    boia è uno dei pochi nomi maschili terminanti in a. Resta invariato al plurale: i boia.



    Errori grammaticali, lettera C
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    camera è soltanto la stanza da letto. E' quindi errato dire la camera da pranzo, si dirà la sala da pranzo. Ed è anche sconsigliabile, perché pleonastico, dire la camera da letto.
    Invece di "alloggio di sette camere", si dovrebbe dire "alloggio di sette vani, locali, stanze".

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    canocchiale è la forma scorretta di cannocchiale.

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    celebre ha il superlativo assoluto irregolare: celeberrimo.

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    celibe al femminile fa nubile.

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    che pronome relativo, che può essere usato solo come soggetto o come complemento oggetto: Il libro che mi hai dato (complemento oggetto); Il ragazzo che parla (soggetto). Per gli altri complementi si dovrebbero usare le forme del pronome relativo: il quale, la quale, cui, i quali, le quali. Tuttavia, si può usare ancora che in funzione di altro complemento:
    a) per indicare circostanza temporale: nell'anno che (= in cui) nascesti;
    b) nelle comparazioni, quando il verbo sia sottinteso: tu soffri dello stesso male, che (di cui soffro) io;
    c) quando si riferisce ad un'intera frase con valore neutro e significa la qual cosa; nel qual caso prende di solito l'articolo: tu non studi, del che io mi dolgo; ti sei messo a lavorare: il che è giusto.

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    che congiunzione, da non confondersi col pronome relativo. Dopo il comparativo si può usare che o la preposizione di. (Vedere COMPARATIVO).

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    che bello! modo errato dialettale dell'Alta Italia. Si deve dire: Che cosa bella! o Come è bello! Il che esclamativo è un aggettivo e perciò non si può usare senza un nome.

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    chiunque è pronome indefinito ma anche relativo; perciò è un errore usarlo in modo assoluto, senza cioè che stia a congiungere due proposizioni: lo dirò a chiunque; in questo caso, bisogna dire lo dirò a chicchessia. Invece esso è usato correttamente nella frase: lo dirò a chiunque vorrà sentirmi.

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    ci è particella pronominale che significa a noi; qualche rara volta, nel linguaggio familiare, può anche significare con lui, da lui: non ci discorro, con lui; non ci vado, da lui. Costituisce un grave errore usarlo, come molti fanno, nel significato di a lui, a lei, a loro: ci dico invece di gli dico, le dico, dico loro.

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    cia i nomi femminili terminanti al singolare in cia (senza l'accento sull' i) hanno il plurale in cie quando la c è preceduta da vocale (audacia, audacie; fiducia, fiducie; socia, socie); in ce, quando la c è preceduta da consonante (faccia, facce; guancia, guance; quercia, querce).

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    codesto va usato solo quando si riferisca veramente a persona o cosa vicina a chi ascolta, cioè alla seconda persona. In Toscana di solito si è precisi nell'uso di codesto.

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    cognomi restano invariati nel plurale: i Savoia, i Colonna, gli Orsini. Salvo che negli elenchi in ordine alfabetico, si pospongono sempre al nome: Vittorio Alfieri, Alessandro Manzoni, Giovanni Verga.
    I cognomi di persone illustri vogliono, di regola, l'articolo: il Petrarca, il Manzoni. Ma nell'uso corrente possono non essere preceduti dall'articolo: Dante, Boccaccio, Petrarca; le musiche di Verdi; gli scritti di Mazzini. I cognomi vogliono sempre l'articolo quando si riferiscono a donne: Oggi ho visto la Rossi; Ha telefonato la Bianchi.

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    collo e similmente colla, cogli, colle sono forme errate di preposizioni articolate, poiché la preposizione con si fonde solo con gli articoli il, i, formando le voci col, coi; con gli altri articoli non si fonde bene e, pertanto, è più corretto scrivere separatamente con lo, con la, con gli, con le.

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    come , se il secondo termine di paragone è un pronome, va usato nelle forme del complemento oggetto (me, te, lui, lei, loro) : Sei bravo come me. Seguito da se e il congiuntivo, equivale a quasi che: Parla come se avesse vinto.

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    comparativo nei comparativi di maggioranza o di minoranza, in relazione a più o a meno si deve usare:
    a) la preposizione di, quando segue un nome: Giulio è più buono di Carlo; Carlo è meno buono di Giulio;
    b) la congiunzione che in tutti gli altri casi: Egli è più generoso che cattivo; è un affare meno utile che rischioso.

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    con dopo il con deve essere evitato l'articolo partitivo: ci vado con amici, con alcuni o con certi amici, e non con degli amici, che è una espressione poco gradita ai grammatici.

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    concordanze il predicato verbale concorda col soggetto nel numero e nella persona (io canto, noi cantiamo). Nei tempi composti il participio concorda anche nel genere se l'ausiliare è essere (Maria si è alzata) e non concorda né in genere né in numero se l'ausiliare è avere (le rose hanno profumato la stanza).
    Se una proposizione ha più soggetti, alcuni dei quali espressi dai pronomi personali, il predicato verbale deve avere la prima persona plurale se c'è un soggetto di prima persona, la seconda plurale se c'è un soggetto di seconda persona (tu ed io andremo a casa; io e lui partiremo domani; tu e lui studiate).
    Anche se la forma può suscitare perplessità, nella Grammatica di Fernando Palazzi si legge che i verbi impersonali possono restare al singolare sebbene siano seguiti da un soggetto al plurale (c'è degli uomini che vivono a lungo; or fa dieci anni).
    Il predicato resta al singolare, sebbene i soggetti siano più, quando questi siano considerati separati dalle congiunzioni disgiuntive o, né (né la minaccia né la lusinga valse a fermarlo), oppure quando i due soggetti siano uniti dalla preposizione con (egli coi suoi amici venne a trovarci).
    Quando il soggetto è un nome collettivo seguito dal complemento di specificazione, il predicato può essere messo al plurale e concordare col complemento (un'intera squadra di atleti erano partiti per le gare).
    Il participio dei verbi composti con l'ausiliare avere concorda col complemento oggetto quando questo è preposto al verbo e non concorda se è posposto (egli ha scoperto molte cose; molte cose ha scoperte).

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    contra è un prefisso che, adoperato per la formazione di parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale nella parola a cui si premette, purché non sia s impura, z, x, gn, ps : contraddire, contrapporre.

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    contravvenzione elevare una contravvenzione è espressione poco corretta; meglio: intimare, contestare una contravvenzione.

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    contro preposizione impropria, che regge il termine direttamente o per mezzo delle preposizioni a o di (quest'ultima è d'obbligo con i pronomi personali): contro il muro, contro al muro; contro di te, contro di noi.

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    convenire nel senso di mettersi d'accordo vuole l'ausiliare avere: abbiamo convenuto che questa è l'unica via da seguire.
    Nel senso di giovare, bisognare, vuole l'ausiliare essere e rifiuta la preposizione di, quando si costruisca con un infinito: ci è convenuto partire subito.

    * * *

    correre e tutti gli altri verbi di moto vogliono l'ausiliare avere, quando l'azione è considerata in sé; vogliono invece l'ausiliare essere quando l'azione è considerata in rapporto ad una mèta: ho corso a lungo; sono corso a Roma, dal medico.

    * * *

    cosa nelle interrogazioni dirette o indirette si usa unito al che: Che cosa dici?, Voleva sapere che cosa io facessi di bello. Ma è entrata nell'uso anche la forma abbreviata: Cosa dici?, Voleva sapere cosa facessi di bello.

    * * *

    cui pronome relativo usato come complemento, sempre preceduto da preposizione. Non può essere adoperato né come soggetto, né come complemento oggetto. Perciò può essere sostituito dalle forme composte del pronome relativo (il quale, la quale, i quali, ecc.), ma mai da che: Ho visto lo spettacolo di cui eri entusiasta; Mi hai indicato l'uomo con cui dovrò parlare; Ecco la persona a cui (o semplicemente cui) alludevo.
    Deve fare a meno della preposizione di, quando sia frapposto tra l'articolo e il nome cui l'articolo si riferisce: il cui padre, la cui madre, i cui fratelli; mentre sarebbe un errore dire il di cui padre, la di cui madre, i di cui fratelli.
    Non si può usare in senso neutro, cioè sottintendendo la parola cosa e riferendolo a un concetto o ad un'intera proposizione; pertanto è errore dire: siete stati buoni, per cui vi offrirò un gelato; più correttamente si dovrebbe dire e perciò vi offrirò un gelato.



    Errori grammaticali, lettera D
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    da preposizione usata irregolarmente al posto della preposizione di nelle frasi festa da ballo, messa da requiem, biglietto da visita, coperto dalla neve; tuttavia, tali espressioni sono ormai entrate nell'uso e sono comunemente accettate.
    Da non si apostrofa mai, tranne che in alcune locuzioni avverbiali, come d'altro lato, d'altronde, d'ora in poi.
    Quando questa preposizione è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale della parola a cui si premette: dabbene, daccapo, daccanto, dapprima.

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    dare verbo irregolare. E' erroneo dire dassi, dasti, dammo, daste, invece delle forme corrette dessi, desti, demmo, deste. Poco corretto è dire dar dentro a fare una cosa, per mettercisi di proposito; peggio è dire dar fuori, per scattare, impazzire.

    * * *

    datare non va usato intransitivamente per indicare "cominciare da un tempo determinato": a datare da oggi. Invece, si dirà invece: incominciando da oggi, a partire da oggi.

    * * *

    difensore fa al femminile difenditrice.

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    dinanzi è erroneo scrivere (come molti fanno) dinnanzi, poiché la voce è composta dalla preposizione di che non richiede raddoppiamento e da nanzi.

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    dio ha il plurale irregolare Dei. E irregolarmente al plurale vuole l'articolo gli invece di i: la forma corretta è gli Dei.

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    dipendenza (in) è una espressione scorretta dire: in dipendenza di, invece di in conseguenza di: In dipendenza di ciò (più correttamente si dovrebbe dire "in conseguenza di ciò") sei stato esonerato dal servizio.

    * * *

    discorso indiretto il passaggio dal discorso diretto a quello indiretto implica un cambiamento nei verbi delle proposizioni dipendenti, secondo le seguenti regole:
    1) l'indicativo presente del discorso diretto diventa indicativo imperfetto nel discorso indiretto: Carlo disse: "Vado al cinema". Carlo disse che andava al cinema;
    2) un tempo passato del discorso diretto diventa trapassato prossimo dell'indicativo nel discorso indiretto: Mio padre diceva: "Ho sempre rispettato i miei superiori". Mio padre diceva che aveva sempre rispettato i suoi superiori;
    3) l'imperativo o il congiuntivo esortativo del discorso diretto diventano congiuntivo imperfetto o infinito presente nel discorso indiretto: Il maestro ci ordinò: "Studiate e meditate". Il maestro ordinò che studiassimo e meditassimo, oppure: Il maestro ordinò di studiare e di meditare;
    4) il futuro del discorso diretto diventa condizionale passato nel discorso indiretto: Lucio annunziò: "Partirò domani". Lucio annunziò che sarebbe partito domani.
    Le altre proposizioni si regolano come nel discorso diretto.

    * * *

    disegnamo voce erronea per disegniamo, poiché ignora la corretta desinenza "iamo" richiesta dai verbi della prima coniugazione (prima persona plurale).

    * * *

    dittongo mobile sono chiamati dittonghi mobili uo, ie perché, quando su di essi non cade l'accento, si semplificano in o ed e. Quindi si dovrebbe scrivere: buòno, giuòco, sièdo, piède, mièle e bonissimo, giocava, sedeva, pedestre, pedata, melato.
    Le sole eccezioni sono rappresentate dai verbi vuotare e nuotare che conservano il dittongo anche nelle voci in cui non cade l'accento, per distinguerle dalle voci simili dei verbi votare, notare; nonché dai verbi mietere e presiedere: nuotava, vuotava, mieteva, presiedeva.

    * * *

    dovere quando è in funzione di verbo servile, si coniuga con l'ausiliare del verbo che accompagna: E' dovuto partire; Era dovuto andare; Ho dovuto bere.
    Con i verbi riflessivi sono ammesse due costruzioni: Ho dovuto pentirmi, oppure: Mi son dovuto pentire.

    * * *

    dovunque è un avverbio relativo ed è pertanto erroneo usarlo in frasi non relative, come un semplice avverbio locale. Si dovrà dire: dovunque tu sia, saprò trovarti; l'ho cercato dappertutto e non dovunque.





    Errori grammaticali, lettera E
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    ebbimo è un errore; si deve dire avemmo.

    * * *

    ebbro è la forma corretta di ebro (sono in molti a scriverlo erroneamente). Il verbo, però, è inebriare e non inebbriare.

    * * *

    eccesso è poco corretta la locuzione all'eccesso. Meglio usare gli avverbi: eccessivamente, soverchiamente, troppo: E' troppo permaloso (non si dovrebbe dire "permaloso all'eccesso").

    * * *

    eco è nome usato al singolare, al maschile e al femminile; ma è sempre maschile al plurale: gli echi.

    * * *

    egli ella, lui, lei, loro vanno usati solo riferendoli a persona; per animale o cosa si devono usare esso, essa, essi, esse.

    * * *

    esclusione è erroneo l'uso della locuzione ad esclusione, invece di escludendo, eccettuato, salvo: Verrete tutti, eccetto Giorgio (non si dovrebbe dire "ad esclusione di Giorgio").

    * * *

    essere il costrutto con il verbo essere al principio della frase è un francesismo da evitare se possibile: è a te che devo parlare; è con sommo piacer che vi comunico la buona notizia; è per questo che sono uscito tardi. Più correttamente (e italianamente) si dovrebbe dire: a te devo parlare; con sommo piacere vi comunico la buona notizia; per questo sono uscito tardi.



    Errori grammaticali, lettera F
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    fàccino forma dialettale errata usata al posto di facciano.

    * * *

    fallire nel senso di sbagliare, non corrispondere, vuole l'ausiliare avere; negli altri sensi, l'ausiliare essere: ha fallito alla nostra attesa; sono falliti altri commercianti.

    * * *

    famigliare e così pure famigliarmente, famigliarità, famigliarizzare, sono tutte forme scorrette, al posto delle voci familiare, familiarmente, familiarità, familiarizzare.

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    fare è verbo irregolare della seconda coniugazione, da un supposto infinito regolare facere.
    Esso è usato erroneamente al posto di dire : Lei mi fa (correttamente: dice): "Quando parti"?. Non voglio far nomi; la forma corretta, invece, è: dir nomi.
    Invece di dare : fammi un bacio; si deve scrivere: dammi un bacio.
    In luogo di prendere : ha fatto la febbre, il morbillo, ecc. La forma corretta, invece, è: ha preso la febbre, ecc., oppure: è stato malato di morbillo.
    Al posto di conseguire, ottenere: egli ha fatto un'eredità; più correttamente si dovrà dire: egli ha conseguito un'eredità.

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    figliale è la forma errata di filiale. Analogamente, si dirà: filialmente, filiazione e non "figlialmente", "figliazione".
    Filiale, in gergo commerciale, si usa nel senso di casa succursale, dipendente. Ma è un uso poco corretto: la filiale (succursale) di Bologna della Banca d'Italia.

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    finire quando regge un verbo all'infinito deve essere costruito con la preposizione con, non con per o a: Giulio a teatro ha finito con l'addormentarsi; Quel gran chiacchierone di Antonio ha finito col compromettersi.

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    fra è una preposizione semplice che, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante: frapporre, frammettere, frammezzare, frammischiare.

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    frutta ha due plurali: le frutta, le frutte che serve solo per i frutti degli alberi; in senso diverso, occorre usare le forme: il frutto, i frutti.



    Errori grammaticali, lettera G
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    galoppo è errore dire al galoppo (sebbene si tratti della forma più comunemente usata); più correttamente si dovrebbe dire di galoppo.

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    gia i nomi femminili che escono al singolare in gia (senza l'accento sull'i) fanno al plurale in ge se davanti a questa terminazione c'è una consonante; altrimenti, terminano in gie se c'è una vocale. Ecco gli esempi: scheggia, schegge; pioggia, piogge (primo caso); regia, regie; valigia, valigie (secondo caso).

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    giovare quando si costruisce con un verbo infinito dipendente rifiuta la preposizione: giova studiare.

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    gli significa solamente a lui; è un errore usarlo nel senso di a lei, a loro: Vidi Carla e gli domandai cosa facesse; Se vedrò i tuoi amici, gli porterò i tuoi saluti. Per quanto contrario alle buone regole grammaticali, questo uso del pronome gli anche per il femminile e per il plurale tende ad estendersi ed a diventare normale.
    Con lo, la, li, le, ne forma tutta una voce: glielo, gliela, glieli, gliele, gliene; e quando sia così unito si può usare anche riferito a nome femminile ed a nome plurale, per evitare costrutti complicati e poco armoniosi: incontrai Giorgia e gliene dissi di tutti i colori; ai tuoi fratelli gliela cantarono chiara.
    Gli si unisce poi come suffisso ai verbi: dirgli, fargli, parlargli.

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    giorno forma spesso un francesismo da evitare: al giorno d'oggi per significare oggigiorno. Altri modi scorretti: essere a giorno (essere informato); tenere a giorno (informare); moda del giorno (moda corrente).

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    goliardo è errata la forma: gogliardo. Analogamente, si deve dire goliardico e non "gogliardico"; goliardìa e non "gogliardìa".

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    grado è erroneo dire a buon grado o mal grado, invece di dire "per amore" o "per forza", voglia o non voglia, ad ogni costo.
    Malgrado usato nel senso di nonostante è corretto quando si tratti di persone: Maria uscì malgrado la proibizione di suo padre, ma non è bene dire: Maria, malgrado la pioggia, oppure a malgrado della pioggia uscì; più correttamente si deve dire: nonostante la pioggia.

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    gratis è errore dire "a gratis". Ecco, invece, la forma corretta: Sono andato a teatro gratis (non "a gratis"). Oppure si dovrebbe usare l'avverbio: gratuitamente.

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    grande si tronca in gran dinanzi a consonante che non sia s impura, z, x, gn, ps: un gran poeta. Dinanzi a vocale non si tronca, ma si elide: un grand'uomo; una grand'anima; dinanzi a consonante, invece, si dovrebbe dire un grande zaino, un grande psichiatra.



    Errori grammaticali, lettera I
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    ie è uno dei dittonghi mobili che, secondo una regola strettamente modellata sull'uso toscano, dovrebbe ridursi alla semplice vocale "e" quando su di esso non cade l'accento e quando, nella coniugazione dei verbi, l'accento si sposta sulla desinenza. Fanno eccezione i verbi mietere e presiedere. Esempio: piède, pedèstre; siède, sedéva; mieteva, presiedeva. Tuttavia, tale regola non appare oggi seguita rigorosamente. Sono infatti invalse nell'uso forme come allietàva, risiedévano, mietevàte, diecina, tiepidézza, ecc. che hanno soppiantato alletava, risedéva, metevàte, decina, tepidézza.

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    immenso non ammette gradi; pertanto, non si dice più immenso, immensissimo.

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    in preposizione usata erroneamente al posto della preposizione "di" in certe frasi: statua in bronzo, invece di statua di bronzo; mercante in legname invece di mercante di legname; vestire in grigio, invece di vestire di grigio. E così anche abito in seta, lampada in ferro battuto, ecc. invece di abito di seta, lampada di ferro battuto, ecc.
    E' usata anche erroneamente al posto della preposizione articolata nella: in serata, in giornata, ecc. invece di nella serata, nella giornata.

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    inebriare è errore scrivere, come molti fanno, inebbriare; l'aggettivo da cui il verbo deriva è infatti ebbro ma, nella derivazione, la "b" diventa semplice.

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    inferocire usato intransitivamente si coniuga con l'ausiliare essere quando significa: diventar feroce (è inferocito subito dopo essere stato ferito); con l'ausiliare avere quando significa commettere atti di ferocia (aveva inferocito sui vinti).

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    insieme preposizione impropria che, innanzi al nome, vuole la preposizione propria con e non a, come molti usano erroneamente: si dovrebbe dire insieme con voi e non insieme a voi.

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    integro ha il superlativo assoluto irregolare: integerrimo.

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    interrogazioni indirette vogliono il verbo all'indicativo quando si è certi della risposta affermativa, e al congiuntivo quando si è in dubbio sulla risposta.

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    intra è una preposizione che, usata come prefisso per comporre parole, richiede dopo di sé la consonante semplice, come in intraprendere, intromettere; ma la vuole doppia, invece, con venire: intravvenire.

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    invece è inutile e pertanto errato usarlo dopo mentre: Credevo tu avessi detto la verità, mentre invece avevi mentito; basta dire mentre avevi mentito, oppure invece avevi mentito.

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    irruento è un forma errata; si deve dire irruente, essendo participio presente del verbo irruere.



    Errori grammaticali, lettera L
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    legna è un sostantivo femminile che ha due plurali legna, legne e che indica il legname da ardere. Il sostantivo maschile legno (plurale legni) indica invece la materia, la parte più dura del tronco o dei rami degli alberi, con cui si fabbricano oggetti vari.

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    lei nel dare del lei a una persona, i verbi concordano col pronome di terza persona; ma gli aggettivi ed i participi concordano con la persona reale anziché col pronome e perciò vanno al maschile quando si tratta di uomo: Mi avevano detto, signor professore, che lei era partito.
    La stessa concordanza dovrebbe aver luogo con Eccellenza, Maestà, Santità; tuttavia, in questo caso, è ammessa anche la concordanza col titolo anziché con la persona reale: Vostra Santità è stata benevola con me.

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    lo particella pronominale personale, che si usa soltanto come complemento oggetto invece di lui: Io lo vedrò domani; Tu lo conoscerai. Può essere anche particella pronominale dimostrativa, significando questa o quella cosa, ciò: Lo puoi dire a me; Fallo per tua madre.
    Non è corretto l'uso di lo come soggetto di una frase: Lo si sapeva già prima; più correttamente si dovrebbe dire: Questo lo sapevamo già prima. Nel significato di tale è voce riprovata dai puristi: egli è sciocco, ma tu non lo sei; secondo i puristi di dovrebbe dire "ma tu non sei tale".

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    lo seconda forma maschile dell'articolo determinativo, che fa al plurale gli e che si usa dinanzi a nome cominciante per vocale, per s impura, z, x, gn, ps: lo scolaro, gli scolari; lo zaino, gli zaini.
    E' erroneo usarlo, come molti fanno, davanti a suocero: lo suocero, che è nome cominciante per s semplice.

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    loro pronome di terza persona, usato di regola solo nei casi obliqui, con le preposizioni di e a, espresse o sottintese: ho dato a loro, ho dato loro.
    Quando il soggetto è plurale, questo pronome può sostituire sé: I ragazzi si vestono da sé, o da loro.
    Nel parlare familiare, quando si vuole mettere in rilievo un contrasto, si usa loro in funzione di soggetto (Noi fummo invitati, loro furono invece dimenticati). Lo stesso uso di questo pronome si trova quando è posto dopo il verbo (Lo faranno loro; Questo lo sanno loro).
    Si usa anche come predicato dopo i verbi essere, sembrare, parere e simili: Non sono loro; Non sembrano più loro; Paiono loro, da lontano.
    Non si dovrebbe dire il di loro padre, la di loro madre (le forme esatte sono "il loro padre", "la loro madre").

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    lui pronome di terza persona, adoperato di regola nei casi obliqui, specialmente dopo una preposizione (sono stanco di lui, sono andato con lui); o nelle esclamazioni: beato lui!.
    Si adopera anche come predicato dopo i verbi essere, sembrare, parere e simili (non sembra più lui); o come complemento oggetto, invece di lo, quando si voglia dare a questo un particolare rilievo: accuso proprio lui (più efficace che non: lo accuso).
    Il pronome "lui" si adopera come soggetto nel parlare familiare, o quando vi sia opposizione tra due soggetti, o quando il soggetto sia posto dopo il verbo: lui dice di no, ed io di sì; lo saprà lui.
    Si usa ancora "lui" nelle proposizioni implicite, cioè col verbo all'infinito, al participio, al gerundio: a sentir lui, noi avremmo torto; contento lui, contenti tutti; guardando lui, ricordavo suo padre.
    Bisogna evitare di dire: il di lui avere (la forma corretta è: l'avere di lui).



    Errori grammaticali, lettera M
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    ma è una congiunzione avversativa che, nel linguaggio familiare, si rafforza spesso con però: ma però. Tuttavia, questa è una forma scorretta, perché le due particelle hanno lo stesso significato; basta il semplice ma o il semplice però.

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    magnifico ha il superlativo assoluto irregolare: magnificentissimo.

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    mai avverbio di tempo che significa una volta, qualche volta, quando che sia. Scorretto è l'uso che molti fanno di mai in senso negativo, senza che sia preceduto dalla negazione: mai lo farò; più correttamente si dovrebbe dire "non lo farò mai". Frequente è la forma interrogativa: lo faremo mai? che propriamente significa "lo faremo una buona volta?"
    Va comunque detto che è tollerato, sebbene poco elegante, l'uso del mai in senso negativo, nei casi in cui preceda il verbo: Mai lo farò.

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    maiuscola la lettera maiuscola si usa all'inizio del periodo o come iniziale dei nomi propri. Dopo il punto esclamativo o interrogativo si può usare la minuscola, se il periodo continua. I titoli d'onore come Re, Granduca, Ministro, ecc. si scrivono con l'iniziale maiuscola e così pure gli appellativi di Dio. Tuttavia, quando questi titoli siano seguiti da nome proprio, diventano aggettivi e vogliono l'iniziale minuscola: re Umberto, il ministro Cavour, il papa Benedetto XVI, il dio Apollo.
    Similmente vogliono la maiuscola gli aggettivi indicanti patria e origine, quando siano sostantivati; però, quando si tratta di semplici aggettivi (cioè nel caso in cui siano accompagnati da un nome) si dovrà usare la minuscola: un Francese, i Tedeschi, un Milanese (primo caso); una donna francese, un giovane tedesco, un commerciante milanese (secondo caso).

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    maledivo è la voce erronea di maledicevo. E così anche maledissi, usato erroneamente al posto di maledicessi nell'imperfetto del congiuntivo. Maledissi è una forma esatta quando rappresenta il passato remoto.

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    malgrado è usato bene quando viene riferito a persone vive e volenti: malgrado tua madre, scrissero a tuo fratello. E' errato l'uso di malgrado, invece di nonostante, quando si riferisce a cose o ad azioni: nonostante la piogga (non si dovrebbe dire "malgrado la pioggia"), andammo al campo sportivo.
    Va posposto ai pronomi personali: mio malgrado, suo malgrado, nostro malgrado.

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    mamma quando è accompagnato da un aggettivo possessivo, vuole sempre l'articolo; quindi, si deve dire: la mia mamma ed è un errore dire mia mamma.

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    mancare è verbo intransitivo; quindi, è un errore dire: mancare il colpo, mancare la promessa. Invece, si dovrebbe dire: fallire il colpo, non mantenere la promessa o mancare alla promessa.
    Nel senso di commettere una mancanza vuole l'ausiliare avere: in quella circostanza posso aver mancato. Nel senso di venir meno, non essere presente, vuole l'ausiliare essere: è mancato il tempo; è mancato alla riunione.

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    me pronome personale di prima persona e si usa sempre come complemento (la forma del pronome singolare, usato come soggetto, è io). Come complemento oggetto dà rilievo al concetto che si vuole esprimere: "hanno offeso me" è più efficace che non mi hanno offeso.
    Me si usa pure nelle esclamazioni (Povero me!, Beato me!) e dopo le preposizioni (aveva parlato con me; si è ricordato di me; voleva raccontarlo a me).
    E' usato come soggetto soltanto nelle comparazioni dopo come e quanto: è abile come me; ne sapeva quanto me. Viene adoperato anche come predicato, dopo i verbi essere, sembrare, parere e simili: egli non è me; parevi tutto me. Però, se il soggetto della proposizione è io, come predicato si deve usare la forma soggettiva: non sembro più io; sarebbe un errore dire "non sembro più me".
    Nelle proposizioni implicite, formate da un participio passato, si può usare indifferentemente tanto la forma soggettiva quanto la forma oggettiva: partito io o partito me, le cose si aggiustarono; tuttavia, oggi si usa solitamente la forma soggettiva: tornato io, tutti ripresero a lavorare.

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    medesimo può indifferentemente precedere o seguire il nome: aveva il medesimo vestito; ho comprato quel libro medesimo. Se usato col pronome sé, questo si può usare senza accento, anche se al plurale bisogna sempre scrivere: sé medesimi. Con i pronomi personali ha valore rafforzativo: offese me medesimo; danneggiò sé medesimo.

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    mediocrità è bene non adoperarlo nel senso di persona mediocre, perché è erroneo l'uso dell'astratto per il concreto: quel professore è una mediocrità; più semplicemente si dovrebbe dire: quel professore è mediocre.

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    meno avverbio di quantità, che può acquistare talvolta senso negativo, come nella frase fare a meno di compiere una cosa. E' sbagliato usarlo nel senso di un semplice no: scrivimi se vieni o meno. Correttamente si dovrebbe dire: se vieni o no.
    Altri modi erronei: a meno di, a meno che, invece di eccetto, fuorché e simili: Erano tutti presenti, meno il Sindaco (meglio: fuorché il Sindaco); senza meno, quanto meno, invece dei più corretti certamente e almeno.


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    mezzo aggettivo che resta invariato e non si accorda col nome a cui si accompagna quando gli viene posposto; quindi, si deve dire una mezza mela. In questo caso, invece, si usa "mezzo": sono le ore tre e mezzo, perché esso è considerato avverbio e non aggettivo.
    Quando significa metà, rifiuta l'articolo e vuole invece che lo abbia il nome a cui si accompagna: a mezzo il colloquio, a mezzo il cielo. Usato col significato di dimezzato, si accorda col sostantivo come un qualsiasi altro aggettivo e prende l'articolo: una mezza mela, le mezze figure.

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    mica è usato come particella rafforzativa di una negazione: Non l'ho mica visto; Non lo so mica, io! Si deve però usare sempre con la negazione. Dunque, non si dovrebbe dire "Mica l'ho chiamato" ma, piuttosto, "Non l'ho mica chiamato".

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    mietere non segue la regola del dittongo mobile, poiché conserva il dittongo iè anche nelle voci in cui non vi cade l'accento.

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    mille ha il plurale irregolare: mila.

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    misero ha il superlativo assoluto irregolare: miserrimo.

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    mobilia sostantivo femminile che indica l'insieme delle masserizie di una casa. Non è corretto il maschile mobilio; è poco usato il plurale mobilie, poiché mobilia è considerato, per il suo significato, nome collettivo, già indicante pluralità.

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    modello è un sostantivo maschile e quindi è erroneo dire famiglia modello, scolaro modello; piuttosto, si dovrebbe dire un modello di famiglia, un modello di scolaro.

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    moglie fa al plurale, irregolarmente, mogli.

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    molto aggettivo o avverbio che ammette il superlativo assoluto moltissimo; ma non il comparativo, né il superlativo relativo. Quindi, è un errore dire più molto, il più molto.

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    motivo per cui brutta locuzione da evitare; sarebbe meglio dire: perciò, pertanto, per questo.

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    munifico ha il superlativo assoluto irregolare: munificentissimo.



    Errori grammaticali, lettera N
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    ne particella pronominale che significa di lui, di lei, di loro e, in alcuni casi, anche di ciò, di questo, di quello: Ho letto il libro, ora te ne faccio un riassunto. Talora ha valore neutro, riferendosi ad un'intera frase: Questo me lo ha detto, ma non ne sono convinto (= di ciò non sono convinto).
    Essa si può usare anche quando sia espressa, nella stessa proposizione, la parola a cui si riferisce: di sciocchi ne ho visti tanti. Si pospone e si unisce all'interiezione ecco e ai verbi di modo imperativo e infinito; quando si unisce a forme tronche del verbo, raddoppia l'iniziale. Alcuni esempi del primo e del secondo caso: Eccone due che arrivano; Ho udito dirne meraviglie; Dinne male! Fanne ricerca!. Quando nella frase vi è altra particella pronominale, ne si pone in seconda posizione: Me ne andavo; Te ne eri accorto.

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    nessuno niuno, nulla, niente, quando precedono il verbo di modo finito, bastano da soli a far negativa la proposizione: nessuno poteva vederlo; niente poteva smuoverlo; nulla gli sta bene. Ma, quando sono posposti al verbo, vogliono sempre la negazione: non è venuto nessuno; non c'è niente; non voglio nulla.

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    niente (Vedere NESSUNO).

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    niuno (Vedere NESSUNO).

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    nomi alcuni nomi che sono maschili al singolare diventano femminili al plurale: l'uovo, le uova; il paio, le paia; il centinaio, le centinaia; il migliaio, le migliaia.

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    nomi composti in genere fanno il plurale come se fossero semplici: arcobaleno, arcobaleni; francobollo, francobolli.
    Attenzione, però, ai seguenti casi.
    a) I nomi composti dalla parola capo e da un altro nome fanno il plurale di capo e lasciano invariato l'altro nome: capostazione, capistazione; capofila, capifila; caposquadra, capisquadra.
    Eccezioni: capocomici, capogiri.
    b) I nomi composti da un sostantivo e da un aggettivo mutano le desinenze di entrambe le parole: mezzaluna, mezzelune; cassaforte, casseforti; pannolino, pannilini; bassorilievo, bassirilievi, ecc.
    c) I nomi composti da forme verbali, seguiti da sostantivi plurali o da un'altra forma verbale o da un avverbio, restano invariati: i portalettere, i saliscendi, i tressette, i viavai.
    d) I nomi, di genere maschile, composti da una forma verbale, da un avverbio, o da una preposizione seguita da un sostantivo femminile, restano invariati: i bucaneve, i buttasella, i parapioggia.
    Nei casi dubbi sarà bene consultare il vocabolario.

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    nomi propri maschili non vogliono l'articolo se non quando:
    a) siano al plurale: gli Scipioni, i Pietri;
    b) siano accompagnati da aggettivo: il grande Raffaello;
    c) siano il titolo di un'opera d'arte o letteraria: il Mosè, l'Amleto;
    d) stiano al posto dell'opera d'arte di un autore: un Raffaello, un Tiziano.
    In tutti gli altri casi è un errore usarlo con l'articolo e dire, come avviene ad esempio in certi dialetti: il Carlo, l'Agostino.

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    non talvolta non ha senso negativo, ma semplicemente senso di dubbio: Non sapete che siamo tutti mortali? E così pure dopo i verbi che indicano timore, dopo la frase poco mancò e simili: temo che non si sia smarrito; dubito che non abbia capito; poco mancò che non rimanesse schiacciato; per poco non moriva.

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    nulla (Vedere NESSUNO).

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    nullità per uomo da poco è scorretto, non essendo consigliato dai grammatici usare l'astratto per il concreto.

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    nuotare per questa voce (e per tutte le voci che da essa derivano) si fa eccezione alla regola del dittongo mobile, per non confonderla con la voce notare, da nota. (Vedere DITTONGO MOBILE).



    Errori grammaticali, lettera O
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    occorrere preferisce l'infinito senza la preposizione di: occorre lavorare.

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    ogni è un aggettivo indefinito usato solo nel singolare; precede il nome e non può usarsi sostantivato: ogni uomo è mortale.

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    oltre preposizione impropria che si costruisce a volte direttamente col nome che regge, altre volte con la preposizione: erano schierati oltre il fiume; oltre a non pagarmi, voleva avere anche ragione.

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    onde avverbio di luogo che significa: di dove (torna onde sei partito).
    Può essere anche congiunzione, significando affinché: Ti regalo questo libro onde tu possa trarne giovamento.
    Scorretto è l'uso con l'infinito: Accorremmo sul posto per (e non "onde") recare aiuto ai feriti.

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    onta le locuzioni ad onta di o in onta a sono bene usate soltanto se la frase contiene l'idea di offesa e di vergogna: Ad onta dei tuoi nemici hai ottenuto un bel successo; In onta alle leggi vigenti, fu arrestato. In altri casi è bene usare "a dispetto di", "nonostante": Nonostante la pioggia (non bisogna dire "ad onta della pioggia") venne lo stesso.

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    operarsi non è corretto l'uso di questo verbo nella forma riflessiva: Si operò allora un miracolo. Correttamente si dovrebbe dire: si compì, si avverò, accadde un miracolo, ecc.



    Errori grammaticali, lettera P
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    paio sostantivo maschile che diventa femminile al plurale: le paia. Non si confonda con le voci del verbo parere (io pàio, che egli pàia).

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    parere questo verbo (che appartiene alla categoria dei verbi indicanti dubbio e incertezza) può reggere la subordinata oggettiva con il verbo al modo congiuntivo: Pareva che tutto fosse finito. Quando è usato impersonalmente, la dipendente è una proposizione soggettiva, costruita talora senza la congiunzione che: Pare che i vostri amici siano bravi; Pare siano bravi i vostri amici.
    Davanti all'infinito vuole la preposizione di: Pareva di sognare.

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    particelle pronominali sono le forme atone del pronome e possono dividersi in più gruppi:
    a) mi, ti, si, ci, vi, si, che si usano come complemento oggetto o come complemento di termine invece di me, a me; te, a te; sé, a sé; noi, a noi; voi, a voi; sé, a sé, quando non occorra mettere in speciale rilievo il pronome (mi loda, mi dice);
    b) lo, la, li, le, che si usano soltanto come complemento oggetto invece di lui, lei, loro: lo conosciamo, la devi aiutare, li abbiamo uditi;
    c) gli, le, che si usano soltanto come complemento di termine invece di a lui, a lei.
    Alcune di queste particelle, come ci, vi, lo, stanno anche al posto di ciò, a ciò: pensaci bene; non vi credere; fallo per me. Ci e vi possono essere anche avverbi di luogo.
    Tutte queste particelle sono voci non accentate, cioè atone, e si chiamano proclitiche se nella pronunzia si uniscono alla parola seguente, ed enclitiche se si uniscono alla parola precedente.
    Esse si pospongono encliticamente al verbo nei modi imperativo, infinito, gerundio, participio; come anche alla parola ecco: fammi il piacere; devi farmi il piacere; facendomi il piacere; fattomi il piacere; eccomi. Tutte (tranne gli) raddoppiano la consonante iniziale se unite a voce tronca (dimmi, fatti, dicci, digli).

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    pena è erroneo dire non valere la pena. Correttamente si dovrebbe dire "non mette conto", sebbene vada sottolineato che la forma sconsigliata dai grammatici è quella ampiamente prevalente.

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    perfettamente è un errore usarlo nel senso di certamente, affatto e simili: Ho ragione? Perfettamente. Più correttamente si dovrebbe dire: certamente. Ad esempio, Questa è una proposta perfettamente inutile (forma errata); più esattamente si dovrebbe dire: "completamente inutile", "del tutto inutile", "affatto inutile".

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    persuadere occorre evitare di usarlo nel senso di piacere, garbare, andare a genio: Quel signore non mi persuade.

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    piacere preferisce dopo di sé l'infinito senza la preposizione di: gli piaceva leggere.

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    più (Vedere COMPARATIVO, nonché SUPERLATIVO RELATIVO).

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    plurale il plurale dei nomi si forma mediante il cambiamento della desinenza e precisamente:
    a) i nomi maschili in -a, i maschili e femminili in -o, i maschili e femminili in -e assumono la desinenza -i;
    b) i nomi femminili in -a assumono la desinenza -e.
    Al di là di questa regola generale, si possono ricordare alcuni plurali irregolari.
    I nomi che terminano al singolare in co, go tendono a mantenere anche al plurale il suono gutturale: stomaco, stomachi; dialogo, dialoghi, ecc. Tuttavia, vi sono numerose eccezioni: medico, medici, ecc.; alcuni di essi, poi, hanno tanto il plurale gutturale quanto quello palatale: chirurgo, chirurgi, chirurghi.
    I nomi che terminano in ie sono invariabili al plurale: la barbarie, le barbarie; tranne moglie e superficie che fanno mogli e superfici.
    I nomi che al singolare terminano in cia, gia (senza l'accento sull'i) hanno il plurale in cie, gie, se davanti a tale terminazione c'è una vocale; e lo hanno invece in ce, ge, se hanno una consonante: guancia, guance, scheggia, schegge; ciliegia, ciliegie.
    I nomi in ologo terminano al plurale con ologi: teologi, sociologi, ecc.
    Gli aggettivi in ico terminano al plurale con ici: benefici, magnifici, ecc.
    I nomi in io conservano l'i al plurale se accentato e lo perdono se atono: oblío, oblíi (la conservano); studio, studi (la perdono).
    Eco, che è maschile e femminile al singolare, è sempre maschile al plurale e fa: echi. Belga al plurale fa Belgi al maschile e Belghe al femminile.

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    poco aggettivo e avverbio che ammette il superlativo assoluto pochissimo; ma non ammette né il comparativo più poco, né il superlativo relativo il più poco.
    Per poco (nel senso di quasi) e poco mancò vogliono sempre la negazione non; perciò non si deve dire "per poco cadevo", "poco mancò che cadessi"; invece, si deve dire "per poco non cadevo", "poco mancò che non cadessi".

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    porco al plurale fa irregolarmente porci.

    * * *

    portare non si dovrebbe dire portare a cognizione, portare attenzione, portarsi in un luogo; più correttamente si dovrebbe dire far noto, porre o prestare attenzione, andare.

    * * *

    portato è da evitare nel senso di disposto, propenso, inclinato: era un giovane portato per il disegno.

    * * *

    posare non va usato nel senso di darsi l'aria, darsi delle arie: è un giovane che posa a grande uomo. Più correttamente, si dovrebbe dire: che si dà l'aria di un grande uomo.

    * * *

    potere (Vedere AUSILIARE).

    * * *

    precisamente è un errore usarlo nel senso di proprio così, per l'appunto: Avevo ragione io? Precisamente.

    * * *

    prendere non si dovrebbe dire prendere atto; più correttamente si dovrebbe dire: prendere nota.

    * * *

    presiedere conserva il dittongo ie anche nei tempi in cui non vi cade l'accento; quindi, la forma corretta è "presiedo, presiedevo".

    * * *

    pro è un errore mettervi l'apostrofo quando significa vantaggio, profitto; si apostrofa solo quando significa prode, come segno dell'apocope.

    * * *

    pro preposizione usata come prefisso per comporre parole, nel qual caso vuole sempre la consonante semplice dopo di sé, come in proporre, progredire, ecc. Va fatta eccezione per il verbo vedere, in unione al quale fa provvedere.

    * * *

    ps in principio di parola ha lo stesso trattamento dell's impura: lo psicologo, gli psichiatri, un grande psichiatra; (Vedere S IMPURA).

    * * *

    punto usato come avverbio nel senso di affatto rafforza la negazione, ma è erroneo usarlo senza negazione, come: l'ho veduto punto; correttamente bisogna dire non l'ho veduto punto.



    Errori grammaticali, lettera Q
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    qua è un grave errore accentarlo, come alcuni usano fare.

    * * *

    qual troncamento di quale. Non si apostrofa mai, nemmeno dinanzi a nome femminile cominciante per vocale, perché anche in questo caso si tratta di troncamento e non di elisione (l'apostrofo è il segno dell'elisione e non del troncamento): qual animo, qual anima.

    * * *

    qualche è errato usarlo in proposizioni negative, dove invece va sostituito da alcuno: Non ho visto alcun soldato (non si dovrebbe dire "qualche soldato") sulla via.

    * * *

    quello si elide dinanzi a vocale e si tronca in quel davanti a consonante diversa da s impura, z, gn, ps: quel cane, quello zaino, quell'amico.
    Al plurale fa quegli dinanzi a vocale, s impura, z, gn, ps; fa quei dinanzi a tutte le altre consonanti; fa quelli soltanto quando sia pronome, cioè quando non sia accompagnato da un nome.

    * * *

    qui è un grave errore accentarlo.

    * * *

    quivi vuol dire in quel luogo e non si può usare per qui, che vuol dire in questo luogo.



    Errori grammaticali, lettera R
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    regnamo è un grave errore scrivere regnamo, invece di regniamo, poiché la desinenza dei verbi di prima coniugazione è iamo.

    * * *

    retrobottega è nome femminile o, più propriamente, è aggettivo sostantivato femminile, essendo sottinteso il nome stanza. Quindi, è errato dire come molti dicono: il retrobottega; più correttamente si deve dire la retrobottega, così come la retroguardia, la retrocucina.

    * * *

    ricusare è errore usarlo nel senso del semplice negare: ricusò di riceverlo; più correttamente si dovrebbe dire: negò di riceverlo.

    * * *

    rifiutare significa non accettare; è un errore usarlo nel senso di semplice negare: rifiutò la grazia, rifiutò di riceverlo. Più correttamente si dovrebbe dire negò la grazia, negò di riceverlo. Invece, è esatto dire: gli offrii cento euro ed egli li rifiutò.

    * * *

    riflettere è errore usarlo nel senso di concernere, riguardare: non è cosa che ti riflette; correttamente si deve dire non ti riguarda, non ti concerne.

    * * *

    riputare nelle voci in cui l'accento cade sulla prima sillaba la i va cambiata in e; quindi si dovrebbe dire rèputo, rèputano.

    * * *

    rispettabile è errore usarlo nel senso di ragguardevole, come nella frase: egli possiede un rispettabile patrimonio. Più correttamente si dirà: un patrimonio ragguardevole.

    * * *

    rispettivo viene usato spesso pleonasticamente in modo scorretto: tornarono alle loro rispettive case; più semplicemente si dovrebbe dire: alle loro case.



    Errori grammaticali, lettera S
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    s impura si chiama così la s seguita da altra consonante; essa ha importanza grammaticale solo quando sia all'inizio di un vocabolo.
    Le parole che cominciano per s impura:
    a) vogliono dinanzi a sé l'articolo determinativo nella forma lo, gli: lo scolaro, gli scolari;
    b) non permettono dinanzi a sé il troncamento; pertanto, si deve dire un grande studio e non un gran studio;
    c) per la stessa ragione, vogliono l'articolo indeterminativo nella forma uno non tronca: uno scolaro, uno studio;
    d) quando hanno davanti gli aggettivi quello, bello, non permettono che si tronchino nel singolare; al plurale li vogliono nella forma quegli, begli: quello scolaro, bello studio; quegli scolari, begli studi;
    e) nelle parole composte, non raddoppiano la consonante iniziale, nemmeno con quei prefissi che lo richiederebbero: contrastare (esempio di verbo con raddoppiamento, contrapporre); aspirare (esempio di verbo con raddoppiamento, assalire).

    * * *

    saltare come tutti i verbi di moto, si coniuga con l'ausiliare essere quando l'azione è considerata in rapporto a un luogo (E' saltato dalla finestra; Era già saltato sul muricciolo), con l'ausiliare avere quando l'azione viene considerata in sé (Abbiamo saltato per un'ora; Ha saltato più alto di me).

    * * *

    salubre ha il superlativo assoluto irregolare: saluberrimo.

    * * *

    santo quando è seguito da un nome proprio si scrive solitamente minuscolo e si tronca in san davanti ai nomi comincianti con consonante che non sia s impura, z, x, gn, (ps?) (san Giulio, san Pietro, san Francesco; santo Stanislao, santo Stefano). Se invece il nome proprio maschile o femminile comincia per vocale, si elide (sant'Antonio, sant'Orsola). Spesso si abbrevia in S. al singolare (S. Paolo, S. Caterina) e in S.S. al plurale (i S.S. Pietro e Paolo). Come aggettivo, santo si scrive maiuscolo nelle espressioni: Santa Sede, Santo Padre, Santissimo Sacramento, Terra Santa, Sant'Ufficio. Come sostantivo, si scrive maiuscolo quando si riferisce a un determinato santo: Il Santo ha fatto la grazia; Domani è la festa di tutti i Santi.

    * * *

    scendere riguardo all'ausiliare, vedere SALTARE.

    * * *

    scherzare è un verbo intransitivo; quindi, è un errore dire mi scherza; invece, più correttamente, si dovrebbe dire mi canzona, mi beffa.

    * * *

    scivolare riguardo all'ausiliare, vedere SALTARE.

    * * *

    sé si riferisce solo al soggetto della proposizione; in tutti gli altri casi deve essere sostituito da lui, lei, loro. Quindi si dovrà dire correttamente: la mamma lo voleva con sé; erano come fuori di sé, oppure la mamma voleva che Carlo andasse a stare con lei.

    * * *

    se non che quando si scrive in una parola sola, si deve scrivere sennonché e non senonché, perché il prefisso se è uno di quelli che vogliono il raddoppiamento della consonante.

    * * *

    seco è un errore dire seco lui, seco lei, seco loro; più correttamente si deve dire con esso lui, con esso lei, con essi loro, o semplicemente con lui, con lei, con loro.

    * * *

    sentirsi regge l'infinito senza preposizione; quindi, è un errore dire: mi sento di morire; più correttamente si deve dire mi sento morire.

    * * *

    senza è una preposizione che regge direttamente il nome: senza libri, senza gli amici. Ma dinanzi a pronome personale vuole la preposizione di: senza di me, senza di loro.

    * * *

    serotino aggettivo qualificativo che significa: tardivo. Errato quindi l'uso di questo aggettivo nel senso di: serale, vesperale, della sera.

    * * *

    sillabe sebbene a rigor di termine nulla vieti di dividere alla fine della riga una parola in modo tale che una sillaba composta da una sola vocale o da un solo dittongo vada all'inizio della riga seguente, si suole evitarlo: quindi la parola ma-e-stra, essendo formata di tre sillabe, si potrebbe benissimo dividere mettendo ma in una riga ed estra nell'altra; praticamente, si divide in mae-stra. Criterio analogo vale per temei, parlai.

    * * *

    so prefisso che richiede il raddoppiamento della consonante iniziale della parola a cui si unisce, purché non sia s impura, z, x, gn, (ps?): soggiacere, socchiudere; sospingere.

    * * *

    sodísfano e sodísfo sono forme abusive usate al posto delle più corrette sodisfò oppure sodisfàccio, sodisfànno.

    * * *

    solere nei tempi semplici vuole dopo di sé l'infinito senza preposizione: suole leggere, soleva andare al bar. Tuttavia, nei tempi composti, preferisce la preposizione di: egli era solito di scrivere, di andare al bar.

    * * *

    sopra preposizione che, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale a cui si unisce, purché non sia s impura, z, x, gn, (ps?): soprattutto, soprabbondare, sopralluogo, soprattassa.

    * * *

    sotto preposizione che, usata come prefisso per comporre parole, richiede dopo di sé la consonante semplice: sottovento, sottoporre.

    * * *

    sovra (Vedere SOPRA).

    * * *

    specie sostantivo femminile invariabile al plurale: la specie, le specie.

    * * *

    spirare si coniuga con l'ausiliare avere nel senso di soffiare (Il vento aveva spirato da tramontana), con l'ausiliare essere nel senso di uscire, morire (E' spirato il termine del concorso).

    * * *

    sta abbreviazone di questa, che si usa come prefisso per comporre alcune parole: stasera, stamattina, stanotte. Non vuole il raddoppiamento della consonante iniziale; è perciò errata la forma stassera.

    * * *

    stare verbo irregolare della prima coniugazione. Errate sono le forme stò, stà del presente indicativo perché non v'è ragione di fare eccezione alla regola che vuole atoni i monosillabi; stasti, stammo, staste e starono (invece di quelle corrette "stesti, stemmo, steste, stettero") del passato remoto; stassi, stassimo, stassero (invece delle corrette "stessi, stessimo, stessero") del congiuntivo imperfetto.

    * * *

    studente è errore dire in lettere, in medicina, ecc.; correttamente si dovrebbe dire studente di lettere, di medicina.

    * * *

    stupire il verbo è erroneamente usato da taluni come transitivo; quindi, non si deve dire mi stupisce ma, più correttamente, mi dà stupore, stupisco. Anche in questo caso, però, la forma più diffusa è quella sconsigliata dai grammatici.

    * * *

    su preposizione che, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede sempre il raddoppiamento della consonante iniziale della parola a cui si unisce, purché non sia s impura, z, x, gn, (ps?): sullodato, summenzionato, suddetto.

    * * *

    sublime non ammette gradi, poiché ha già significato superlativo; quindi non si deve dire: più sublime, il più sublime.

    * * *

    sufficente forma errata di sufficiente (con la i).

    * * *

    suicidarsi è un grossolano errore, poiché verrebbe a significare suicidare se stesso; mentre suicidare significa già uccidere se stesso. L'errore deriva da una forma francese che è entrata ormai nell'uso e che è biasimata dai grammatici persino in Francia.

    * * *

    suo sua, suoi, sue si usano soltanto quando si riferiscono al soggetto della proposizione; negli altri casi devono essere sostituiti da: di lui, di lei, di loro. Ad esempio, Il babbo fece a Carlo un bel regalo nel giorno dell'onomastico di lui; se dicessimo suo, si dovrebbe intendere che ricorreva l'onomastico del babbo.
    Però, quando non c'è rischio di creare un equivoco, si può usare suo, sua, ecc. anche riferendoli a persona diversa dal soggetto.

    * * *

    superficie fa al plurale superficie, superfici; la forma più corretta è la prima, ma la seconda è più usata.

    * * *

    superlativo assoluto esso si forma aggiungendo il suffisso -issimo alla radice dell'aggettivo: bellissimo, carissimo.
    Gli aggettivi che terminano in io con l'i accentata conservano questa i davanti al suffisso (pío, piissimo); quelli che terminano in io non accentato perdono la i (savio, savissimo) perché la i non accentata forma dittongo con la voce seguente e perciò fa parte della desinenza. Ampio ha il superlativo irregolare amplissimo.
    Altri superlativi irregolari: acre, che fa acerrimo; aspro, asperrimo; celebre, celeberrimo; integro, integerrimo; misero, miserrimo; salubre, saluberrimo. Inoltre, benefico, magnifico, munifico fanno irregolarmente beneficentissimo, magnificentissimo, munificentissimo.

    * * *

    superlativo relativo si forma aggiungendo al comparativo l'articolo determinativo: caro, più caro, il più caro; meno caro, il meno caro.
    Però, quando il nome a cui l'aggettivo si riferisce preceda l'aggettivo e abbia già l'articolo, è un grave errore ripeterlo: la nazione la più gloriosa (correttamente si dovrebbe dire la nazione più gloriosa).



    Errori grammaticali, lettera T
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    tal troncamento di tale; non si apostrofa mai, nemmeno dinanzi a nome femminile cominciante per vocale, perché anche in questo caso si tratta di troncamento e non di elisione: tal animo, tal anima.

    * * *

    te pronome personale che si usa sempre come complemento. Può essere adoperato come soggetto dopo come, quanto nelle comparazioni (è ricco come te, è ricco quanto te) e nelle esclamazioni (Povero te!).
    Viene adoperato come predicato dopo i verbi essere, sembrare, parere e simili: egli non è te, egli sembra tutto te. Se però il soggetto è tu, si deve usare anche come predicato la forma soggettiva: tu non sembri più tu; sarebbe un errore dire: tu non sembri più te.
    Nelle proposizioni implicite, cioè col verbo all'infinito, si può usare tanto la forma soggettiva quanto quella oggettiva: partito tu (o partito te) tutto s'accomodò. Si può unire con la preposizione con formando la parola teco: Il Signore è teco, ma è un uso ormai antiquato.

    * * *

    tempio fa al plurale templi.

    * * *

    tenere erroneo è l'uso che molti ne fanno nel senso di avere, possedere e simili: tengo una bella casa, tengo molti denari. Locuzioni sconsigliate dai grammatici perché considerate gallicismi o spagnolismi sono le seguenti: tengo a dire, a fare, invece che "mi preme", "mi importa"; tenere il letto invece che "restare", "rimanere a letto".

    * * *

    terra nel significato di globo terraqueo vuole l'iniziale maiuscola: la Terra.

    * * *

    toccare usato intransitivamente si coniuga con tutti e due gli ausiliari. Con essere nel significato di spettare, appartenere: Mi è toccato annunciargli la triste notizia; Non tocca a me dire queste cose. Con avere quando significa "accennare": Quando gli ho toccato della sua bocciatura, si è messo a piangere.

    * * *

    tra preposizione che, usata come prefisso per comporre parole, richiede dopo di sé la consonante semplice: trafiletto, trasecolare, trascendere. Unica eccezione: trattenere.

    * * *

    tradire è erroneo usarlo nel senso di manifestare, scoprire, accusare: questo vestito tradisce la sua origine", "il pallore tradiva la sua commozione"; in questo senso, è una voce sconsigliata dai puristi che la ritengono un gallicismo.

    * * *

    tradurre è errato l'uso di questa voce nel significato di trasportare, condurre: fu tradotto in carcere, in giudizio. Sconsigliato è anche il modo di dire "tradurre in atto" o "in pratica un'idea" e simili, con il significato di "metterla in atto", "eseguirla", "attuarla".

    * * *

    troncamento il troncamento è possibile con parole polisillabe di numero singolare (non si potranno mai troncare parole plurali), che abbiano davanti alla vocale finale atona una consonante liquida (l, r) o nasale (m, n); queste, se sono doppie, nel troncamento diventano semplici: signor preside, mal di mare, son buoni, bel bambino. Il troncamento si verifica solitamente quando la vocale finale è una e o una o; se è una a, la parola si tronca solo in ora (or ora), suora (Suor Anna) e nei composti di allora, ancora (allor dunque, ancor ieri). Non può farsi dinanzi a parole che cominciano con s impura, z, x, gn, (ps?); quindi si dovrà dire: grande zelo, grande studio, grande psicologo e mai gran zelo, gran studio, gran psicologo.

    * * *

    trotto è errore dire al trotto; più correttamente si dovrebbe dire di trotto.

    * * *

    trovare è errato l'uso di questo verbo nel senso di giudicare, reputare, stimare: ti trovo dimagrito; trovo che hai fatto male a lasciare l'impiego. Più correttamente si dovrebbe dire: mi pare che ti sei dimagrito; reputo che hai fatto male, ecc.

    * * *

    tu (Vedere TE).



    Errori grammaticali, lettera U
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    un forma tronca dell'articolo indeterminativo maschile e del numerale cardinale maschile uno. Si usa in questa forma tronca dinanzi a vocale o a consonante che non sia s impura, z, x, gn, (ps?) : un uomo, un cane. Sarebbe un errore grave apostrofarlo dinanzi a vocale quando il nome sia maschile, perché l'apostrofo non è mai il segno del troncamento, bensì è il segno dell'elisione e dell'apocope. Si apostrofa pertanto un' dinanzi a nome femminile, perché allora non si tratta più di troncamento, ma di elisione: un inventario, un'anima; un amico, un'amica.

    * * *

    unissono è errore scrivere unissono, poiché il prefisso uni non vuole dopo di sé il raddoppiamento.

    * * *

    uno aggettivo numerale cardinale. Nei numerali composti da uno, come ventuno, trentuno, quarantuno, ecc., il nome che li accompagna resta al singolare quando sia posposto al numerale e non sia unito all'articolo o ad un aggettivo: ventun cavallo, mille e una notte; i ventun cavalli, ventun bei cavalli, cavalli ventuno.

    * * *

    uo è uno dei due dittonghi mobili (l'altro è ie). Secondo una regola modellata sull'uso toscano, ma attualmente non sempre seguita, questo dittongo dovrebbe mutarsi nella semplice vocale o quando, nel corso della coniugazione o per l'aggiunta di suffissi o prefissi, l'accento si sposta su altra sillaba della parola in cui era il dittongo stesso: giuòco, giocàva; uòmo, ométto; figliuòlo, figliolíno. Le sole eccezioni sono rappresentare dai verbi vuotare e nuotare che conservano il dittongo anche nelle voci in cui non cade l'accento, per distinguerle dalle voci dei verbi votare (dare il voto) e notare (prendere nota).



    Errori grammaticali, lettera V
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    vadino è la forma dialettale errata usata al posto di vadano.

    * * *

    vaglia resta invariato al plurale: i vaglia.

    * * *

    venire l'uso del verbo venire con la preposizione da, per indicare un'azione appena compiuta, è francesismo decisamente sconsigliato dai puristi della lingua italiana: vengo dal dire (è più corretto "ho detto"); vengo dal fare (è più corretto "ho fatto").

    * * *

    ventre è errata, poiché considerata un gallicismo, la locuzione correre ventre a terra, per indicare "correre di carriera", "a gambe levate".

    * * *

    ventuno (Vedere UNO).

    * * *

    virago nome femminile che al plurale fa viragini.

    * * *

    volare si coniuga con l'ausiliare avere quando l'azione è considerata in se stessa (Ieri ho volato per la prima volta), con l'ausiliare essere negli altri casi (Il tempo è volato; Son volato a casa, subito dopo l'uscita dall'ufficio; Mi è volato via il cappello).

    * * *

    volere si coniuga con l'ausiliare avere quando è usato isolatamente (Non ho voluto); con l'ausiliare del verbo che lo accompagna quando assolve la sua normale funzione di verbo servile (Non son voluto andare; Hai voluto vederlo). Si usa tuttavia l'ausiliare avere quando si vuol mettere in rilievo l'idea di volontà: Ho voluto andare; Ha voluto partire. Se è unito ad un verbo riflessivo, si coniuga con l'ausiliare essere se la particella pronominale lo precede, con l'ausiliare avere se lo segue: Si è voluto accorgere solo ora; Ha voluto accorgersi solo ora. E' un errore usarlo in senso di dovere: Questo abito vuole essere stirato.

    * * *

    vuotare (Vedere DITTONGO MOBILE).



    Errori grammaticali, lettera X
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    x quando è iniziale di parole vuole l'articolo nella forma lo, gli, uno (lo Xanto, gli xilografi, uno xilografo), come la s impura. Va però ricordato che si nota la tendenza a sostituirla con s ("silòfono, senòfobo, silògrafo" invece che "xilòfono, xenòfobo, xilògrafo").



    Errori grammaticali, lettera Z
    A B C D E F G I L M N O P Q R S T U V X Z
    z quando è iniziale di parola vuole l'articolo nella forma lo, gli, uno, come la s impura (lo zàino, gli zàini, uno zàino). Tuttavia, davanti a z semplice, non mancano eccezioni anche di buoni scrittori. Carducci diceva, per esempio, il Zanichelli.



    Si ringrazia Dossier.Net per il materiale.
     
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