Pokémon: Back to the Origin

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    Introduzione:

    Non è la solita storia... qui non si scherza più. Il destino del mondo, come noi lo conosciamo, è in pericolo.
    Pregare per il proprio futuro diventa lecito, quando scopri che il tuo dio ha finito di avere pietà e compassione per te. Troppi errori.
    Troppe ingiustizie.
    Ma qualcuno cercherà di cambiare tutto, e di salvarci. Di salvarci tutti.


    Genere: Avventura, Azione, Drammatico
    Coppie: Sì
    Note: Storia scritta a 4 mani con Andy Black, non presente sul forum; personaggi inventati


    Prologo - L'inizio della fine


    “Guerra. Guerra e Fuoco. Guerra e fuoco, più odio e rabbia. Rancore.

    No. Non ho creato la terra per questo. Non ho creato il mondo per riempirlo di lacrime.
    Non ho creato i Pokémon per servirvene.
    Ho creato tutto ciò per raggiungere la serenità dell’anima, dello spirito. Io mi riempio dei vostri sorrisi, e della vostra serenità.
    E la guerra mi fa male.
    Mi ferisce vedere le mie creature che si ammazzano tra di loro. Per cosa, poi? Per il potere?”
    E poi l’oracolo lo sentì ridere.
    “No. Non avete potere. L’unico potere che avete è quello di rompere equilibri ed armonie. E la colpa non può che essere vostra, degli umani, dato che i Pokémon sono creature buone. Siete voi umani ad essere cattivi, a riempire i vostri cuori di brama e desideri che imputridiscono le vostre anime, sporcandovi anche il volto. È una vergogna girare col volto sporco. Nessuno dovrebbe farlo”
    “Lo so”. La voce dell’oracolo era dolce e debole allo stesso tempo. La ragazza sostava in ginocchio, timorata per le parole della divinità.
    “Gli altri dovrebbero avere la tua coscienza. Invece c’è chi punta a farmi del male” riprese l’altro.
    “Gli altri sono come sono perché tu sei stato troppo generoso con loro. Gli hai offerto una terra piena di ricchezze, li hai messi in condizione di poter sorridere ogni giorno, e di godere della compagnia dei Pokémon oltre che della tua benevolenza”
    “Mai le tue parole furono più esatte. E la generosità da oggi è finita. Guerre tra umani che utilizzano Pokémon per uccidersi a vicenda... non vi ho donato il mondo per questo motivo. E siccome la mia benevolenza non è stata ben percepita, da ora è finita. Vai fuori, ora, e grida al mondo la profezia che adesso suggerirò alla tua anima”
    L’oracolo vide il Cristallo dell’Armonia illuminarsi di bianco. Tramite quello, Prima era in grado di parlare con la divinità. La luce bianca si espanse in maniera vertiginosa, fino a quando due fasci illuminarono il cuore e la testa di quella.
    Dolore e piacere si univano nel suo corpo, fino a sfibrarla. Si sentiva debole e forte, assetata di conoscenza ed al contempo piena di verità. Accadeva questo quando Lui voleva farle conoscere qualcosa. Prima urlò, come non aveva mai fatto, poi si abbandonò all'immenso potere che stava defluendo in lei, mentre i fasci si riempivano di luminosità sempre più velocemente, fino a diventare tutto candido, tutto bianco, come se tutto ancora dovesse esserci stato. Si vedeva solo Prima, che prese a fluttuare per aria.
    Le vergini, che si occupavano di lei, si spaventarono.
    Prima sbarrò gli occhi, ed aprì mani e bocca, stupore e paura si dipinsero sul suo sguardo, fino a che la luce sparì, e debolmente Prima si adagiò verso il pavimento di pietra. Le vergini guardavano il loro oracolo impaurite. Erano poche le volte che il potente Arceus decideva di mettersi in contatto con loro, ed ogni volta che entrava nell'oracolo succedeva qualcosa di inaspettato, che le lasciava a bocca aperta. Quello rappresentava da sempre un mistero per loro. Si chiedevano come potesse essere possibile che Arceus, il grande Arceus, entrasse all'interno di Prima, la sacra vergine, l’oracolo, e parlasse con la sua anima.
    Quelle guardavano la scena, a metà tra lo stupore e l’orrore.
    Prima sbarrò di nuovo gli occhi, e prese ad urlare terrorizzata. Una delle vergini, impaurita da quella reazione, volle avvicinarsi a lei. Voleva svegliarla, voleva che finisse di urlare. un’altra adepta, la più anziana, la trattenne per un braccio.
    “Arceus sta parlando. Non interrompere mai Arceus” disse.
    La più giovane abbassò la testa, in segno di scuse, e tornò ad inginocchiarsi al suo posto.
    Prima continuava ad urlare, un po’ di sangue cadeva a piccole gocce dai palmi delle sue mani. Anche le lacrime fuoriuscivano, ma a fiotti. Sembrava stesse per partorire il demonio.
    E poi tutto finì.
    Prima si agitava per terra, in preda alle convulsioni, mentre tutte le adepte disorientate guardavano la più anziana.
    “Prendetela e portatela nella sua stanza. Curatele le ferite, ed assicuratevi che beva. Quando si sveglierà dovrete chiamarmi prontamente”
    “Sì, Olimpia” rispose una di quelle. Le giovani raccolsero Prima da terra, per adempiere agli ordini della più anziana tra le vergini dell’oracolo.
    Olimpia pulì il sangue dell’oracolo, e guardò il cristallo. La causa di tutto.
    Quel cristallo era il portale spirituale per connettersi con Arceus. In qualche modo era l’unico modo per comunicare con lui, e se un animo buono fosse riuscito ad invocarlo, qualcuno avrebbe potuto catturarlo e servirsi dei suoi immensi poteri.
    L’anziana si avvicinò a piccoli passi verso l’arco d’ingresso del tempio, i suoi piedi scalzi calpestavano le lastre di pietra dura e fredda del pavimento, ed intanto si guardava attorno. Un Medicham levitava tra due colonne, mentre l’Abra di Prima giocava rincorrendo un Glameow. Attimi di distrazione, prima che la preoccupazione la mangiasse.
    Arrivata fuori al tempio, Olimpia godette dei baci del sole, che prontamente inondò il suo viso sapiente. Dall'alto del Monte Trave, la vergine guardava colonne enormi di fumo alzarsi e levarsi in aria, trasportate dal vento.
    L’intera regione di Adamanta bruciava sotto il fuoco degli ingiusti, quei rivoluzionari irragionevoli e senza scrupoli. Si avvicinò alle pendici del precipizio, il vento soffiava sulle sue vesti, che si ritraevano sul corpo della donna come fossero bambini impauriti. Poco lontano dall'interminabile scalinata che collegava il tempio del Monte Trave con la città di Palladium, l’esercito dei templari si batteva valorosamente contro quello degli ingiusti. Facevano combattere i loro Pokémon tra di loro, cosa insensata. Si chiedeva perché non potevano godersi la tranquillità e la bellezza di quel paesaggio tutti assieme.
    Lunghi rivoli d’acqua si gonfiavano e quando si univano facevano spazio al fiume, che saltava coraggioso da un’enorme cascata e si ritirava in un ampio lago. Ampie pianure davano la possibilità di coltivare la terra, e le valli permettevano di costruire abitazioni, per coesistere insieme e bearsi della benevolenza di Arceus, generoso creatore di Adamanta e delle altre terre sinora conosciute.
    Ed invece Adamanta bruciava.
    Olimpia sospirò, pregando che i templari resistessero alla morsa degli ingiusti, anche se la vita era riuscita nell'insegnarle una delle lezioni più importanti sugli umani: l’ambizione non guarda in faccia nessuno. Nemmeno chi ce l’ha.
    Alzò gli occhi, il sole stava per tramontare ma il forte calore non accennava a diminuire. Si girò, il tempio era sovrastato da un cielo dalle mille sfumature, ammorbidito da batuffoli di nuvole.
    Rientrò dentro, il sonno sarebbe stato l’unico modo per rinfrancare quelle giornate, ricche solo di paure e delusioni.

    Nel cuore della notte Sandra, la più giovane tra le vergini, andò a svegliare Olimpia. Il viso della donna anziana sembrava stropicciato. Non riusciva a riposare bene, e non sapeva se dipendesse dalla profezia di Arceus, o dalle urla di disperazione di Pokémon e persone, che spesso le attanagliavano la mente, stringendola in una morsa inesorabile.
    “Olimpia, Prima si è svegliata”
    “Sì, Sandra. Avete provveduto a lavarla e nutrirla?”
    “Olimpia, conosci Prima. Abbiamo potuto lavarla solo perché era caduta nel profondo sonno, che sempre la divora dopo i contatti con la divinità. Abbiamo potuto anche farle bere un po’ d’acqua, ma ora le altre vergini si trovano in difficoltà a trattenere la sua furia”
    “Furia? Di che stai parlando, Sandra?”
    “Sembra non essere in sé. Le altre vergini la stanno trattenendo, spingendola contro il muro, mentre lei si dimena per liberarsi”
    “Andiamo da lei”. La più anziana scese dal suo piccolo giaciglio, la veste ricadde lunga verso la pietra, e fece spaventare Glameow, che riposava lì nei pressi.
    Sandra ed Olimpia camminavano spedite verso la Stanza del Riposo, dove abitualmente Prima si riprendeva dopo i contatti con la divinità, ma furono le grida del giovane oracolo ad accoglierle, parecchi metri prima dell’ingresso.
    La Stanza del Riposo era fondamentalmente una camera dotata di un morbido letto, di un banchetto e di una vasca ripiena di acqua piovana. Varie torce illuminavano l’ambiente in maniera sommaria, ma Olimpia fu benissimo in grado di vedere il volto di Prima. Era fuori di sé.
    “Lasciatemi! Lasciatemi!” urlava quella, le lacrime sul suo volto a deturparne la bellezza intoccabile. Gli occhi verdi, dilatati al massimo, erano l’elemento di maggiore espressività del suo viso, la pelle candida li faceva risaltare ancora di più. I lunghi capelli castani donavano all'oracolo un’estrema femminilità, aiutata dai suoi movimenti aggraziati e dalle labbra rosee, gonfie di parole.
    “Olimpia! Ordina alle vergini di lasciarmi andare!” urlava Prima.
    “Lo farò se mi dirai cosa il divino Arceus ha in serbo per noi”
    “La distruzione di tutto! Ora devo andare ad avvertire Timoteo!”
    “Lo farà qualcun altro al posto tuo. Non possiamo rischiare che tu perda la vita”
    “Timoteo ha bisogno di me!” urlò Prima, e con incredibile forza riuscì a divincolarsi dalle tre vergini che la mantenevano. Uscì velocemente dalla stanza, e prese a correre per il corridoio male illuminato del tempio.
    “Abra! Vieni qui!” urlò, mentre correva verso l’enorme arco di ingresso. La ragazza uscì fuori, i piedi scalzi dolevano per la corsa. Si fermò sul primo gradino dell’enorme scalinata.
    “Abra! Teletrasportami da Timoteo!”
    Il Pokémon alzò gli occhi verso il cielo, e dopo pochi istanti fece smaterializzare Prima dalla cima del Monte Trave, sotto gli occhi affannati delle vergini che l’avevano inseguita.

    Prima comparve ai piedi del letto di Timoteo. Una torcia illuminava il vasto dormitorio, condiviso da centinaia di soldati.
    “Timoteo! Svegliati!” urlò l’oracolo.
    Quello balzò in piedi, brandendo la spada che aveva accanto alla branda. Anche gli altri soldati si svegliarono.
    Timoteo era il classico stereotipo dell’eroe. Capelli neri, corti, arruffati, barba corta dello stesso colore, labbra grandi, naso importante, occhi marroni. E fisico statuario.
    Timoteo aveva donato la sua vita alla protezione dell’oracolo e delle vergini. E del tempio, naturalmente. Conosceva Prima da quando erano bambini, ma le capacità della ragazza si intromisero nei loro progetti di vita. Volevano sposarsi, vivere insieme, crescere dei bambini. I doni purtroppo non si scelgono. Quando fu reso noto che Prima fosse in grado di predire il futuro e parlare con Arceus, Olimpia andò personalmente a prelevarla dalla sua piccola casetta.
    “Prima! Cosa ci fai qui?! Se gli Ingiusti scoprono che sei qui è la fine!”
    “Dovete terminare questa guerra! Arceus ha maledetto le nostre terre!”
    “Cosa?!”
    “Ho... ho avuto un contatto con la divinità”
    Timoteo lasciò cadere la spada per terra, che tintinnò al contatto con il pavimento. “Che diamine ti ha detto?!” urlò, scuotendo Prima per le spalle.
    “Mi ha detto chiaramente che il mondo che lui ha creato per noi non è stato ideato per essere utilizzato come campo di battaglia! Vuole che finiamo di combattere! I Pokémon, gli uomini, non devono morire per via di altre persone e Pokémon!”
    “Prima... se noi finissimo di combattere, quelli prenderebbero il tempio”
    “Sì. Lo so. È per questo che devo parlare con il capo degli ingiusti, Adamo, per fargli terminare questa guerra inutile”
    “Non parlerai con nessuno. Non posso permettere che tu rischi la tua vita. Quelle sono persone senza scrupoli”. Timoteo guardò negli occhi Prima, e le toccò la mano. I loro sguardi erano dolci.
    “Devo parlare con Adamo”
    Timoteo sospirò, abbassò il volto e strinse la mano della ragazza. “Non puoi farlo”
    “È l’unico modo per salvarci”
    “Arceus ucciderà tutti?”
    “Si riprenderà quello che era suo, e lo chiuderà nell’Uovo della Vita”
    “Ma... è l’uovo dal quale è nato!”
    “Esatto”
    “Dopodiché non ci sarà più nulla...” ringhiò Timoteo.
    “Lasciami andare” la voce della ragazza si addolciva ogni volta di più.
    “Verrò anche io con te. Per sicurezza”
    “Grazie”, e gli occhi di Prima si riempirono di riconoscenza. Timoteo indossò la sua armatura, tralasciando l’elmo, infilò la spada nel suo fodero e sospirò.
    “Ragazzi, state in allerta” disse infine alle sue truppe. Del resto, era un generale. “Haxorus, seguici” continuò. Guardò Prima, che annuì al suo sguardo.
    “Abra, teletrasportaci da Adamo”
    E sparirono.

    Adamo sospirava, non riusciva a dormire. I biondi capelli, lunghi fino alle spalle, catturavano troppo calore. E questo non andava bene quando il caldo era troppo.
    Decise di alzarsi, e sapeva quanto potesse essere faticoso, dato che non levava mai quell'armatura rossa e nera da dosso. Aveva paura di un attacco da parte di nemici. La sua tenda era vuota.
    Si guardò le mani, piene di tagli.
    La guerra.
    Dovevano conquistare il Monte Trave. Dovevano farlo per Nestore. Lui aveva promesso loro fama, potere, denaro, cibo, donne, e tutto ciò che poteva rendere la loro esistenza migliore.
    Era perso nei suoi pensieri, quando d’un tratto si rese conto che il suo peggior nemico era nella sua tenda. La punta della spada di Timoteo pungeva il pomo ad Adamo. Che ironia.
    Quest’ultimo mosse gli occhi, neri come la pece, incuriosito dalla figura accanto al templare.
    “Lei... lei è l’oracolo” osservò sorridente e stupito quello. “Avete del fegato a venire qui”
    “A dispetto di quello che sembra veniamo in pace” disse serio Timoteo.
    “Allora levami la spada dal collo”
    Beh. Ovvio.
    Timoteo abbassò l’arma, e guardò Haxorus. Aveva paura che il Gengar di Adamo fosse nascosto nell'ombra ed attaccasse all'improvviso.
    “Che vi porta qui?” domandò Adamo.
    “L’oracolo è entrata in contatto con Arceus” rispose l’altro.
    “Oh... Arceus. Cosa vorrà mai, da noi?” fece lui, tutto sorridente.
    Prima sospirò. “Ecco. La profezia è chiara. Il mondo così come lo conosciamo è stato un dono della benevolenza del grande Arceus. Ci ha donato i fiumi, per dissetarci, la terra, per sfamarci, e soprattutto i Pokémon, perché siano fedeli compagni ed amici. La grande guerra che state scatenando per il Cristallo dell’Armonia ha portato solo la morte di tantissime persone. E di Pokémon. Lui non ha creato i Pokémon per utilizzarli come armi. Li ha creati per far sì che entrino in simbiosi con noi. Perché diventino nostri fedeli alleati nella vita di tutti i giorni. Ebbene, la pazienza di Arceus è finita. La profezia di Arceus si avvererà e per noi sarà la fine”
    “Quale profezia?” chiesero in coro Timoteo ed Adamo.
    “Nessun’anima avrebbe dovuto separarsi dal suo corpo. Nessuna. Ora vuole che la sua benevolenza sia ripagato dalla fede che noi abbiamo in lui. Sono 1000 anni, quelli che ci ha concesso. Se entro mille anni non finirete di utilizzare i Pokémon a scopo di guerra, gli elementi si rivolteranno contro di noi, annientando ogni persona e Pokémon, e facendo sì che tutto il creato torni a fare parte di lui, imprigionandolo nell'Uovo della Vita”
    Adamo rise di gusto.
    “Tra mille anni io sarò già morto”
    Prima spalancò gli occhi. Non riusciva a credere di aver ricevuto una risposta del genere.
    “Ma i tuoi discendenti moriranno! E non ci sarà più nulla per cui combattere!”
    “Oracolo, fatti da parte. Ho un tempio da conquistare” disse quello, sguainando la spada, ma prontamente Timoteo rialzò la sua al collo di Adamo.
    “Siamo venuti in pace. E ce ne andremo in pace”
    “Non penso. Gengar, usa Malosguardo”
    Improvvisamente due occhi ed un sorriso arcigno apparvero su di una larga ombra sul pavimento. Nessuno riusciva più a muoversi.
    “No! Sei un vigliacco!” urlò Timoteo, mentre il volto di Prima sbiancò.
    Intanto Haxorus ruggiva di rabbia, sentiva le mani infide del fantasma toccargli la coda. Riusciva solo a muovere la bocca, il suo corpo era paralizzato lì.
    “Lascia stare Haxorus, bastardo!” urlò il templare.
    “Abra! Dobbiamo fermare Gengar! Usa Bullo!” ordinò Prima.
    I poteri di Abra fecero effetto, la capacità offensiva di Gengar Aumentò, ma il Pokémon divenne confuso, incapace di tenere la presa del Malosguardo sui nemici.
    “No! Gengar, riprenditi!” urlò Adamo, mentre combatteva a colpi di spada contro Timoteo.
    “Dobbiamo andare via da qui!” urlò Prima. “Abra! Teletrasporto!”
    E sparirono di lì.
    “No! Truppe! Attacchiamo!” urlò Adamo, ed il suo urlo si espanse attorno a lui come fiamme in un campo di grano.

    Prima e Timoteo, assieme ai loro Pokémon si materializzarono nell'accampamento dei templari. Questi si spaventarono, di primo acchito, quando li videro apparire, poi riconobbero il generale e si tranquillizzarono.
    La tensione era papabile. Timoteo aveva voglia di urlare. Si voltò verso le sue truppe.
    “Uomini. Dobbiamo prepararci a combattere. Questa notte sarà lunga. E noi dobbiamo necessariamente vedere il sole domattina”
    Tutti obbedirono agli ordini, e si schierarono sulle proprie linee, aspettando i comandi del generale.
    “Prima. Devi tornare al tempio”
    Quella affannava vistosamente, il cuore le martellava nel petto, e sussultò quando incontrò gli occhi dell’uomo.
    “Timoteo... devi seguirmi”
    “E perché?”
    “Vieni con me al tempio, ti prego. Per un attimo, ma vieni con me”
    Prima sembrava disperata.
    “Non posso lasciare i miei uomini qui”
    Ma l’oracolo così decise, quindi Abra li teletrasportò sul Monte Trave, davanti la porta del tempio. Il cielo era scuro e denso, due fiaccole accostavano l’ingresso del luogo sacro. Timoteo pareva visibilmente contrariato.
    “Dannazione, Prima! Ti ho detto che non volevo lasciare i miei uomini!”
    E fu allora che Prima si lasciò andare ancora al pianto. Troppe emozioni. Guardare il futuro con gli occhi di una donna acerba era difficile. Non riusciva a mantenere sulle spalle il peso di ciò che riusciva a vedere.
    “Prima... calmati” fu meno ruvido l’uomo.
    “Timoteo... se tu lotterai, stanotte, verrai ucciso”
    Timoteo sbiancò. “Cosa?!”
    “Verrai ucciso dal fuoco”
    “Fuoco? Verrò ucciso dal fuoco?”
    “Ti prego, non andare!” urlò quella, stringendolo, poggiando la faccia sulla fredda armatura. Avrebbe voluto che quella non ci fosse, in quel momento.
    “Prima...”
    “Non andare lì. So che vuoi andarci, so che vuoi lottare. Ma desisti. Rimani con me!”
    “Prima, io non posso lasciare i miei uomini da soli”
    “Non lasciare sola me”
    “Tu non sei sola. Io sarò sempre con te”
    “No, Timoteo. Morirai. E non sarò più in grado di amare un uomo con l’animo limpido come il tuo”
    Quello abbassò la testa, come se fosse stato sconfitto. “Anche io ti amo, Prima”. Il suo destino era segnato. Questo perché sarebbe andato a combattere.
    “Non andare”
    “Posso solo garantirti che sarai l’ultimo pensiero, prima di morire”
    Quella spalancò gli occhi, e schiuse la bocca. La mano piccola e affusolata andò a toccargli la barba.
    “Timoteo...”
    Le lacrime le laceravano il viso, sembravano tagliarle le guance in due parti distinte. La felicità. Desiderava quella. Desiderava vedersi madre, donna, desiderava vedere il mare, non c’era mai riuscita, desiderava avere per sé quel bellissimo uomo. Desiderava fare l’amore con lui, ma ormai era inutile. Lui aveva preso la sua decisione. Aveva deciso il suo futuro. Ed in quel futuro non c’era Prima.
    Ma intanto c’era il presente. Un presente speciale, di quelli che ti scappano dalle mani quando meno te lo aspetti, fatto di sorrisi, belle labbra e desideri inespressi.
    La vita è un qualcosa di troppo prezioso per essere gettata così.
    Lui era l’unica persona in questo mondo che, pur sapendo che sarebbe dovuto morire, non si perse d’animo, cercando di fare più danni possibili prima che le fiamme lo inghiottissero.
    Guardò il manico della sua spada, compagna di tante avventure.
    Poi guardò Prima. Compagna di tante fantasie. Fantasie che andavano oltre le loro possibilità. Lei non poteva amarlo, tante responsabilità caricavano il suo esile corpo di pesi che non era in grado di portare senza la massima concentrazione.
    Lui invece la amava. Ma non poteva averla. Decise che la cosa migliore da fare era dare tutto in battaglia. La sua ultima battaglia. Si girò e fece per andarsene, quando la voce della ragazza lo fermò.
    “Tu potresti rimanere qui con me. Ma hai un ruolo. Hai un orgoglio, e sei un esempio da seguire per quei giovani soldati. Non puoi rimanere”
    Timoteo annuì, confuso.
    “Ci conosciamo da tanto. E durante tutto questo tempo mi hai regalato delle emozioni bellissime. E tanti sorrisi. Mi hai protetta, come una sorella, come una figlia. Ma devi sapere che ti amo”
    “Anche io ti amo” disse a testa bassa lui.
    “Donami per l’ultima volta qualcosa. Donami quelle sensazioni che non mi hai dato mai”
    Timoteo schiuse le labbra, tirandola a se. La baciò, stringendola vigorosamente.
    Fu forte.
    Poi lei lo prese per mano, tirandolo in una stanza del tempio, dove nessuno tranne l’oracolo poteva entrare.
    E lì lui le donò qualcosa che sopravviveva ad ogni disastro.
    Lui le donò l’amore.
    Ma come se fossero stati in una bolla di sapone e questa fosse scoppiata, tutto finì. Si resero presentabili, tornando di nuovo davanti al tempio.
    “Ti amo. Vai” disse lei.
    “Ciao” rispose quello, baciandola, spingendola contro il suo corpo, freddo sotto le mani della giovane donna per via dell’armatura. La croce rossa dipinta su di essa sembrava essere incandescente.
    “Non dimenticarti mai di me” disse quella.
    “Non lo farò mai”
    Infine Timoteo impugnò la sua spada, e cominciò a scendere i 1000 gradini degli eroi. Ogni gradino aveva inciso il nome di uno dei 1000 eroi di Adamanta. Ma Prima lo sapeva, ne prese coscienza mentre lo guardava scendere le scale a testa alta.
    Lui sarebbe divenuto il più grande tra tutti quelli.
     
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    Capitolo 1° - Risveglio


    “No...”. Una voce femminile tagliò la tranquillità di quella notte. “Basta...”
    Qualcosa la turbava.
    Rintanata sotto uno spesso strato di coperte, una ragazza dormiva un sonno agitato. Si lamentava di continuo ed il silenzio notturno faceva rimbalzare i suoi mugolii contro le bianche mura della stanza.
    Dei lunghi capelli corvini erano sparsi a raggiera sulle lenzuola bianche, mentre la sua pelle candida era segnata da alcune goccioline di sudore, che le imperlavano la fronte e scintillavano nell'aria illuminata dalla luna.
    Era stanca. Stanca di agitarsi. Voleva dormire. E qualcosa o qualcuno esaudì il suo desiderio.
    Improvvisamente, smise di lamentarsi e rimase immobile nel silenzio, riprendendo a respirare tranquillamente.
    Fra le sue braccia stringeva un ragazzino. Avrà avuto al massimo sei anni. Si svegliò, stirando leggermente le spalle e osservando il sonno della ragazza con aria interrogativa.
    Il ragazzino aveva grandi occhi cerulei, i capelli rossi erano spettinati, arruffati sulla fronte, e vestiva una maglia, decisamente troppo grande per lui, che gli lasciava metà del busto scoperto, calandogli su una delle gracili spalle. Fissò la ragazza per qualche secondo, senza emettere alcun suono, poi, piegando nuovamente la testa di lato, le scosse debolmente una spalla, tentando di svegliarla, come se si fosse preoccupato per l’improvvisa mancanza di suoni della giovane. Non ottenendo risposta al primo scrollone, decise di riprovare con maggior veemenza, facendo emettere un lamento alla ragazza, che si limitò a lamentarsi con voce impastata sul fatto che fosse troppo presto per svegliarsi. Adesso il piccolo sembrava decisamente contrariato, quindi si mise in piedi sul letto e iniziò a saltare, in modo da smuoverla definitivamente. Questa volta il suo tentativo ebbe effetto tant'è che la ragazza desistette dall'idea di dormire ancora e aprì gli occhi, osservando con aria seccata il ragazzino e piantando gli occhi di ghiaccio in quelli del bimbo che la fissava soddisfatto. Con un ultimo salto cadde sulle ginocchia, davanti a lei, mostrandole un sorriso furbo.
    “Ma si può sapere cos'hai da saltellare alle...”. La ragazza, con voce assonnata si girò verso il comodino. Una sveglia al led segnava le quattro del mattino.
    Prima di parlare emise un lamento. “...diamine, Zorua, non sono nemmeno le sei, torna a dormire, per favore...”
    Il Pokémon, che come tutte le notti per dormirle accanto prendeva sembianze umane, scrollò nuovamente la testa, e indicò fuori dalla finestra. La camera della ragazza divideva con quella del fratello la mansarda di una piccola casa a tre piani e dalla finestra che prendeva buona parte del soffitto spiovente si poteva ammirare sia il cielo che il paesaggio sottostante. Quella notte non aveva nevicato, ma un sottile strato di brina si era posato sul vetro. La ragazza vi pose sopra la mano, senza ritrarla quando il contatto col vetro gelido le trasmise un brivido per tutto il braccio. Il Pokémon le si avvicinò abbracciandola da dietro e guardando fuori con lei.
    “Se stai pensando di uscire, piccolo disgraziato, sappi che puoi scordartelo” lo avvertì subito, mentre si sistemava una felpa sulla maglia del pigiama. Il suo fiato formava timide nuvolette nell'aria e intuiva il gelo esterno dalla mano posata sul vetro. Nossignore, non era davvero il caso di uscire, per niente al mondo.
    Si rimise a letto, dando le spalle al ragazzino, che continuava a fissarla, senza spostare lo sguardo di un solo millimetro dal centro delle sua scapole.
    Dopo un quarto d’ora il Pokémon era tornato ad avere il suo aspetto originario e la ragazza si stava cambiando, maledicendo a bassa voce la sua incapacità nel negare qualcosa al piccolo Pokémon.
    La ragazza si muoveva silenziosamente, attenta a non fare il minimo rumore, eppure le sembrava che ogni passo risuonasse amplificato, quasi stridulo. Lasciò un post-it attaccato alla porta della propria camera:

    Torno fra poco, Zorua ha uno dei suoi momenti no. Cerca di non preoccuparti.
    Rachel


    Si infilò il cappotto e si avvolse la lunga sciarpa attorno al collo sottile, quindi si immerse nel buio della città.
    La loro casa era in periferia, e appena un centinaio di metri più avanti si intravedevano gli alberi che costellavano lo stretto e tortuoso sentiero, usato dai pochi folli che non volevano usare mezzi di trasporto per arrivare alla periferia della metropoli della regione. Gli alberi sembravano inglobare la luce lunare, che non riuscendo a penetrare con i suoi raggi argentei la fitta vegetazione, sembrava ritirarsene sdegnata. Zorua sembrava osservare anch'esso la piccola voragine oscura. Per lui, un Pokémon di tipo buio, tutto ciò era il suo ambiente naturale, ma Rachel preferiva starsene alla larga, si sentiva inquieta quando gli si avvicinava ed ora, alle quattro e mezza del mattino, non sembrava una buona idea avventurarvisi.
    “No, tutto tranne quello e sappi che stavolta sono seria”
    Ogni parola era una nuvoletta nell'aria gelida e la ragazza stava per iniziare a tremare, si pentì immediatamente di non aver preso i guanti e si infilò le mani ghiacciate nelle tasche del cappotto, trovando immediato sollievo. Zorua osservò ancora per qualche secondo il baratro nero del bosco, poi decise di risparmiare alla ragazza quell'ulteriore seccatura e le trotterellò accanto, strusciandosi contro le gambe slanciate della sua allenatrice. La passeggiata li portò nelle vie interne della città, esplorando quei vicoli che ormai la ragazza conosceva bene e che erano spesso meta delle loro camminate, del loro vagare senza meta. Rachel amava camminare, adorava i vicoli stretti di quella città antica, le viuzze con quelle mura alte che permettevano brevi sprazzi di cielo la proteggevano e la tranquillizzavano, dandole l’impressione che tutto ciò che la circondava esistesse al solo fine di farla sentire sicura e lontana da ogni possibile problema.
    Continuò a camminare fino circa all'alba, quando Zorua sembrò ritenersi soddisfatto dell’escursione.
    La ragazza non si sentiva più i piedi. Non sapeva se fosse più per il freddo o per la stanchezza. Desiderava solo il suo letto e poter dormire di nuovo quel sonno profondo che aveva prima di svegliarsi. Per un attimo si fermò a pensare, era stato davvero un sonno scuro e pesante, quello che aveva avuto quella notte? Si bloccò un attimo a riflettere, cercando di concentrarsi sulla sensazione provata appena sveglia, ma le sfuggiva. Decise di rinunciare e tornò a casa, percorrendo in fretta gli ultimi passi che la separavano dalla porta.
    ‘Il ritorno è sempre più breve’ Pensò mentre infilava la chiave nella serratura, facendola girare due volte ed entrando nel familiare ambiente riscaldato che era il salotto. Velocemente si richiuse la porta alle spalle, beandosi del calore della casa, senza notare la luce accesa che dalla cucina illuminava anche la sala.
    “Ce ne hai messo di tempo!”
    La voce maschile che veniva dalle sue spalle la fece sobbalzare, facendole quasi perdere la presa sulle chiavi, che riuscì a reggere per puro istinto. Si voltò di scatto, verso il ragazzo coi capelli dorati e gli occhi cremisi, che la fissava con aria divertita.
    Con un gesto fluido le prese le chiavi dalle mani e le ripose sulla griglia accanto alla porta. In quel momento Rachel notò che aveva in mano il biglietto che aveva lasciato poche ore fa quando era uscita. Era notevolmente stropicciato, come se il ragazzo l’avesse tenuto per tutto il tempo.
    “È da tanto che sei sveglio?” si limitò a chiedergli con aria innocente.
    Lui la guardò da sopra la spalla, accennando al fatto che l’aveva sentita uscire e si era preoccupato. Dopodiché sembrò voler chiudere il discorso, indicandole l’orologio e facendole notare che se correva a letto aveva almeno altre due ore di sonno. La ragazza lo guardò brevemente, poi annuì e si diresse in camera sua, salendo silenziosamente le due rampe di scale che la separavano dalla sua stanza e buttandosi sul letto.
    Il sonno la stava riaccogliendo tra le sue braccia, ed intanto lei si abbandonava ai suoi soliti pensieri sulla sua vita.
    Aveva diciassette anni e la vita le sembrava incredibilmente vuota. Viveva nella città di Primaluce da sempre, senza mai essersi spostata o trasferita, era rimasta orfana assieme a suo fratello tre anni prima, in seguito ad un incidente stradale che aveva coinvolto i loro genitori. Era stato un periodo buio, ma piano piano, forse, ne erano usciti, facendosi forza l’uno con l’altra. Oltre quello in lei non c’era niente di strano, nessuna malattia, nessun problema.
    Sospirò e tornò a ragionare. Era contenta di avere una vita tranquilla, non chiedeva niente di eccessivo, ma a volte si sentiva incapace di apprezzare quella tranquillità, e segretamente se ne vergognava.
    Poi crollò.
    Due ore dopo si svegliò ancora più confusa, tanto da chiedersi perché si fosse addormentata vestita e ricordando solo dopo una manciata di secondi cosa fosse accaduto durante la notte. Erano le otto del mattino e la casa era nuovamente vuota. Nessun foglietto in casa stavolta, e nessuna voce provenire dal corridoio, Ryan era in giro ad allenarsi. Decise di prepararsi un rapido pranzo al sacco, un paio di panini e uscire in strada col suo Pokémon.
    Il sole stavolta l’accolse abbagliandola. Aveva asciugato tutta la brina della notte e dal pallido cerchio bianco che era all'alba adesso si mostrava un disco d’oro ed iniziava ad imporsi sulla città, illuminando il sabato mattina invernale di una luce quasi primaverile. Una volta arrivata al limite del percorso buio della notte, Rachel constatò che la prepotente luce del sole era riuscita laddove quella della luna aveva fallito, ora il sentiero era chiaramente visibile e non la spaventava più. Si limitò a lanciare un occhiata a Zorua, che le annuì di rimando e si inoltrarono nel fitto della vegetazione.
    Era stato suo fratello, anni prima ad insegnarle a combattere, ed a farle capire che se si voleva davvero diventare bravi bisognava allenarsi quotidianamente, quindi la ragazza, ogni sabato mattina, quando non aveva da fare in casa si concedeva qualche ora nel bosco, ad affinare le capacità di Zorua.

    Il sentiero si perdeva nel fitto della boscaglia e continuava così fino alla città successiva, tuttavia se si seguiva una stradina secondaria dopo essersi inoltrati per il bosco si arrivava in una piccola radura. Era lì che andava ad allenarsi, quasi sempre da sola. Ricordava vagamente di una volta in cui Ryan l’aveva seguita e lei l’aveva scacciato arrabbiata per l’intrusione in quello che considerava una specie di luogo segreto.
    Come sempre buona parte del suo allenamento con Zorua era volto ad incrementare la potenza dei suoi attacchi, l’altra per le sue abilità fisiche, come velocità e resistenza. Era con quest’ultime che aveva iniziato quella giornata. Zorua si muoveva agile, saltando da una roccia all'altra dello spiazzo, e cercando di afferrare dei piccoli oggetti che l’allenatrice gli tirava in rapida successione. Era migliorato da quando avevano iniziato ad allenarsi, ma Rachel sapeva che l’unico vero modo per testare le proprie abilità era in un vero combattimento, ma fino ad allora non ne avevano mai fatto nemmeno uno.
    Zorua decise che era arrivato il momento di concedersi una pausa, e repentinamente si fermò acciambellandosi su se stesso e trovandosi un bel posticino all'ombra. Rachel, avvolta nel suo cappotto non capiva come potesse starsene al riparo dal sole con un freddo tanto pungente. Fu mentre rifletteva su questo ininfluente dramma esistenziale che sentì una voce alle sue spalle
    “Ma allora ci viene davvero qualcuno qui!”
    Rachel si voltò di scatto, allarmata. Anche Zorua reagì prontamente affiancandola. Dal fitto del bosco uscì fuori un ragazzo, sembrava avere qualche anno in più della ragazza e aveva capelli castani scompigliati, un piumino verde oliva corto, e un semplice paio di jeans, gli occhi erano chiari, ma il ragazzo aveva la luce del sole sul viso e li socchiudeva, quindi la ragazza non riuscì a distinguerne il colore. Sembrava essere più alto di lei di una manciata di centimetri.
    “Scusate, non era mia intenzione spaventarvi”
    Il ragazzo alzò le mani, con fare scherzoso, aveva un sorriso caldo, solare, ma la ragazza non poté fare a meno di vederlo come un intruso.
    “Sei un’allenatrice, vero? Oh, uno Zorua, è raro trovarne! So che sono capaci di creare illusioni davvero realistiche ma non le ho mai viste! Comunque fa freddo qui, eh? E che allenamento stavate facendo? Una specie di prova di agility? E da quanto vi allenate?”
    Il ragazzo iniziò a sparare domande a raffica, tanto che Rachel inconsciamente fece un passo indietro. Non aveva mai visto persone che si dimostravano tanto loquaci col primo che incontravano, cercò di blaterare una qualche risposta, ma la parlantina del ragazzo sembrava sommergerla tanto da paralizzarla. Improvvisamente il ragazzo tacque, per un breve secondo, come se stesse pensando a qualcosa di importante, poi risollevò lo sguardo sulla ragazza
    “Che ne dici di una lotta?”
    Lo propose col tono allegro che aveva avuto fino a poco fa, e con lo sguardo che gli brillava.
    Rachel era tentata, aveva bisogno di allenarsi, ma d’altra parte né lei né Zorua avevano mai combattuto seriamente prima di allora.
    Il ragazzo sembrò intuire la sua indecisione e le venne incontro
    “Non sto dicendo una lotta all'ultimo sangue, tranquilla!” si limitò a dirle sorridendo “Giusto un modo diverso per allenarsi, un’amichevole!”
    Rachel guardò Zorua, che annuì lievemente. Se il suo Pokémon voleva lottare... Bé, lei non si sarebbe tirata certo indietro!
    “Okay... va bene, accetto!”
    Non sapeva che tipo di Pokémon avrebbe usato il suo avversario, ma sapeva che Zorua era un Pokémon abbastanza versatile, quindi non era eccessivamente preoccupata.
    Il ragazzo le sorrise, contento del suo entusiasmo, e tirò fuori la sua Poké Ball.
    “Bene, iniziamo! Non ci sono regole, ma cerchiamo di non farci troppo male e ricordiamoci che questo è un allenamento!” si limitò a dirle mentre lanciava la ball in campo.
    Da quella uscì un Growlithe piuttosto arzillo, il pelo era stato lasciato crescere un po’ più lungo del classico e aveva la stessa aria arruffata dei capelli del suo proprietario. Ma soprattutto era di un colore alquanto particolare, la ragazza non aveva mai visto molti Growlithe (forse nessuno) ma era sicura che c’era qualcosa di sbagliato nel colore di quell'esemplare. Tuttavia cercò di tralasciare quella questione, sapeva sì che Zorua era un Pokémon abbastanza versatile, ma sapeva di non avere alcuna mossa efficace contro il suo tipo. Guardò di nuovo il suo Pokémon, ma Zorua sembrava abbastanza sicuro di sé da trasmettere fiducia anche a lei. Fu di nuovo il suo avversario a parlare
    “Quando ti senti pronta possiamo iniziare, dal canto nostro, noi siamo nati pronti!”
    Aveva un entusiasmo inarrestabile, la ragazza dovette ammetterlo.
    “Siamo pronti anche noi, vero Zorua?” Zorua rispose mettendosi in posizione, piantandosi bene a terra, pronto ad eseguire l’ordine della sua allenatrice.
    “Bene...” proseguì il ragazzo “Allora pronti... Via!” diede l’attacco ed entrambi i Pokémon scattarono in avanti, pronti a ricevere istruzioni sul da farsi. Rachel fu la prima ad imporsi
    “Zorua, Agilità, subito!”
    La piccola volpe oscura eseguì immediatamente l’attacco, iniziando a correre ed aumentando sempre di più la propria velocità
    “Una mossa strategica... buon inizio, ma non ci spaventa! Growlithe, Ruotafuoco!”
    Il contrattacco del giovane non tardò a farsi vedere, e il canide attaccò il volpino a piena potenza dopo essersi ricoperto di fiamme. Rachel stava per farsi prendere dal panico, ma poco prima che l’attacco riuscisse a raggiungere il suo Pokémon riuscì a pensare ad una difesa.
    “Zorua, Protezione!”
    Zorua riuscì ad uscire illeso dall'attacco avversario e sfruttò la sua velocità per portarsi a distanza di sicurezza dal Pokémon infuocato. Il suo avversario sembrò voler temporeggiare, dando il tempo a Rachel di chiamare un attacco. Era sicuramente più esperto di lei e già da quei due primi colpi se ne era probabilmente reso conto anche lui, e forse per cavalleria le concedeva più tempo per pensare ai propri attacchi. Poco male, pensò la ragazza, sarebbe riuscita a sfruttare questa sua galanteria per provare a sconfiggerlo sul serio.
    “Zorua, non c’è tempo per riposare, attacca con Finta!”
    Il Pokémon attaccò frontalmente il Growlithe nemico, svanendo all'ultimo momento, tanto che il Pokémon avversario e il suo allenatore rimasero spiazzati, per qualche secondo, che gli impedì di notare il piccolo Pokémon apparire alle spalle del suo avversario e colpirlo alla massima potenza. Il Pokémon cagnolino subì in pieno il colpo, restando un poco stordito e scuotendo la testa per riprendersi.
    “Però” fece eco il ragazzo “credevo di avere davanti una principiante e invece direi che le basi le conosci più che bene!” sembrava sinceramente stupito. Gli occhi, che Rachel adesso riuscì a identificare come verdi, erano genuinamente sorpresi.
    “Comunque, signorina, non credere che sarà così facile, adesso il contrattacco è mio e non potrai difenderti di nuovo come prima! Avanti, Growlithe attacca con Rogodenti”
    Stavolta Rachel non poté far nulla. L’attacco colpi diretto e preciso, lasciando Zorua incapace di reagire e scottato.
    “Zorua!”
    Rachel lo gridò senza rendersene conto: era la prima volta che vedeva il suo Pokémon subire un attacco e venir ferito e si accorse anche di non aver rimedi con sé per curarlo, probabilmente Ryan ne aveva con sé, ma non era con lei in quel momento. La ragazza rimase pietrificata per qualche secondo finché il ragazzo non richiamò il suo Pokémon nella sua sfera.
    “Basta così” si limitò a dire quello. Rachel voleva protestare, ma lui la fermò con un gesto della mano.
    “È solo un allenamento, mica una lotta vera, non dobbiamo continuare finché uno dei due non finisce esausto. Rilassati.” il suo tono era rassicurante, calmo. Si avvicinò a lei con una bacca in mano, Rachel non riuscì a distinguerla finché il ragazzo non gliela posò direttamente fra le mani.
    “È per la scottatura, fagliela mangiare, non è molto buona ma vedrai che gli farà bene!” le sorrise cercando di rassicurarla e le mise una mano sulla testa “Te la sei cavata bene per essere una principiante, sul serio, ma cerca di tranquillizzarti un po’ e di rilassarti, in battaglia ci si deve divertire, non bisogna farne una questione di vita o di morte!” La ragazza lo ascoltava un po’ assente, fissando la bacca nella sua mano. Alzando lo sguardo incrociò un ciondolo bizzarro che il ragazzo portava al collo. Era una pietra ovale, di circa cinque centimetri di grandezza, sotto la luce del sole sembrava cambiare colore, come gli occhi cangianti dei gatti, passando da un verde smeraldo ad un viola, ad un blu, un giallo e... sbatté gli occhi, staccandoli dal ciondolo del ragazzo, cercando di rimettere a fuoco quello che le stava dicendo.
    “Sì, hai ragione, grazie mille” si limitò a rispondere sperando di apparire anche solo vagamente convincente. Il ragazzo sembrò soddisfatto, quindi le batté delicatamente la mano sulla testa prima di andarsene.
    “Stammi bene!” le esclamò allontanandosi mentre la salutava con un cenno della mano.
    Rachel rimase ancora imbambolata per qualche istante poi si ricordò della bacca nella sua mano e del suo Pokémon che, più in forma di quanto pensasse si leccava la ferita sulla zampa che Growlithe gli aveva procurato. Gli si inginocchiò accanto, guardando con aria perplessa la bacca che teneva in mano e la ferita di Zorua, fu quest’ultimo a venirle in aiuto, mordendo la bacca e leccandosi poi la ferita. Una volta intuito come funzionasse fu la ragazza stessa a medicargliela. Mentre aspettava che facesse effetto mangiarono entrambi. Il sole ormai era arrivato allo zenit e entrambi erano stanchi. Rachel non dovette chiedere al suo Pokémon per capire che era il caso di tornare a casa.
    Camminò lentamente per il percorso di ritorno, Zorua adesso riposava nella sua Ball e la giovane dovette attraversare il sentiero da sola. Pensava a quello strano tipo ed al fatto che l’avesse sconfitta, perché non era né un pareggio né una vittoria, lo sapeva bene. Aveva avuto la sua prima lotta. E l’aveva persa. Stava iniziando a rendersi conto solo adesso della cosa e non le piaceva affatto. Non voleva far ferire il suo Pokémon, non voleva perdere, non voleva restare paralizzata tanto da non capire cosa fare.

    Tornò a casa dopo una mezz’ora passata a camminare con una lentezza quasi allarmante, aveva la testa completamente fra le nuvole e si rese conto solo in quel momento di non sapere nemmeno come quel ragazzo si chiamasse. Era stato uno scontro casuale, un’amichevole fra sconosciuti e tanti saluti. L’aveva sconfitta ed era sparito. Non era tanto il fatto che fosse sparito il problema, meno persone in giro conoscevano quella radura più pace aveva lei, ma il fatto che non avrebbe più avuto modo di ottenere una rivincita, di dimostrare che, bé, sì, aveva perso una lotta, ma che era stato a causa dell’inesperienza e non dell’inabilità e che la prossima volta che a qualcuno fosse venuto in mente di sfidarla gli avrebbe fatto capire chi comandava.
    Una volta tornata a casa sentì il rumore della doccia al piano superiore, suo fratello doveva essere tornato da poco. Non aveva la forza di salire i due piani di scale, quindi si buttò sul divano del soggiorno, rigirandosi fra le mani la Poké Ball dove Zorua dormiva e recuperava dalle sue ferite, valutò l’idea di guardare un po’ di tv, ma realizzò che il telecomando era decisamente troppo lontano dal posto dove si era seduta e sbuffò pesantemente, sprofondando ancora di più nei cuscini e chiudendo gli occhi. Lì riaprì dopo qualche secondo, sentendosi toccare sulla spalla. Era il Gallade di suo fratello, che le allungava il telecomando. Non si era accorta della sua presenza nella stanza, ma non ne rimase sorpresa. Conosceva Gallade da quando era piccola, era stato il primo Pokémon di suo fratello e quando lei aveva 4 anni era un timido Ralts che raramente si mostrava a qualcuno oltre il suo allenatore. Adesso che era arrivato al capolinea della sua evoluzione era potente e veloce e si occupava generalmente sia delle lotte sia di aiutare in casa sia di difendere la stessa casa.
    “Grazie, Gallade. È da tanto che siete tornati tu e Ryan?”
    Rachel lo chiese mentre con le dita affusolate prendeva il telecomando dal Pokémon e lo usava per fare un rapido zapping nei canali. Il Pokémon le annuì brevemente, e poi tornò a fissarla. Nonostante si fosse evoluto da molto il Pokémon aveva mantenuto la capacità di percepire le sensazioni di chi gli stava attorno, e probabilmente aveva anche percepito il malumore della ragazza. Rachel distolse lo sguardo dal Pokémon, concentrandosi sulle figure di una pubblicità di prodotti di cura per i Pokémon che promettevano risultati incredibili.
    “È tutto a posto, tranquillo.” cercò di giustificarsi “In ogni caso, non è che potresti chiedere a Ryan di scendere quando ha fatto?”
    Cercò di evadere lo sguardo del Pokémon, nella vana illusione che bastasse a far sì che non intuisse il suo umore. Se non altro quello era dotato di una comprensione dei problemi incredibile, quindi si limitò ad annuire nuovamente ed a dirigersi verso il piano superiore muovendosi tanto silenziosamente da credere che non stesse affatto camminando, ma galleggiando a pochi centimetri da terra.
    Guardò noiosamente la tv, continuando a passare in fretta da un canale all’altro, senza trovare qualcosa che la interessasse veramente.
    Mentre continuava imperterrita nella sua opera di zapping intravide qualcosa che le era familiare. Dapprima non se ne curò, fu solo dopo essere andata avanti di numerosi canali che le tornò in mente. Era il ragazzo. Quello che aveva incontrato in tarda mattinata. Quello che l’aveva sconfitta. Quello che col suo Growlithe aveva ferito Zorua (bé, okay, era normale nel contesto, ma lei ancora stentava a farsela piacere come situazione). Cercò di tornare indietro, senza riuscire a ritrovare il canale giusto, e iniziando ad imprecare a bassa voce.
    Quando Ryan entrò nel salotto si trovò davanti sua sorella, quasi seduta sul tavolino che teneva il telecomando quanto più vicino alla tv, intimando parole come "ti troverò, stanne pure sicuro".
    “Sei impazzita del tutto, oppure c’è un valido motivo per questa bizzarra sceneggiata?”
    La ragazza si bloccò alla voce del fratello, e si girò verso di lui, che la osservava con aria perplessa, subito dopo cercò di fare mente locale su quello che stava facendo e, notando la posizione che aveva assunto, lentamente riprese una postura umana sul divano. Guardò per altri due secondi il televisore, dubbiosa sulla possibilità di continuare a cercare oppure rinunciare e convincersi che forse alla fine era solo entrata in fissa con quella storia ridicola. Osservò di nuovo suo fratello, che la fissava con la testa leggermente piegata a destra, e decise di lasciar stare la ricerca e di raccontargli quello che era accaduto durante l’allenamento di poche ore prima.
    Rachel iniziò a riassumere gli eventi di quella mattinata, erano appena le quattro del pomeriggio ma era già stanca. Mentre raccontava, aveva fatto uscire Zorua dalla sfera, Ryan stava vedendo di curare la ferita del piccolo Pokémon e per farlo si erano spostati in cucina.
    “In pratica stai facendo tutto questo casino solo perché sei stata sconfitta, cosa normale per una principiante, e perché ti è sembrato di vederlo alla tv?” lo disse con voce atona, e con gli occhi concentrati sulla piccola fasciatura che aveva messo alla zampa del Pokémon malavolpe che il cucciolo si guardava con aria incuriosita e che spiccava nel pelo nero.
    “Ecco, vedi? Tu semplifichi troppo” brontolò la giovane “Non è tutto così semplice e lineare nella psiche di una ragazza.” mormorò riprendendo in braccio Zorua e carezzandogli distrattamente il ciuffo rosso.
    “E allora qual è il problema?”
    “Non ho saputo fare nulla, non sono stata in grado di reagire!” si voltò a guardare il fratello “Mi sono allenata con te, abbiamo anche lottato contro Pokémon selvatici. Ma niente! Adesso che c’era un altro allenatore non ho saputo fare niente!”
    Ryan sospirò nuovamente.
    “Ma da come sono andate le cose non hai davvero perso, avete solo trattato un pareggio, avete usato attacchi con potenza simile ed entrambi sono andati a segno... Forse tu saresti stata in svantaggio a continuare, ma la situazione si è conclusa lì e non c’è modo di dire che non avresti reagito in modo diverso se la sfida fosse continuata, magari mettendoci più rabbia e mettendolo ko...” fece una pausa mentre rimetteva a posto le bende avanzate e il disinfettante “adesso riposati e pensa bene a quello che è successo, a come ti senti e a cosa vorrai fare in futuro. Tieni presente che non è scritto ad nessuna parte che dovrai combattere con i tuoi Pokémon” rimase in silenzio per un attimo. Ryan era abbastanza rinomato in città come allenatore, oltre a Gallade aveva anche un esemplare piuttosto giovane di Trapinch, che non usava in battaglia ma che aveva comunque iniziato ad allenare con molta precisione. Rachel immaginò che per lui dire quella frase non fosse affatto facile. “Puoi restare con Zorua e mantenere il rapporto che avete adesso, senza dover per forza allenarlo per le lotte”
    “Hm.”
    Più che una risposta, quella di Rachel era stata un grugnito. Non si sentiva soddisfatta per il semplice motivo che la risposta che le era stata data era estremamente sensata. Se non sai farlo e non ne sopporti le conseguenze non farlo.
    “Ma se volessi farlo?” chiese innocentemente.
    “Allora cerca qualcuno da sfidare in città e fatti le ossa così, se vuoi posso venirti dietro e a fine match dirti cosa sbagli e come potresti migliorare, se vuoi, ma non posso fare miracoli, lo sai bene”
    La ragazza annuì nuovamente, conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere che se glielo avesse chiesto l’avrebbe riallenata da zero, ma non voleva arrivare a quello.
    Ringraziò il fratello per la disponibilità e corse su in camera, quella giornata poco a poco l’aveva stancata.
    “E non è ancora finita, eh?” chiese a Zorua, che aveva deposto sul letto e che adesso vi si rotolava beatamente, cercando di acciambellarsi per schiacciare un pisolino. Gli si sedette accanto, accarezzandogli il pelo.
    Combattere e allo stesso tempo desiderare che il proprio Pokémon non si ferisse era assurdo, eppure la sensazione che provava quando si allenava, quando lottava contro un Pokémon selvatico le piaceva, le faceva capire quanto realmente fossero connessi lei e Zorua.
    Per oggi aveva fatto abbastanza, erano appena le cinque quindi avrebbe passato il resto della giornata a rilassarsi, ma la salita sarebbe iniziata immediatamente il giorno dopo.


    Edited by Rachel Aori - 26/3/2014, 23:08
     
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    Capitolo 2° - Impulsi


    Quella notte Rachel dormì pesantemente. Stringeva Zorua a sé, parevano entrambi stremati.
    Mai come quella notte non ebbe tempo di fantasticare un po’. Solitamente sguinzagliava la sua mente, lasciandola un po’ libera prima di cadere tra le braccia di Morfeo, quella notte invece capì che aveva finito anche l’esigua energia per pensare.
    La mattina successiva si alzò prima del solito.
    La sera precedente aveva stilato una tabella di marcia. Tabella di marcia che prevedeva una mattinata piuttosto piena.
    Suo fratello le aveva suggerito di dirigersi in città, con l’intento di cercare sfidanti. A Rachel parve una buona idea, ma prima voleva assicurarsi che la ferita di Zorua non gli impedisse di combattere e per farlo si sarebbe accertata delle sue condizioni combattendo contro qualche Pokémon selvatico nel bosco.
    Si vestì e scese al piano di sotto.
    Ryan era già in piedi e osservava distrattamente la tv. I suoi occhi cremisi sembravano perdersi fuori dalla finestra, ignorando le macchie di colore sparse sul televisore. Pensava a qualcosa, qualcosa che intorpidiva i suoi sensi, tanto da non riuscire a percepire i passi della sorella per le scale.
    “Hey, tutto a posto?” domandò Rachel. Ryan tornò mentalmente attivo, sobbalzando e voltandosi di scatto. Fissò negli occhi la ragazza. Adorava il colore di quegli occhi. Non aveva mai visto nessuno con la stessa tonalità di azzurro. “Oh, Rachel, buongiorno. Ti sei svegliata presto” osservò.
    Il suo sorriso era tirato, stanco.
    “A quanto pare oggi avrò una giornata piena, quindi ho preferito anticipare la sveglia... hai già fatto colazione?” concluse spostando lo sguardo in direzione della cucina.
    Il ragazzo scosse la testa, seguendola in cucina e alzando il volume della tv in modo che potessero ascoltarla anche dalla stanza accanto.
    Rachel prese del succo dal frigo, mentre Ryan con la stessa aria distratta mise sul fuoco la macchinetta del caffè. Zorua, ancora in forma umana e con la benda sul braccio, lo guardava assorto.
    L’atteggiamento di Ryan incuriosiva la ragazza, anche se non vi diede più peso del necessario. Ryan era meteoropatico, e con una giornata nuvolosa come quella, la ragazza sapeva di non potersi aspettare molto dal suo umore. Prese un pacco di biscotti dalla mensola, ne allungò un paio al suo Pokémon e vide il fratello versarsi una tazzina di caffè.
    “Quindi che hai intenzione di fare?” le chiese d’un tratto.
    Rachel alzò gli occhi dai biscotti e pensò a come aveva ordinato la giornata.
    “Faccio colazione, preparo la borsa e vado nel bosco a vedere come se la cava Zorua contro qualche Pokémon selvatico... sai, per la ferita di ieri. Dopodiché vado al centro Pokémon e cerco qualche avversario... poi...” si fermò un attimo a pensare a quello che avrebbe fatto dopo. In quel momento l’attenzione di Ryan fu catturata dal TG alla tv, tanto che alzò la mano facendole segno di restare un attimo in silenzio.
    Allungò le orecchie, cercando di capire cosa avesse attirato l’attenzione del fratello.
    “...Proseguono nella regione di Hoenn violenti terremoti. Lo sciame sismico di natura sconosciuta che si è abbattuto sulla regione è in crescendo d’intensità, tanto che la città di Forestopoli è stata in larga misura evacuata e la palestra chiusa. Altri disagi si riscontrano nell’isola di Ceneride, dove il livello del mare si sta pericolosamente alzando. Per maggiori dettagli vi rimandiamo allo speciale...”
    Ryan scosse la testa, sospirando e riportando la sua attenzione al discorso della sorella.
    “Scusa, continua pure”
    “Dicevo, dopo il centro Pokémon non so davvero cosa fare, che mi consigli?”
    Il ragazzo restò qualche secondo a riflettere sul piano della ragazza, bevendo il caffè e pensando a quali altre alternative avesse. “Direi che per il momento può bastarti” concluse alla fine “Dopotutto come prima giornata è più che sufficiente” le sorrise. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa all’improvviso.
    “Aspettami qui” le disse sparendo al piano di sopra.
    Rachel annuì. Ryan tornò pochi secondi dopo che lei avesse finito di fare colazione.
    Il ragazzo mise sul tavolo degli oggetti che attirarono immediatamente l’attenzione della ragazza.
    “Qui abbiamo Poké Ball, pozioni ed antidoti” le disse.
    Rachel ovviamente sapeva già cosa fossero. Anche se non li aveva mai utilizzati, aveva visto diverse volte suo fratello prendersi cura di Gallade e Trapinch con rimedi simili.
    “Sono per me?” chiese con la voce emozionata. Suo fratello le annuì, guardandola con aria divertita.
    “Se vuoi andare prima al bosco ad allenarti potrebbero esserti utili, soprattutto le sfere. Zorua è un buon Pokémon, ma più Pokémon hai, più possibilità hai di vincere”
    Ryan spiegò brevemente l’utilizzo dei rimedi, cercando di essere il più chiaro e pratico possibile.
    “Tu verrai a guardarmi combattere?” domandò all’improvviso lei.
    Ryan annuì, dopo averle fatto un sorriso dolce.
    “Non so bene a che ora arriverò, ho una cosa da sbrigare, ma penso che per le 11 dovrei essere lì”
    Rachel fece un segno d’assenso. Zorua riprese la sua forma originale e rientrò nella sua sfera, mentre la ragazza si preparava ad uscire. Una volta pronta e con la borsa con i nuovi strumenti con sé si precipitò verso la radura.
    Il sole nascosto dietro le nubi era avaro di luce, rendendo il percorso nel bosco inquietante. Anche se Zorua non era al massimo delle forze, aveva capito che era benissimo in grado di difenderla da pericoli medio-piccoli, e quindi, a meno che non avesse trovato un Feraligatr in quel bosco, cosa alquanto improbabile, poteva contare sul suo migliore amico. E poi la strada la conosceva a memoria.
    Batterono qualche piccolo Pokémon coleottero, per lo più Wurmple, prima di arrivare alla radura.
    Era in ansia all’idea che potesse di nuovo trovare lo strano ragazzo del giorno prima, ma una volta arrivata notò che la radura era vuota. Tirò un sospiro di sollievo, senza rendersene conto, ed iniziò il solito allenamento fisico. Notò soddisfatta che Zorua riusciva a muoversi senza problemi, la ferita era completamente guarita.
    “Adesso dovremmo seguire il consiglio di Ryan e catturare qualcosa, che dici?” Zorua la guardò un po’ dubbioso. La giovane gli carezzò la testa.
    “Tranquillo, non ti metterò mica da parte” lo canzonò. Il Pokémon si diede una scrollata, smuovendo il nero e lucido pelo.
    “Quindi... da queste parti cosa si può catturare?” ricordava vagamente di aver affrontato qualche piccolo Pokémon coleottero, ma non erano certo quelli il suo bersaglio.
    “Se proprio devo catturare qualcosa voglio che sia un Pokémon... forte... tu che dici?”
    Zorua emise il suo verso in assenso. Decisero di addentrarsi nel bosco alla ricerca di qualche Pokémon selvatico.
    Continuarono per circa due ore, nel bosco l’aria umida le faceva sentire ancora più freddo. Affrontarono qualche Caterpie, Sewaddle, ancora Wurmple e altri piccoli Pokémon, ma nessuno sembrò catturare l’attenzione della ragazza.
    “Il primo Pokémon che catturerò dev’essere qualcosa di grandioso, capisci? Uno di quelli che posso guardare negli occhi e dire: sì, aspettavo proprio lui!” parlava col suo Pokémon, proprio come se quello la potesse capire. Zorua le trotterellava al fianco, attento ad altri possibili avversari.
    Alla fine decisero di rinunciare e tornare in città. Aveva ancora gli strumenti nella borsa. Tirò fuori una Poké Ball osservandola con aria curiosa. Si chiedeva come sarebbe stata la sua prima cattura.
    Dentro di sé sperava non finisse come la sua prima lotta.
    Scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli corvini, poi si avventurò verso la città.
    Primaluce era un sobborgo piuttosto piccolo, da un lato dava sul mare, nell’entroterra c’era qualche casa e ben presto si perdeva nel Bosco Memoria. Era di origini antiche e la parte centrale era circondata da alte mura medioevali. All’epoca Primaluce era famosa come grande luogo di scambio e di commercio, ma oramai era solo un piccolo porto, utilizzato specialmente per l’arrivo delle merci da trasportare a Timea, metropoli e capitale della regione.
    Il Centro Pokémon si trovava proprio vicino al porto. Di solito era una zona piuttosto attiva, con un bel viavai di pescatori e allenatori, oltre che di qualche piccolo mercante che vendeva prodotti a basso prezzo su piccoli banchetti mobili. Rachel li visitava spesso. Nonostante non amasse molto portare catenine ed altri ninnoli, amava guardare la mercanzia.

    Una volta davanti alle porte del centro, la ragazza si bloccò per un secondo. Non aveva idea di come cercare uno sfidante, forse poteva riconoscere gli allenatori in mezzo ad un gruppo, vedendo quelli che avevano Poké Ball in vista.
    Riconobbe con noia di sentirsi totalmente spaesata.
    Entrò nel centro medico, nella speranza di trovare qualche conoscente, magari qualcuno degli amici di suo fratello a cui chiedere consiglio.
    C’era più gente del previsto e dopo un’occhiata fugace intuì che non ci sarebbe stato nessuno disposto a darle una mano. Si sedette nell’angolo di un divanetto, a debita distanza da una chiassosa coppia di bambine, probabilmente gemelle, probabilmente in attesa dei loro genitori.
    Continuava a restar lì a sprecare tempo quando si rese conto che erano quasi le dieci e mezza. Suo fratello sarebbe arrivato e lei gli avrebbe detto che non aveva affrontato nessuno perché si vergognava a chiedere una lotta. Scosse la testa con veemenza. Doveva affrontare la situazione. Si ricompose e si avvicinò ad un ragazzo, sembrava avesse la sua età.
    Rachel sfoderò il sorriso della domenica, e fece uscire Zorua dalla sua sfera, quindi gli toccò un braccio, per attirare la sua attenzione. “Ciao... ti andrebbe una sfida? Così, per allenamento...”
    Cercò di far sembrare il suo sguardo quanto più determinato possibile. Il giovane la guardò per un istante, cercando di valutare che tipo fosse, dopodiché le sorrise.
    “Va bene. Mi chiamo Kyle. E tu?” Il ragazzo dai capelli a spazzola corvini le porse la mano.
    “Rachel” gliela strinse.
    “Bene, Rachel, allora andiamo”
    Lei annuì e i due si diressero verso la sala di allenamento. Zorua li seguiva al trotto, concentrato.
    Arrivati sul campo, il ragazzo tirò fuori il suo Pokémon, un esemplare di Solrock. Zorua lo aspettava già in campo, ringhio poco convincente e assetto d’attacco, basso. Spavaldo.
    Al via i due ragazzi partirono con gli attacchi.
    “Solrock, vai con Introforza”
    Il Pokémon meteorite s’illuminò, emanando energia dal suo corpo.
    “Zorua, non farti intimorire! Ripicca!”
    Zorua incassò il colpo, senza tuttavia riportare danni preoccupanti, e si scagliò sul bersaglio, centrandolo in pieno e causandogli parecchi danni.
    Rachel non perse l’occasione e continuò l’attacco.
    “Ed ora, Zorua, vai con Sbigoattacco!”
    L’attacco preventivo di Zorua impedì a Solrock qualunque tipo di difesa, e fu quindi colpito.
    “No! Solrock, riprenditi!” urlò Kyle. Quello tornò a fluttuare davanti al ragazzo. “Bravo! Usa l’attacco Lanciafiamme!”
    Rachel spalancò gli occhi. L’immagine del fuoco che colpiva la sua povera volpe, nell’incontro precedente, le aveva causato non pochi problemi di autocontrollo. Vedeva l’avversario caricarsi, e cominciare a cacciare un getto di fiamme ad alta temperatura, diretta proprio contro Zorua.
    L’impatto era vicino, e poco prima che avvenisse, Zorua si girò verso Rachel, fissandola negli occhi, noncurante del fatto che stesse per essere colpito dall’avversario.
    E fu quello sguardo a dare l’impulso di un pensiero a Rachel. Un pensiero ben preciso.
    Zorua aveva bisogno di lei, delle sue parole, dei suoi comandi. Non poteva abbandonarsi alla paura e all’ansia. In quel modo non sarebbe mai riuscita a vincere, ed il suo amico si sarebbe fatto male.
    Zorua stava giocando col fuoco. Non si scansava, e magari sarebbe stata la cosa migliore da fare. Ma aspettava che fosse la sua padrona a dargli degli ordini.
    Quando quel pensiero raggiunse il centro operativo della mente di Rachel, lei reagì prontamente.
    “Protezione! Ora!”
    Il suo Zorua fu ricoperto da una sorta barriera protettiva, sul quale l’attacco di Solrock si abbatté impetuoso.
    Zorua si girò di nuovo. Un sorriso comparve sul suo volto.
    Rachel lo seguì. Aveva capito che era lei a doverlo difendere.
    “Bene! Ora usa Finta!”
    La volpe dribblò il getto di fuoco avversario e partì all’attacco, fintando un attacco a destra, conclusosi poi alla sinistra del Pokémon fluttuante.
    L’attacco fu di nuovo violento. Zorua era davvero carico quella mattina.
    E fu così Solrock ritornò nella sua sfera, sconfitto, e Rachel ottenne la sua prima vittoria. Non riuscì a trattenere un sorriso, soddisfatta per com’erano andate le cose. Zorua le corse vicino, lei si limitò ad abbracciarlo, carezzandogli la testa.
    “Sei stata brava” disse Kyle. Le si riavvicinò e le porse la mano, stavolta per complimentarsi con lei dell’incontro.
    “Ho avuto fortuna con il tipo del mio Pokémon” si limitò a rispondere.
    “Ora sarà meglio che vada, è stato un bel match, se ripasserò di qua spero di rincontrarti”
    I due si avviarono verso l’uscita della stanza, dividendosi una volta nel centro medico. Rachel controllò rapidamente le condizioni di Zorua, rendendosi conto che era praticamente illeso.
    Si sedette di nuovo sul divano, quando notò suo fratello che entrava nel centro, guardandosi attorno finché non la vide. Le si avvicinò.
    “Allora? Come è andata?” domandò.
    “È andato tutto bene! Mi sono allenata al bosco e poi qui ho sconfitto il mio primo avversario”
    Ryan le carezzò la testa, soddisfatto.
    “E invece per la cattura hai trovato qualcosa?”
    “Non c’era niente di... interessante” si limitò a mormorare.
    Ryan sospirò, aspettandosi quella reazione.
    “Dovresti mirare ad un team bilanciato se intendi vincere... comunque lasciamo stare quest’argomento... fammi vedere un po’ come te la cavi”
    “Vuoi sfidarmi?!” chiese terrorizzata la ragazza.
    “No...” sorrise divertito Ryan. “...non io... qualcun altro”
    Tre ore più tardi, erano di nuovo a casa, impegnati a mangiare qualcosa al volo mentre Rachel ascoltava attentamente quello che il fratello aveva da dirle riguardo la costruzione di un team bilanciato. Aveva affrontato altre quindici sfide, vincendone 10, ottenendo 3 pareggi e 2 sconfitte. Era decisamente soddisfatta del risultato, ma dopo quella mattinata si sentiva stremata. Aveva utilizzato sia gli Antidoti che le Pozioni che il fratello le aveva dato e sul momento ne aveva anche dovuti comprare altri.
    Finita anche la parte delle spiegazioni, Ryan l’avvertì che sarebbe dovuto uscire e che probabilmente sarebbe tornato solo in tarda serata. Rachel si stese un po’ a riposare, era decisamente stanca, ma Zorua dal canto suo era davvero distrutto. Aveva sopportato stoicamente ogni incontro, mettendoci il massimo impegno. Dormirono per un bel po’, recuperando le energie spese durante tutta la prima parte della giornata.

    Al suo risveglio il cielo si stava colorando d’arancio. Le nuvole erano sparite appena in tempo per permettere al tramonto di mostrarsi in tutta la sua malinconica luminosità. Rachel era nel letto e si godeva quel torpore post sonno. Quasi post coma. Guardava il soffitto, pronunciando le labbra. Quando dormiva molto pesantemente le si gonfiavano, ma non ne capiva il motivo. Stese le dita, toccando la folta coda di Zorua. A quel contatto, il Pokémon scosse il pelo.
    Era stanchissimo. Aveva lottato fino allo stremo.
    Rachel si alzò, sedendosi sul letto, la volpe si appallottolò, mettendosi più comoda. La ragazza sorrise. Lo guardò poi. Alcuni graffi non erano ancora guariti.
    “Ryan...” rifletté.
    Pensò bene di prendere in prestito gli strumenti di suo fratello, per rimettere completamente Zorua in sesto.
    Decise di fare il grande passo, e si alzò.
    Ryan le aveva detto che la borsa con i suoi rimedi era nel ripostiglio del sottoscala. Quindi vi si avviò portando Zorua in braccio, fallendo nel tentativo di non svegliarlo. Quello sbadigliò, irrigidendo i muscoli, in maniera illegalmente dolce. Rachel sorrise e lo depositò ai piedi della porta. Una volta aperta si rese conto che la missione sarebbe stata più difficile del previsto.
    La valigetta si trovava esattamente sul ripiano più alto.
    “Dannazione!” esclamò, quando si accorse che anche mettendosi in punta di piedi non riusciva per un soffio a toccare la valigetta.
    Sbuffò contrariata, ripromettendosi di lamentarsene con Ryan in futuro, ma senza demordere. Cercò di spingersi ancora oltre, con l’unico risultato di riuscire a sfiorarla. Si ritrasse per qualche istante, valutando la strategia migliore, dopodiché si riavvicinò, afferrando con un braccio il ripiano e spiccando un balzo, riuscendo finalmente ad afferrarla. Non si rese conto, però, che il ripiano non era correttamente fissato, o forse semplicemente l’età ne aveva rovinato i sostegni. Improvvisamente la borsa con i rimedi e un altro contenitore dall’aria piuttosto pesante, assieme a pile di libri e scartoffie, le vennero catapultati addosso. Si parò istintivamente la testa con le braccia, cadendo di schiena e ascoltando il tonfo che le mozzò il respiro ed il rumore assordante che seguì.
    Restò immobile per qualche secondo, con il cuore che le batteva a mille, poi si abbandonò sul pavimento, sentendo i canini di Zorua che le mordevano l’estremità della manica per attirare la sua attenzione.
    “Tutto a posto” si limitò a sussurrare. “È tutto a posto, ora calmati...”
    Sospirò profondamente sedendosi sul pavimento ed incrociando le gambe.
    “Perché sono così bassa?” si chiese, annoiandosi già solo ad immaginarsi nel mettere a posto tutta quella roba. Poi la sua attenzione fu catturata da qualcosa.
    Il secondo contenitore si era aperto, riversando tutto il suo contenuto sul pavimento. Iniziò a raccogliere tutto il contenuto analizzandolo attentamente. Erano cose vecchie e polverose. Sorrise, quando vide che erano di suo padre, professore universitario a Edesea, la città della regione famosa per il gran numero di università e musei.
    “Documenti, documenti, foto... come era carino papà... e... e questa cos’è?”
    Una lettera. Dietro riportava la firma del padre e la dicitura ‘Per Rachel’.
    La osservò incuriosita per qualche secondo, prima di decidersi ad aprirla.
    Zorua le saltò sulle gambe, come se volesse sbirciare quello che l’elegante grafia che John Livingstone molto tempo prima aveva inciso in modo indelebile sulla carta.

    Mia adorata bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che la mia codardia ha avuto il sopravvento e che non sono riuscito ad essere sincero con te come realmente meriti...


    Era ormai sera quando Ryan tornò a casa. Le luci della casa erano spente, eccetto quella del corridoio del primo piano. Il ragazzo aveva appena messo piede in casa quando Zorua gli corse incontro con aria agitata, addentando il lembo del suoi pantaloni.
    Cercava di tirarlo verso le scale.
    In un attimo al ragazzo si gelò il sangue nelle vene. Temeva che potesse essere successo qualcosa di grave, una caduta dalle scale o un malore. Si precipitò al piano di sopra sorpassando Zorua. Salì i gradini due a due, finché non trovò Rachel inginocchiata davanti al sottoscala.
    Non sembrava ferita, ma c’era qualcosa in lei che lo inquietò. Era immobile e sembrava non aver sentito né i suoi passi né la sua voce, quando l’aveva chiamata. Fra le mai stringeva un pezzo di carta di cui il ragazzo ignorava l’identità.
    Per un istante, un brevissimo istante, Ryan ne fu spaventato. Non riusciva a riconoscere sua sorella. Strinse i denti, e le si inginocchiò di fianco, toccandole leggermente una spalla e mormorando il suo nome.
    “Rachel...”
    Meccanicamente, la ragazza si voltò verso di lui, lo sguardo era ancora perso, e sbatté due volte le palpebre nel tentativo di metterlo a fuoco.
    “Tu lo sapevi?” chiese debolmente.
    Erano le uniche parole che riuscì a dire. Ryan si sentì percorrere da un brivido. Diede una fugace occhiata alla lettera che la ragazza stringeva tra le mani e capì. Capì, ma rimase in silenzio, un silenzio ben più esplicativo di qualunque parola.
    Lo sguardo della ragazza si fece di nuovo vivo, intenso. E incredulo.
    “Tu lo sapevi”
    La sua voce sembrava un soffio. Per un attimo mille pensieri le attraversarono la mente. In un istante la sorpresa si trasformò in rabbia.
    “Tu sapevi tutto!” in un attimo balzò in piedi. Il battito fuori controllo, respirava con enormi difficoltà. Sentiva di aver perso ogni controllo su sé stessa, sentiva di aver perso sé stessa.
    “Era tutta una menzogna! Tutta la storia come fratello e sorella, tutto quanto!” si scagliò addosso a Ryan, che non ebbe nessun problema nell’immobilizzarla, incrociandole le braccia e stringendola al suo petto.
    “Sapevi tutto! Mi hai tenuto tutto nascosto! Mi hai mentito! Da sempre!”
    Il ragazzo non aveva idea di come arrestare la sua furia, non sapeva cosa dire per calmarla, per non risultare ancora più meschino di quanto non apparisse ai suoi occhi in quel momento. Non riusciva a trovare niente nel database delle scuse. Tutto ciò non poteva essere scusato.
    “Rachel... cerca di capire” abbozzò “Era troppo presto, e poi... non c’era motivo di dire tutto... non c’era motivo di dover distruggere la nostra famiglia...”
    Rachel trovò nuovo impeto dalla rabbia, sapeva che le era impossibile sovrastare il fratello, ma non trovava altro modo di sfogare quella rabbia, e quindi tornò ad urlare.
    “Ma sarebbe stata la verità! Non hai mai pensato che fosse giusto che io sapessi?!”
    Ryan sospirò, abbassando la testa, incontrando lo sguardo di brace della ragazza. Poi la rialzò, non riusciva ad affrontare quel peso.
    Rachel sbuffò, stanca, sfibrata dentro, e all’improvviso scoppiò a piangere.
    Aveva perso la carica che la rabbia le aveva dato. Si staccò dal fratello correndo in camera e chiudendosi a chiave, ignorando le proteste del ragazzo.
    Zorua non fece in tempo ad entrare, e rimase fuori.
    Il pianto le stava attutendo i sensi, stordendola al punto da non riuscire più a distinguere la voce del fratello dal ronzio di pensieri che sentiva le si stava creando nella mente. Senza nemmeno rendersene conto, restando rannicchiata sul pavimento, con le spalle contro la porta, si addormentò.

    Ryan continuò a chiamare Rachel per qualche minuto, prima di rinunciare. Gallade al suo fianco lo guardò preoccupato, ma il ragazzo si limitò a sorpassarlo mentre tornava al piano di sotto. Era tardi, non si sentivano più rumori provenire dalla città. Sospirò pesantemente, era stata una giornata pesante anche per lui, ma non poteva ancora fermarsi. Al piano di sotto iniziò a risistemare gli oggetti caduti dall’armadio. La lettera era rimasta per terra. Soffocò l’impulso di strapparla. Era tardi ormai, avrebbe dovuto farlo molto tempo prima. La riguardò per l’ennesima volta, la conosceva, la ricordava. Ricordava di aver scoperto suo padre a scriverla, cinque anni prima e di aver provato a farlo desistere. Si rese conto di avere un mal di testa fortissimo. Finì di risistemare in fretta e se ne andò in camera, portando la lettera con sé.
    Si buttò sul letto, scivolando in un nero mare senza sogni.

    Fu Zorua a svegliarla, alcune ore dopo, battendo con la zampa sulla porta.
    Rachel riconobbe l’autore di quel piccolo rumore, e si spostò quando bastava per aprire la porta. Zorua si fiondò dentro, e dopo che Rachel chiuse di nuovo la porta a chiave, le si fiondò addosso, leccandole il viso, che sembrava stesse cadendo a pezzi per via del trucco sciolto. La ragazza lo abbracciò stretto mormorando qualcosa che neppure lei ritenne comprensibile. Si guardò attorno, uno strano malessere le bloccava lo stomaco. Improvvisamente le sembrò che quella stanza la soffocasse. Doveva andarsene. Prese una borsa e cominciò a buttarci dentro tutto quello che aveva nelle vicinanze e che pensò potesse esserle utile. Indugiò qualche secondo sulle Poké Ball che Ryan le aveva lasciato, ma poi decise di prendere anche quelle.
    “Non si sa mai” bisbigliò.
    Stava per avviarsi alla porta quando si bloccò. Non ce l’avrebbe fatta ad uscire senza che nessuno la sentisse. Anche ipotizzando che Gallade stesse dormendo, camminare per la casa avrebbe procurato comunque troppo rumore. L’altra alternativa era la finestra. Era al secondo piano della casa, un’altezza eccessiva per lanciarsi nel vuoto e anche ammettendo che sarebbe caduta sulla siepe in giardino e che questa avrebbe attutito il rumore, oltre che la caduta stessa, non era comunque sufficiente. Ci pensò per un attimo. Prese in braccio Zorua, facendo in modo che si potessero guardare negli occhi.
    “Ho bisogno del tuo aiuto, sai?”
    Pochi minuti dopo era sul cornicione della finestra, zaino in spalla. Faceva freddo, ma l’adrenalina intorpidì la sua capacità di percezione, guardò di nuovo Zorua, che stringeva fra le braccia e si scambiarono un cenno d’assenso, dopodiché si getto nel vuoto. Lasciò che fosse il suo Pokémon a decidere il momento e a poco da terra quello utilizzò l’attacco Protezione.
    Erano ancora interi.
    Restò col fiato grosso per alcuni secondi, volle accertarsi di essere viva davvero, e quando ne fu sicura iniziò a correre. Era quasi l’alba eppure non se ne accorse. Superò l’entrata al bosco che tanto la terrorizzava in un soffio, correndo quanto più le sue gambe potessero, lo zaino pesava ma non gliene importava, aveva un boccetta vuota e una vecchia borraccia rinvenute nel suo armadio, sarebbe passata vicino il ruscello, le avrebbe riempite e sarebbe corsa verso Timea, nel tentativo di far perdere le sue tracce.
    Dopo una lunga corsa arrivò al ruscello. Se suo fratello si era svegliato e aveva capito che non era a casa l’avrebbe cercata alla radura, dalla parte opposta a quella in cui si trovava. Restò per un attimo a riprendere fiato, aveva i polmoni che le bruciavano ed ogni respiro era doloroso. Si permise solo in quel momento di controllare se tutto ciò che aveva era ancora a posto e non era stato danneggiato dalla caduta. Con sua gioia era tutto in ordine, i vestiti di ricambio più spiegazzati, ma non aveva importanza. Aveva preso tutti i suoi risparmi ed era sicura di poterci arrivare abbastanza lontano. Intanto mentre pensava ad una possibile tabella di marcia, faceva scorta d’acqua. Era di nuovo pronta a rimettersi in cammino, quando qualcosa le sbarrò la strada.
    Aveva la criniera carica d’elettricità. Ad un primo sguardo risultava grazioso, ma qualcosa le fece capire che probabilmente in quella zona non erano spesso ammessi visitatori.
    Rachel si ritrasse istintivamente osservando le sinistre scintille del Blitzle che aveva davanti conficcarsi a terra e gli zoccoli del Pokémon raschiare nervosi il terreno, senza distoglierle lo sguardo di dosso. Era in pericolo.
    Improvvisamente il Pokémon iniziò a brillare, caricando il proprio corpo di energia elettrica.
    Sottocarica.
    Quella parola le attraversò la mente, Il Pokémon si stava preparando a rinforzarsi per sferrare un attacco. Deglutì rumorosamente. Indietreggiando ulteriormente e ritrovandosi a pochi centimetri dall’acqua del ruscello.
    Zorua s’intromise, ringhiando al Pokémon che aveva davanti. Si pose davanti a Rachel, come per proteggerla. La ragazza cercò di recuperare un po’ di buonsenso. Doveva attaccare prima che lo facesse il suo avversario. Ma era già troppo tardi. Il Pokémon Caricavolt era scattato. La ragazza non riuscì a trattenere un urlo, la confusione, l’emozione, la rabbia, tutto si era messo ad impedirle di ordinare qualcosa a Zorua, qualcosa che servisse per difendere entrambi. Blitzle aveva attaccato, e come con il Lanciafiamme di Solrock, solo all’ultimo lei trovò la forza di reagire. Si avventò su Zorua, afferrandolo e saltando lateralmente, evitando per un soffio l’attacco Scintilla del nemico. Di nuovo l’adrenalina che fluiva nel corpo, vide il Pokémon caricare il prossimo attacco, e dentro di sé non poté fare a meno di ripensare alla lettera che aveva scatenato tutto questo.

    Mia adorata bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che la mia codardia ha avuto il sopravvento e che non sono riuscito ad essere sincero con te come realmente meriti.
    È passato tanto tempo da quando ti vidi per la prima volta.
    Quella sera io e Ryan aspettavamo la fine del turno di tua madre. Eravamo da soli in casa, e quel monello, che all’epoca aveva appena otto anni, non riusciva a star fermo. Gli avevo appena promesso che per il suo decimo compleanno gli avrei dato il permesso di tenere un Pokémon ed era fuori di sé dalla gioia. Continuava a dire che doveva assolutamente andare al centro medico per informarsi, per sapere come avrebbe dovuto trattarlo e che avrebbe avuto bisogno di molto tempo per prepararsi. Ridevamo su queste sciocchezze quando Martha tornò, spalancando la porta. Era pallida, i suoi begli occhi cremisi erano appannati dall’inquietudine. Forse fu per quello che ci misi qualche istante a realizzare che teneva due esserini tra le braccia. Una bambina, ed un cucciolo di Zorua. Quella fu la prima volta che ti vidi e posso assicurarti che non sarò mai in grado di dimenticarmene finché avrò vita.
    Non ci spiegò mai dove ti avesse trovata, avevi all’incirca due anni, quindi esclusi che fossi stata abbandonata dopo un parto. Ero agitato, lo ammetto, Martha aveva decretato che restassi con noi, e per quanto pieno di sconcerto non sarei mai stato in grado di negarglielo. Avevi lo sguardo triste di chi era reso conto di essere solo. Uno sguardo che mi uccise dentro e che mi strinse le viscere. Ryan ti guardava incuriosito, fu lui che dopo un attimo di sbigottimento si limitò a chiedere:
    “Come si chiama?”.
    Ti indicava come se fossi qualcosa mai visto e avevo nello sguardo quella genuina curiosità che solo i bambini possono avere.
    Martha disse semplicemente “Rachel”.
    Ti adottammo quella sera stessa.
    Fu un procedimento lungo, ma non ti avremmo mai lasciata. Non lo faremo mai, bambina, ricordalo sempre.


    Chiuse gli occhi istintivamente, ed una lacrima non riuscì a restare aggrappata alle sue lunghe ciglia. Tutto ciò era troppo, non ce la poteva fare a sopportare quel peso dentro. Si abbandonò a sé stessa, stringendo il piccolo Pokémon a sé.
    Fu quando poté sentire l’elettricità caricare l’aria che qualcosa spezzò quell’incantesimo di dolore e terrore.
    “Palmoforza, Lucario!”
    Una voce che dentro di sé conosceva già troppo bene riempì l’aria, spazzando via la carica elettrica che la circondava. Fra lei e il Blitzle ora si frapponeva un Lucario e alle spalle della ragazza apparve il tipo dal bizzarro ciondolo. Il tipo che il giorno prima l’aveva sconfitta e che adesso si frapponeva fra lei e il suo avversario.
    Fu stupito quanto lei di trovare un volto conosciuto in quella boscaglia, dove i primi raggi del sole bianco invernale si insinuavano nei rami e illuminavano l’acqua, facendola splendere di un bianco accecante.
    Rachel si sorprese a piangere.
    Quello le si chinò affianco, cingendole le spalle con un braccio.
    “Va tutto bene, tranquilla” le sorrideva con la stessa espressione di quando l’aveva sfidata e di quando le aveva regalato quella Baccafrago. L’aiutò a rimettersi in piedi, sollevandola quasi di forza, mentre il Pokémon nemico continuava ad osservarli dubbioso, senza togliergli gli occhi di dosso.
    “Lucario, fatti da parte, è l’avversario di questa signorina ed è un’allenatrice abbastanza capace da sconfiggerlo da sola” fece quello.
    Rachel sobbalzò, ma non protestò, si asciugò a forza le lacrime col braccio e lasciò che Zorua si rimettesse in posizione d’attacco, mentre sia il ragazzo che il suo Lucario si facevano da parte. Blitzle iniziò a caricarsi di nuovo, più lo faceva, più la sua difesa aumentava, ma improvvisamente Rachel capì che quello non era affatto un problema.
    “Zorua, Punizione!”
    Il Pokémon partì, veloce, all’attacco. Fu un colpo decisamente potente che lo spinse con forza, tanto da farlo cadere nell’acqua del torrente.
    “Prima che si rialzi, vai con Finta!”
    Zorua caricò di nuovo l’avversario, raggiungendolo e sparendo un istante prima di colpirlo, il Pokémon che si stava rialzando rimase disorientato e non poté evitare il colpo sul fianco che gli sferrò la piccola volpe e che lo fece di nuovo cadere in acqua, stremato.
    Senza nemmeno pensarci Rachel tirò fuori la sua Poké Ball. Se doveva catturare un Pokémon, aveva deciso che sarebbe stato quello.
    La Ball intrappolò il Pokémon, troppo stremato per opporle una resistenza degna di questo nome e finalmente tutto finì.
     
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    Primo Interludio


    Timoteo sospirò. L’ultimo gradino lasciò sotto le suole dei suoi calzari tutta l’insicurezza di un uomo che doveva morire, che sapeva che sarebbe andato via.
    Poco distante dalla scalinata, le sue truppe erano schierate. La gran parte di quegli uomini quella notte sarebbe morta. Prima non gli aveva detto chi avrebbe vinto la battaglia, e questo un po’ lo rincuorava.
    Tuttavia, se i templari avessero vinto la battaglia, lui non avrebbe potuto festeggiare con loro.
    Le fiamme lo avrebbero ucciso.
    Lui sarebbe morto.
    Il suo primo pensiero andò a Prima. Sarebbe rimasta sola, senza di lui.
    Poi cercò di immaginarsi come doveva essere la morte. Cosa si potesse provare.
    Cosa sarebbe successo.
    Cercò di catapultare lontano da lui le immagini del suo corpo carbonizzato, ed entrò nell’accampamento. La luce della luna splendeva, copriva con un velo di zucchero tutto ciò che non fosse in ombra. Qui e lì varie fiaccole illuminavano l’accampamento.
    I suoi compagni erano pronti. Marcello, il suo migliore amico, stava seduto su di un muretto, intento a guardare i suoi Pokémon. Gli stava trasmettendo la sua forza.
    Davanti c’erano i suoi compagni di sempre. Lairon, Cacturne e Noctowl.
    Si guardavano. Cercavano di caricarsi.
    “Marcello” lo chiamò.
    “Timoteo! Dannazione, sei tornato!”
    “Eccomi. Qualcosa da segnalare?”
    “Niente. Ma gli ingiusti attaccheranno? Sei sicuro?”
    “Sì”
    “Le nostre forze sono diminuite dall’ultima battaglia”
    “Lo so...” rispose Timoteo, cupo.
    “Ho un brutto presentimento”
    “Non dirlo nemmeno!” urlò Timoteo.
    Lairon ruggì, mentre Noctowl si alzò in volo. Marcello spalancò gli occhi.
    “Hai ragione. Scusa”
    “Non dire neanche questo. Non preoccuparti. Ma dobbiamo pensare positivo. Le persone ed i Pokémon di Adamanta hanno bisogno di noi”
    “Ne sono benissimo a conoscenza”
    “Fuori” disse calmo, facendo uscire dalle sue ball Haxorus, assieme ad un Absol e ad un esemplare di Scyther.
    “È bene che respirino un po’” disse Marcello, sorridendo. “Ti affidi sempre alla tua spada. Capisco che tu ti senta sicuro di te stesso. Ma devi fare affidamento anche su di loro. Sono o non sono tuoi amici?”
    “Di più. Sono la mia famiglia”
    “Già. Haxorus era un draghetto quando l’hai trovato”
    “Ricordo” sorrise Timoteo.
    Poi la tensione si sciolse leggermente. Timoteo si sedette per un momento, accanto al suo amico, e gli mise una mano sulla spalla. L’armatura di Marcello era congelata.
    “Prima come sta?” domandò quest’ultimo.
    “Oh... bene... sta bene. Almeno credo”
    “Non me la conti giusta. È successo qualcosa”
    “Ci siamo baciati” vuotò subito il sacco Timoteo. “E abbiamo fatto l’amore”
    “Eh?! Timoteo... la notizia principale è la seconda”
    Sorrisero entrambi. Poi Timoteo sospirò.
    “Cioè... hai fatto l’amore con l’oracolo. L’oracolo di Arceus. Questo non imporrà qualche sciagura, o altre cose così?”. Timoteo adorava la schiettezza di Marcello.
    “Probabilmente stanotte morirò”
    Marcello sorrise, poi gli diede uno spintone. “Nessuno potrà ucciderti. Ci sono io che ti copro le spalle”
    Timoteo non riuscì a trattenere un sorriso da un orecchio all’altro.
    “Grazie. Ed anche io ti proteggerò”
    “Ti voglio bene, fratello”
    “Anche io”
    All’improvviso uno squillo di tromba allarmò tutti, Pokémon compresi.
    “Gli ingiusti stanno arrivando”
     
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    Capitolo 3° - Vibrazioni


    Blitzle. Nelle sue mani c’era una Poké Ball, e dentro la Poké Ball un Blitzle. Rachel sorrise, riuscendo ad imitare alla perfezione i clown che piangono, in quei quadri dal dubbio gusto artistico. Il trucco sciolto, il volto in lacrime, erano tutti elementi che non creavano la minima armonia con il sorriso da ebete che si era inchiodata in volto.
    “Blitzle! Zorua, bravissimo! Blitzle!” mise via la sfera contenente il nuovo Pokémon e strinse tra le braccia il suo amico di sempre.
    Fu dopo una dozzina di secondi, di moine e carezze che si accorse che il ragazzo ed il suo Lucario erano lì, in attesa di qualcosa.
    “Ehm... immagino che debba ringraziarti... ancora” arrossì Rachel.
    “Non sei obbligata... ma sì, credo che tu debba farlo”. Quel tipo le rubò un altro sorriso.
    “Allora grazie. Non penso che senza di te sarebbe finita bene...”
    “Non preoccuparti. Adoro aiutare le donzelle in difficoltà”
    “Meno male che sono donna, allora...”
    “Già. Altrimenti ti avrei lasciata morire...”. Altro sorriso. “Comunque sono Zack...”
    Rachel guardò la mano del ragazzo avvicinarsi al centro di un immaginario segmento che c’era tra i due.
    Per un momento rivalutò la situazione. Stava per essere ammazzata, se non ferita gravemente da un Pokémon selvatico. Nonostante non avesse nessuna voglia di fare nuove amicizie, a quel ragazzo, Zack, doveva la vita.
    Intanto quello continuava a tenere tesa la mano in direzione della ragazza, i secondi passavano ed il silenzio diventava ancora più imbarazzante.
    “Ehm... afferri la mano, la stringi e la scuoti” fece il ragazzo, con sarcasmo.
    Lei si risvegliò dai suoi pensieri, e sorrise. E tre. Quel ragazzo aveva qualcosa di stranamente anomalo. Vuoi per la timidezza, vuoi per una chiusura caratteriale, Rachel non era tipo che si apriva con il primo che capitava. Ma l’aveva fatta sorridere per tre volte in meno di due minuti, e quello era già un gran risultato.
    Gli strinse la mano.
    “Wow... brava...” sfotté lui.
    “Smettila...” lei cercò di fare una faccia seccata.
    “Ora dovresti dirmi il tuo nome, poi dovremmo essere a posto”
    “Mi chiamo Rachel. E sono incredibilmente di fretta. Mi devi scusare, ma ora devo scappare”
    “Dove devi andare di così tanto urgente?! Stavamo facendo pratica su come conoscere una persona, e te ne vai sul più bello?!”
    E quattro. Rachel sorrise ancora, ci stava prendendo gusto.
    “Devo arrivare a Timea il prima possibile”
    “Sei diretta in qualche punto in particolare di Timea?”
    “Ehm... dai... miei... zii! Sì, abitano lì, e devo portargli...” cercò mentalmente nella sua borsa, ma non riuscì a trovare niente di abbastanza brillante quanto veritiero da non lasciare alcun dubbio sulla veridicità della menzogna. Alla fine si dovette accontentare. “...devo portargli una Poké Ball”
    “Non le vendono, a Timea?”
    “Senti... devo andare. Grazie ancora” e Rachel riprese il cammino.
    “Di niente... ma... aspetta un minuto!” lui volle seguirla.
    “Che c’è?” domandò disinteressata, cercando di scansare gli ostacoli boschivi.
    “Anche io devo andare a Timea... magari facciamo il viaggio insieme...”
    “Non credo sia una buona idea”
    “Ti farai ammazzare se non avrai nessuno a proteggerti”
    “Non ho bisogno di protezione! E tu non sei mio padre, quindi cercati un’altra donna da proteggere!” cominciò ad irritarsi la ragazza.
    “Hey, calmati... che bel caratterino... volevo solo un po’ di compagnia...”
    “Uff...” Rachel sbuffò, poi si bloccò all’improvviso, facendo inciampare Zack. Lei non riuscì a trattenere una risata.
    “Senti... sto scappando da mio fratello”
    “Sei una fuorilegge?”
    “No”
    “Non c’è nessuna taglia sulla tua testa?”
    “...non ti rispondo nemmeno...”
    “Uff... mai un giorno fortunato... e perché scappi da tuo fratello?”
    “Non è importante adesso. Se vuoi venire con me fallo pure, ma cerca di parlare il meno possibile, di non darmi fastidio, e non ti aspettare nulla di nulla”
    “Okay...”
    “Bocca cucita!”
    Zack fece capire a gesti di aver recepito il messaggio, e mimò la chiusura di una zip immaginaria davanti la sua bocca.
    “Perfetto... ora andiamo”
    Il Bosco Memoria era il posto perfetto per chi amava i Pokémon coleottero. Vari Cascoon pendevano dagli alberi, mentre Caterpie e Wurmple si cibavano di foglie verdi, ma, come dimostrato anche da Blitzle, non c’erano solo insetti. Qui e li Sunkern e Hoppip volavano di ramo in ramo, mentre Paras e Foongus cercavano di mimetizzarsi con il fitto sottobosco, formato da foglie, rametti, aghi di pino e qua e la qualche fiore.
    Rachel fu in grado di vedere il sole, nonostante il fitto tetto di foglie. Era presto. Davvero presto.
    Si chiese cosa ci facesse Zack a quell’ora nel bosco.
    E glielo chiese.
    “Non sono neanche le otto del mattino... che ci fai qui?”
    “Il bosco è li posto dove passo il mio tempo... mi alleno, cerco nuovi Pokémon, cerco delle bacche e del cibo”
    “E dove dormi?”
    “Dove capita... non ho una dimora. Ho qui il mio sacco a pelo”
    “Sacco a pelo?”
    “Ne sono abituato, tranquilla. Sono almeno 10 anni che sono in viaggio...”
    “Ecco il perché di Lucario. È un Pokémon molto raro da queste parti...”
    “Già... ma dov’è finito il bocca cucita?”
    “Hai ragione. Chiudi il becco”
    Zack sbuffò, sistemandosi meglio la bandana. Sbadigliò, quella notte era durata davvero troppo poco.
    “Sei antipatica...”
    “E tu logorroico!”
    “Questa è la tua riconoscenza?!”
    “Non si tratta di riconoscenza, è che...”
    E poi, come se qualcosa avesse voluto interrompere quella futile lite, la terra prese a tremare. Forte, davvero forte. Gli alberi oscillavano qui e lì, stormi di Spearow e Taillow si alzavano in volo, emettendo i loro versi impauriti, lasciando dietro di loro una cascata di piume e di foglie.
    Rachel si irrigidì, ed il suo primo istinto fu subito di prendere in braccio Zorua. La bocca schiusa, gli occhi dilatati. Stava cercando di capire cosa stesse succedendo.
    Zack invece non sembrava impaurito. Era scuro in volto, quasi arrabbiato. Anzi, serio.
    Pochi secondi dopo la terra si fermò.
    “Santo cielo, che è successo?!” urlò lei, dopo aver fatto entrare Zorua nella sua sfera.
    “Era un terremoto. Allora è vero...” mormorò il giovane.
    “Cosa è vero?”
    “Dobbiamo andare in un centro Pokémon”
    “Centro Pokémon?! Ed ora che c’entra?!”
    “Devo fare una videochiamata”
    “Videochiamata? Non puoi aspettare finché non arriviamo a Timea?!”
    “Potrebbe essere tardi”. Quando non rideva, o cercava di farla ridere, Zack sembrava un’altra persona. “Dobbiamo tornare indietro” proclamò.
    “Io non posso tornare indietro! Ryan mi troverebbe!”
    “Rachel... non si tratta più di te. E neanche di me! Si tratta di tutti noi!”
    “Cosa?!”
    “Dannazione!”. Zack estrasse la sua mappa da una tasca laterale dello zaino, quindi la aprì. “Bene... Edesea è a pochi chilometri da qui... dobbiamo solo uscire dal bosco, andando verso est, e quindi continuare dritto”
    “Edesea? Dobbiamo arrivare lì?”
    “O torniamo indietro o andiamo ad Edesea”
    “Ma è dalla parte opposta di Timea!”
    “Avanti! Non devi portare nessuna Poké Ball ai tuoi zii!”
    Rachel fece il muso. Lui la vide ed inarcò un sopracciglio. Poi un’altra scossa di terremoto, questa volta di assestamento, diede il colpo di grazia a parecchi alberi che erano riusciti a stare all’in piedi per miracolo.
    “Dobbiamo andare via di qua!” urlò lui, cercando di far prevalere la sua voce sul rombo della terra. Prese una sfera e la tirò in aria. Un meraviglioso esemplare di Braviary spiegò le ali, emettendo il suo verso.
    “Presto, saliamo!”
    “Cosa?!”
    “Vuoi rimanere qui e rischiare che ti cada un albero in testa, o preferisci volare?”
    “Ho paura di volare...”
    “Hai mai volato?”
    “No...”
    “E allora sali!” urlò lui, afferrandola per un braccio ed aiutandola a salire sulla grande aquila. Rachel toccò le morbide piume del Pokémon. Zack Salì davanti a lei e gli diede un colpetto alla spalla.
    “Vai, vola verso Edesea!”
    Gli alberi cadevano, i Pokémon autoctoni del bosco fuggivano, o cercavano di nascondersi. Per loro non era semplice da comprendere. Una grande quercia stava per abbattersi sui ragazzi, ma con un’abile manovra, Braviary la evitò e volo su, in alto, verso il cielo blu.

    Zack stava basso lungo la schiena di Braviary, e Rachel lo stringeva in vita talmente forte da compromettergli il respiro. Il vento le spettinava i capelli, e le faceva uscire altre lacrime dagli occhi, questa volta però non c’entrava nessun implicazione emozionale.
    Andare sulla moto con Ryan non era la stessa cosa, ma fece finta che lo fosse, nonostante stessere volando a più di cento chilometri orari, ed a ben più di un chilometro dal terreno.
    “Siamo nella stratosfera, dannazione, possiamo scendere un po’?!”
    Zack rise.
    “L’aria è così pulita qui”
    “È rarefatta invece, stupido! Moriremo!”
    “Uff... scendi un po’ Braviary... ma te la sei voluta tu, Rachel”
    “Voluta? Cosa?!”. Neanche il tempo di finire la frase, che la ragazza fu letteralmente costretta ad emettere un urlo sovraumano. Braviary era in picchiata, e mentre Zack si stava preoccupando solo di non perdere la bandana, Rachel aveva la stessa preoccupazione riguardo la sua vita.
    “Stronzo!” urlava, e ciò non faceva altro che far ridere di più Zack.
    “Hai fatto un errore da principiante, cara... hai guardato giù”
    “Sai com’è! In caduta verticale non è che posso guardare altro!”
    “Va bene così, Braviary, non ci avviciniamo troppo al suolo, potrebbe cascarci qualcosa addosso”
    Braviary frenò, facendoli sobbalzare, e facendo in modo che Rachel cingesse ancor più forte la vita del ragazzo.
    “Giuro, che appena scendo da qui ti ammazzo di botte!”
    “Quante storie per un giretto su Braviary... c’è chi mi prega di farlo”
    “Ora ho capito che le tue amicizie non sono compatibili con le mie”
    “Poco male... se vuoi scendere qui fai pure” sorrise lui.
    Rachel ebbe l’avventatezza di guardare in basso. Il bosco era ormai un cumulo di alberi distrutti, che sarebbero spariti. Un forte incendio divampava, probabilmente qualche Pokémon fuoco doveva essersi spaventato.
    Prontamente i vigili del fuoco, assieme alla squadra dei Wartortle e dei Blastoise stavano cercando di spegnerla. Qualche vecchio palazzo era crollato, lungo la strada per Edesea, ma allungando lo sguardo verso la città degli intelligenti non si intravedevano né macerie né linee di fumo che sinuose si snodavano nel cielo.
    “Siamo arrivati... scendi, Braviary”
    Un’altra picchiata. E naturalmente un altro urlo sovraumano di Rachel. Non fu un’esperienza da ripetere, decisamente no. Ma erano arrivati sani e salvi ad Edesea.

    Ryan aprì leggermente gli occhi, e l’ancora mancata presa di coscienza impose al suo cervello di chiedersi, su una scala da uno, a dieci, quanto fosse normale che il lampadario oscillasse in quel modo.
    Gallade lo spinse. Non era la prima volta che succedeva che il suo Pokémon disturbasse il suo sonno, quella mattina.
    E, proprio come con quelle vecchie televisioni a cui bisognava dare una botta per farle funzionare, Gallade percosse ancora Ryan.
    Funzionava.
    Ryan si svegliò, il suo cervello partì al quarto colpo.
    “Dannazione, Gallade, che vuoi?” il tempo di aprire gli occhi, e vide Gallade esibirsi nell’attacco Psichico, mentre cercava di rialzare una grande libreria, da cui dei libri erano caduti. Se Gallade non fosse stato lì, la libreria sarebbe caduta addosso ad un dormiente Ryan, e probabilmente sarebbe rimasto a dormire per sempre.
    “Cazzo! Si è rotta... oppure... terremoto! Rachel!”
    Uscì dalla stanza dei genitori, in cui aveva dormito quella notte, e si avvicinò alla stanza della sorella. Grandi crepe si snodavano nel muro, la porta di quella stanza era quasi uscita dai suoi montanti.
    “Gallade, Breccia!”
    Gallade sfondò la porta. Pezzi di intonaco caddero sulle loro teste. Gallade e Ryan oltrepassarono l’ingresso in stanza, non curandosi del fatto che la terra stesse ancora tremando. Ryan contava sulla forza di Gallade, che avrebbe protetto entrambi.
    “Rachel! Rachel, dove sei!” Ryan si guardò attorno, né Zorua né Rachel erano lì.
    “Forse si sono nascosti...” pensò, prese a guardare sotto al letto, sotto la scrivania, nell’armadio. Niente... Rachel non era lì.
    Poi la finestra aperta.
    In inverno. Rachel era uscita dalla finestra.
    Ryan si incamminò verso la finestra, mentre Gallade usava Psichico per evitare che qualcosa lo colpisse.
    “Sì... è probabile che sia saltata dalla finestra per salvarsi. Ma... dal secondo piano... si sarà fatta male” ragionava con una lucidità che sembrava non appartenergli. “Andiamo a vedere, Gallade”
    Uscirono fuori, sotto la finestra. La siepe distrutta, ma non una macchia di sangue o un ciuffetto di peli.
    “Come diamine ha fatto? Rachel! Rachel! Sei qui?!” urlava lui.
    Gallade fermò il suo allenatore, e gli fece segno di no con il volto.
    Gli occhi di Ryan cominciarono ad inumidirsi. Salì sopra ancora, da vero incosciente, e tornò nella stanza di Rachel. Gli armadi ed i cassetti erano aperti. Ok, il terremoto avrebbe tranquillamente potuto causare cose del genere. Ma...
    Ryan guardò nei cassetti. Il primo era totalmente vuoto. Ed il secondo semivuoto.
    “Do-dov’è la sua roba? Dov’è Rachel?!”
    E poi collegò. Cassetti vuoti, finestra aperta, siepe ammaccata. Rachel era scappata.
    “No! Cazzo!”

    Zack e Rachel entrarono nell’università di storia di Edesea. Molti giovani erano in apprensione per il terremoto, qualcuno era rimasto ancora sotto i tavolini.
    “Aspetta qui, e stai attenta a tutto” le disse Zack, avvicinandosi ad un indaffarato uomo grassoccio, con la barba di qualche giorno, che aiutava ad evacuare i malcapitati.
    Rachel si prese del tempo per guardare un po’ Zack. Era un ragazzo dalla perfetta forma fisica, alto circa un metro e ottanta, snello. Occhi verdi brillanti su di un volto spigoloso. Naso puntuto, labbra normali per un uomo. Aveva la bandana in testa, ma i capelli si intravedevano. Erano di un marrone scuro, molto comune insomma.
    Il voluminoso zaino rimpolpava la linea della sua schiena. Indossava un bomber gilet rosso, maglione blu, abbastanza scollato, e quello strano ciondolo che gli pendeva al collo, dello stesso colore dei suoi occhi.
    Completavano l’opera un paio di pantaloni comodi e delle scarpe per ogni suolo.
    Pratico. Funzionale. E carino.
    Ma Rachel non l’avrebbe mai ammesso. Quel tipo aveva cominciato bene, ma non era riuscito a rimanere nelle sue grazie.
    Proprio in quel momento si stava chiedendo cosa diamine stesse facendo Zack.
    Lui finì di discutere con il tizio grassoccio, e poi si girò. Guardò Rachel, e le fece segno di raggiungerlo con la mano.
    Lei eseguì.
    Lo vide avviarsi lungo degli stretti corridoi, che come in un labirinto prendevano le più disparate direzioni. Arrivarono davanti ad una rampa di scale, la salirono, ed entrarono in un altro corridoio.
    “Ma dove stiamo andando?!” domandò lei, preoccupata.
    Lui non rispondeva. Aprì una porta, e fece per entrare, quindi allargò le braccia e si bloccò velocemente. Una voragine enorme si era aperta nel pavimento di quella stanza. Seduta su di un tavolo, gambe accavallate, c’era una donna.
    “Meno male, qualcuno si è ricordato di me” sorrise sarcastica quella.
    “Come dimenticarmi di lei, professoressa... per fortuna sta bene”
    “Sì... tranne qualche graffio. Fortunatamente i computer sono salvi”
    “Ah! Rachel, lei è la professoressa Alma, della facoltà di storia. Professoressa, lei è Rachel, una mia amica”
    “Piacere” Rachel cercò di sorridere in modo da sembrare sincera, ma la paura prevaleva sui suoi stati d’animo.
    “Zack... bisogna raggiungere la mia borsa lì...” fece la professoressa, indicando una mensola che reggeva per miracolo una borsa da donna.
    “E come ci arrivi lì?” domandò Rachel.
    “Lucario, pensaci tu...” disse, facendo uscire il Pokémon dalla sfera. “Devi prendere quella borsa, naturalmente senza cadere giù”
    Quello fece cenno di aver capito. Balzò, facendo un veloce salto verso il muro che reggeva la mensola, afferrò la borsa al volo, e facendo leva sui piedi si diede lo slancio per tornare indietro.
    “Ottimo Lucario” fece Zack, sorridendo, e facendolo rientrare nella sfera. “E la sua borsa è qui, professoressa. Ora?”
    “Dentro c’è una Poké Ball. Lì c’è il mio Ralts”
    “Ralts?” domandò Rachel.
    “Sì... fallo uscire, Zack”
    Detto fatto.
    Il piccolo umanoide dal grande casco verde si sentiva spaesato in presenza di tutte quelle persone.
    Poi vide la professoressa Alma, ed esplose in un gran sorriso.
    “Uscite dalla stanza... Ralts. Usa Distortozona”
    Ralts sorrise ancora, e delle linee luminose investirono la stanza, creando una griglia di luce.
    “Bene...” la professoressa con tutta calma prese a camminare sulla parete accanto a lei, come se la gravità si fosse spostata. “Grazie Ralts” disse quando poi fu in grado di tornare a camminare con i piedi sul pavimento. Quello vero.
    “Zack. Non ti aspettavo” sorrise quella. I recettori critici di Rachel si accesero, e come ogni donna cercò di trovare un difetto alla professoressa, fallendo miseramente. Era davvero bella.
    Una lunga treccia nera portava ordine sulla sua testa, facendo in modo che il viso, delicato, fosse esposto. Due occhi neri venivano leggermente coperti da un paio di occhiali, molto semplici, ma addosso a lei riuscivano addirittura a darle uno strano fascino. Naso piccolino, labbra piene, pronunciate, rosee, che sul marrone chiaro della sua pelle risultavano ancora più grandi. E belle.
    Il camice era chiuso, ma nascondeva delle curve da pin up. Non le avrebbe dato più di 33 o 34 anni
    Si chiese cosa ci facesse lì una donna come quella. Le avrebbe urlato di tornare a fare gli spogliarelli, e l’idea la fece sorridere.
    Nonostante tutto le piaceva l’idea che donne di tale bellezza non si fossero ridotte nello stereotipo moderno. Nude a ballare in qualche salotto televisivo.
    Alma era una studiosa. E questo le piaceva.
    “Professoressa... lei una volta mi parlò di... di una profezia”
    “Ce ne sono molte, mio caro” disse la donna, cominciando a camminare per il corridoio. Scesero le scale e tornarono nell’atrio.
    “Sì, ma me ne parlò di una in particolare”
    Alma si fermò e lo guardò. “Illuminami”
    “È quello che io vorrei da lei... parlo della profezia di Arceus”
    Alma pronunciò le labbra ed inclinò la testa verso destra. “Ok... ci serve un posto tranquillo dove parlare”
    Alma, Rachel e Zack salirono sulla Toyota della donna, e raggiunsero una radura. L’erba era bruciata dal freddo, dei sassi erano sparsi qui e lì, e c’erano delle buche. Probabilmente qualche Digglett viveva nei dintorni.
    I tre scesero dalla macchina.
    “Perché ci ha portato qui?” domandò incuriosito il ragazzo.
    “Perché hai colto perfettamente nel segno, Zack... questi terremoti, gli incendi... sono frutto di una profezia” fece la donna, andando ad aprire il portabagagli dell’auto. “Se qualcuno sentisse le mie parole, si cadrebbe nel panico. La notizia è di massima riservatezza. Ed io sono una delle poche fortunate addette ai lavori”
    La donna prese un pc portatile, e lo accese.
    “Quindi siamo qui perché nessuno ci deve sentire?” domandò Rachel.
    “Esatto. Ed è inutile dirvi che questa cosa è top secret”
    “Certo professoressa” rispose Zack.
    “Bene. Circa mille anni fa, in questa zona si combatté una dura e sanguinosa guerra. Vi erano due schieramenti. Gli ingiusti, che utilizzavano i Pokémon come armi, comandati da Nestore, e dal generale Adamo. E l’altro era quello dei Templari, a difesa del tempio. I Pokémon di questo schieramento erano soldati, che avevano scelto di arruolarsi per combattere. Erano comandati da Timoteo”
    “Perché combatterono?” domandò Rachel.
    “Per un cristallo” rispose lei, mostrandone una probabile riproduzione al pc. “Questo era un cristallo speciale. Era in grado di mettere in contatto determinati tipi di persone con Arceus”
    “Arceus?! Il leggendario Pokémon?!” fece stupita la ragazza.
    “Già. Nel tempio viveva una giovane donna. Si chiamava Prima. Prima era l’oracolo della nostra regione, l’unica persona in grado di mettersi in contatto con Arceus, tramite il cristallo”
    Zack ascoltava attentamente.
    “Quella fu una guerra sanguinosa. Morirono migliaia di individui, tra Pokémon ed umani. E questo ad Arceus non piacque. Quando Prima si mise in contatto con lui, quello profetizzò la distruzione delle nostre vite partendo dal suolo che calpestiamo, se i Pokémon non fossero lasciati liberi di vivere le proprie vite in quanto esseri viventi”
    “Quindi...” Rachel sbiancò più del normale.
    “Quindi Arceus si è venuto a prendere quello che è suo. E con tutta probabilità, ad Hoenn, i terremoti sono causati dal Pokémon Groudon. Arceus si sta servendo di lui per abbattere le città. Ed in qualche modo deve essere fermato”
    “E come si può fermare Groudon?”
    “Il problema non è fermare Groudon. Il problema è fermare Arceus. Perché si servirà degli altri Pokémon per completare l’opera”
    I ragazzi rimasero in un silenzio titubante.
    “Calmatevi. Le più grandi menti della nostra nazione stanno cercando un modo per far terminare questo incubo. E credo che sia ora di andare a mangiare qualcosa” sorrise.

    Alma aprì la porta, e guardò il suo appartamento. Perfettamente in ordine.
    “Questi palazzi sono incredibili. Attutiscono ogni oscillazione...” fece quella. “Accomodatevi”
    “Grazie, professoressa, fece Zack, poggiando lo zaino per terra. Rachel fu in grado di sentirlo sospirare di sollievo.
    “Rachel... accendi la tv” chiese Alma.
    Rachel, un po’ spaesata, trovò il telecomando ed eseguì.
    “Notizia straordinaria! Il Monte Camino, il vulcano di Cuordilava, ad Hoenn, ha eruttato una grande quantità di lava! I villaggi limitrofi, tra cui Cuordilava, appunto, Mentania e Brunifoglia sono stati coinvolti dalla discesa lavica. Sembra che si siano aperti tre grossi crateri sulle pareti a sud-ovest, ovest e nord-ovest del vulcano, dopo l’ennesima scossa di terremoto. Vari studiosi sono venuti qui per studiare il fenomeno, tanto spettacolare quanto distruttivo”.
    Sul volto di Alma apparve della preoccupazione. Smise di fare quel che faceva e zampettò velocemente davanti alla tv.
    “Adesso con noi c’è il Professor Oak, assieme ad un’altra autorità, il Professor Birch. Dopo una lunga intervista, siamo riusciti a capire che il motivo di questi terremoti è dovuto al risveglio di un Pokémon dalla leggendaria forza, Groudon. Tutt’ora non siamo in grado di individuare dove sia di preciso locato Groudon, ma si teme per la vita di tutti gli abitanti di Hoenn. Dopo il risveglio di Groudon c'è paura che venga seguito da quello di Kyogre, nomi che portano alla mente antiche storie su di una lunga battaglia tra i due. Secondo il professor Birch, l’unico modo per evitare questo scontro leggendario, e soprattutto per fare in modo che i fenomeni sismici qui ad Hoenn terminino, è la cattura. È stata contattata dal Professor Oak, un’esperta di catture, proveniente da Jotho, che dovrebbe riportare la situazione alla normalità. Da Cuordilava è tutto, Tea vi saluta”
    Il silenzio piombò forte nella stanza. Poi un forte sfrigolio proveniente da una padella rimise in moto i pensieri della professoressa.
    “È... sconcertante...” sospirò Rachel. Si sentiva davvero impaurita da quella situazione.
    “Già” convenne Zack.
    “Beh... fortunatamente Hoenn è lontana da qui. Ed il fatto che si sia attivato il Professor Oak mi rassicura. Ma il problema è che qui non sappiamo l’ira di quale Pokémon si possa abbattere su di noi. Si dovrebbe cercare Arceus, e fermarlo”
    “Già...” sospirò Rachel.
    “Per fare questo dobbiamo trovare il cristallo” osservò Zack.
    Il silenzio veniva interrotto ritmicamente dalle lancette di un orologio appeso al muro.
    Poi Rachel si rese conto pienamente delle parole di Zack.
    “Che cosa?! Che vorresti fare?!”
    “Trovare il cristallo, Rachel! Dobbiamo parlare con Arceus!”
    “Non basta un confessionale ed un sacerdote?”
    “Finiscila di fare la pappamolle, suvvia! Sarà elettrizzante!” sorrise lui.
    “Io non sono pappamolle...” s’imbronciò lei, poi si alzò e si sedette al tavolo.
    “Dove potremmo trovare il cristallo?” chiese il ragazzo.
    Rachel fece spallucce, e lui fece segno con la testa che la domanda era stata posta alla professoressa Alma.
    “Beh... non saprei... se ne sono perse le tracce tanto tempo fa”
    “E da allora non abbiamo più un colloquio con Arceus?!”
    “Proprio così. Forse esiste qualche antica leggenda che ne parla. Io sono specializzata su fatti realmente accaduti e documentati, non su vecchie storie. Forse però conosco il tipo che fa per voi”
    “Ah... e chi sarebbe?”
    Alma portò a tavola il pranzo.
    “Un anziano signore di Kanto. Mr. Fuji, dovrebbe vivere nei pressi di Lavandonia”
    “Non mi dice nulla questo nome” ragionò Zack.
    “È il proprietario della Casa Memoria se non sbaglio” disse Rachel.
    “Esatto, Rachel. È un uomo molto anziano, e potrebbe sapere qualcosa”
    “Ottimo” sorrise Zack.

    Dopo mangiato, Rachel e Zack si recarono in un centro Pokémon. Alma aveva cucinato davvero in modo divino. Probabilmente non esisteva essere umano migliore di lei.
    Zack si avvicinò al videotelefono.
    “Non credo che Mr Fuji abbia un videotelefono...” osservò Rachel.
    “Donna di poca fede...” si limitò a dire, mentre componeva un numero.
    “Vuoi dire che ha un videotelefono?!”
    “No”
    Allo schermo comparve un ragazzo. Era giovane, doveva avere sui 25 anni. Ricci capelli di un castano chiaro gli circondavano un viso dall’aria gioviale. Nonostante ad una prima occhiata potesse risultare un volto forse un po’ infantile, la giovane vide che i suoi occhi erano vivi e soprattutto svegli. “Zack! Ciao!” esclamò quello.
    “Ciao, Bill...”
    “Bill! Quel Bill?!” rabbrividì Rachel.
    “Che succede di bello?”
    “Mah, di bello proprio niente... ti vorrei presentare Rachel, una mia cara amica”
    “Ciao cara amica. A che devo la tua insolita chiamata?”
    “Ecco... ho bisogno di parlare con Mr Fuji riguardo ad una vecchia leggenda”
    Il giovane dall’altro lato del monitor sgranò gli occhi. Poi riprese l’espressione tranquilla che aveva all’inizio della chiamata.
    “Oh. Ok... però mi ci vorrà un po’ per ottenere la sua attenzione” si limitò a commentare.
    “Beh, digli che c’entra Arceus, è che è di vitale importanza”
    Stavolta la sua espressione stralunò totalmente. Strabuzzò gli occhi sentendo nominare il Pokémon leggendario. “Cosa?!”
    “Non fare domande...” rispose pazientemente Zack.
    Scosse la testa, mantenendo un’aria incredula. “Sei sempre il solito... beh... domani a quest’ora riceverete una telefonata su questo videotelefono. Non posso fare di più”
    “Va già benissimo così”
    “Mi devi un favore”
    “Oh, fidati che ne dovrai uno tu a me...” sorrise Zack, salutandolo e chiudendo la comunicazione.
    “Conosci Bill?! È incredibile!” esclamò Rachel.
    “Già... è una brava persona”
    “Come fai a conoscerlo?”
    “Te l’ho detto che ho viaggiato molto”
    “Sei stato a Kanto?”
    “Anche. Ho visto molte cose, e col tempo ho imparato che chiunque, anche tu, piccola Rachel” Zack si avvicinò in modo pericoloso al volto della ragazza “...puoi fare la differenza”. Lui le prese il mento con le prime due dita.
    “Giù le mani, pistolero”
    Zack sorrise. “Sto scherzando. Tu invece? Per quale motivo scappi?”
    “Lasciamo perdere... piuttosto, dove passeremo la notte?”
    “Credo che Alma non avrà problemi ad ospitarci”
    “E tu dormirai con lei?” chiese giocando lei.
    “No... la professoressa è solo una cara amica. Bellissima, ma solo una cara amica”
    “Beh... ti vedrei bene con lei”
    “Troppo grande per me”
    “Una donna del genere colpisce ad ogni età” sorrise quella.
    Lui si limitò ad annuire.

    L’uomo biondo, dai lineamenti affilati sedeva sul sedile posteriore di una lunga auto scura. I vetri fumé impedivano di scorgerlo dall’esterno, ma d’altra parte lui non sembrava troppo interessato a ciò che si trovava al di fuori dell’auto. La giovane autista dai dread neri, al pari della sua carnagione, guidava concentrata, cercando di evitare quanto più possibile che l’auto soffrisse degli effetti del terremoto causati alla strada. Teneva la punta della lingua fra i denti, in una inconscia forma di concentrazione.
    “Siamo quasi arrivati” proclamò quando la piccola casa a tre piani fu finalmente in vista.
    L’uomo non le rispose, si limitò a sospirare pesantemente, annoiato. Tuttavia, in quegli occhi color ghiaccio si accese una scintilla.

    Ryan si trovava seduto sul divano del salotto. Sapeva benissimo quanto restare in casa fosse pericoloso, ma si sentiva svuotato. La scoperta della fuga della sorella lo aveva prosciugato di tutte le energie e nonostante la vicinanza del proprio Pokémon non riusciva a far altro che a restare lì, a vegetare sul divano nel salotto distrutto. Aveva il volto fra le mani ed i capelli dorati gli ricadevano di pochi centimetri davanti agli occhi, occhi che erano cerchiati dalla stanchezza e dall’improvviso stress che le ultime 12 ore gli avevano lasciato cadere addosso. Sapeva che sarebbe dovuto andare a cercare la sorella, sapeva che non poteva lasciar correre e che ora più che mai la situazione lo richiedeva, ma dopo aver fatto un rapido giro dei dintorni e aver chiamato alcuni suoi conoscenti si rese conto che non aveva la forza fisica per farlo.
    Era lì, quando qualcuno bussò alla porta di casa. Si alzò di scatto, provocandosi un capogiro tale da doversi appoggiare alla spalliera del sofà per reggersi in piedi.
    Quando aprì la porta rimase per un attimo interdetto. Dentro di sé sperava fosse Rachel, tornata a casa impaurita dalla situazione o comunque qualcuno che gli portasse notizie della ragazza.
    La coppia che si trovò davanti e che non corrispondeva a nessuna delle situazioni che si era immaginato era composta da una ragazza sconosciuta e da un uomo vestito elegantemente. Fece istantaneamente un passo indietro, come se cercasse di valutare la situazione. Prima che potesse riuscirci, l’uomo parlò.
    “Eravamo venuti per il professor Livingstone... anche se vista la situazione non eravamo molto fiduciosi di trovare qualcuno in casa”
    La voce dell’uomo era calma, profonda. Ryan impiegò qualche secondo per capire il significato di quelle parole.
    “Credo che siate arrivati tardi, allora.” rispose stancamente il ragazzo “Mio padre è morto tre anni fa”.
    L’uomo sbarrò gli occhi, stupito.
    “C-cosa?” la sua voce era agitata e deglutì pesantemente.
    Nonostante tutto Ryan non era in condizione di ascoltare le parole dell’uomo e si limitò a rispondere seccamente
    “Esattamente quello che le ho detto. Sono passati più di tre anni dalla morte di mio padre. Ora, se vuole scusarmi...”
    La ragazza si intromise, fermando con una mano la porta prima che Ryan la chiudesse.
    “Aspetta, per favore!” la voce era agitata quanto quella dell’uomo. “La questione è della massima importanza... Anche pochi minuti, ma ti prego, ascoltaci”
    Il ragazzo li trovò decisamente seccanti, tuttavia era stato in grado di percepire la disperazione dietro quella voce, sospirò pesantemente, prima di riaprire la porta.
    “Mi auguro per voi che siano davvero solo pochi minuti. Purtroppo il momento non è dei migliori nemmeno per me, quindi se non vi dispiace seguitemi e arrivate dritti al sodo”
    Li portò in cucina, dove i danni alla casa erano stati minori, a parte qualche pensile caduto e numerosi cocci sparsi sul pavimento che il ragazzo non si era preso la briga di ripulire. Una volta seduti attorno al tavolo l’uomo riprese parola.
    “Mi chiamo Lionell Weaves, e conobbi il professore diversi anni fa, ad uno dei suoi convegni. Mi affascinò totalmente con la sua argomentazione sulle leggende della regione, di cui tutt’ora lo ritengo il più grande conoscitore...” i suoi occhi vagarono sulla stanza, come se stesse chiedendosi come potesse un uomo dell’altezza intellettuale del professor Livingstone vivere in condizioni simili. Scosse leggermente la testa, smuovendo i capelli biondo platino prima di continuare a parlare.
    “Ci sentimmo frequentemente, e finanziai una sua ricerca, quella che fu la base di tutti i suoi studi futuri. Ero affascinato dal suo modo di parlare, dal suo interesse continuo. Ero rimasto affascinato da lui stesso. Ci scambiammo alcune lettere tramite l’università ad Edesea, ma alcuni anni fa dovemmo salutarci. Le mie condizioni di salute non mi permisero di continuare ad incontrarci e pian piano anche i nostri contatti andarono persi.” lo sguardo dell’uomo era perso, volto al passato, verso dei ricordi che Ryan non poteva conoscere.
    “Mi parlò più di una volta della sua famiglia, e di conseguenza di te. Era molto fiero di suo figlio. Anche tu dovresti essere fiero di tuo padre.”
    Ryan lo aveva lasciato parlare, ma davanti a quell’affermazione schioccò la lingua seccato.
    “Non sarà certo uno sconosciuto a dirmi di essere più o meno fiero del mio vecchio. Finora ti ho lasciato parlare, ma i patti erano altri. Voglio sapere perché siete venuti qui e cosa volete. Dopodiché preferirei che ve ne andaste, come ho detto sono in una situazione delicata” gli occhi cremisi del giovane erano freddi, e la ragazza distolse lo sguardo dal ragazzo, come se non riuscisse a sostenerne la visione. In quel momento Lionell si rese conto che lo sguardo di quello che lui valutava come un semplice ragazzino era quello di un predatore.
    “Riguarda i terremoti.” iniziò “Tuo padre stava studiando una vecchia leggenda e gli ultimi eventi mi danno da pensare che non fosse solo una vecchia storia...” si fermò un attimo, pesando bene le parole.
    “Lui era il maggior esperto, forse l’unico che saprebbe comprendere davvero la situazione... Ma se non c’è più siamo tutti in grave pericolo.”
    Ryan lo osservò, senza variare l’intensità del suo sguardo.
    “Ma è così che stanno le cose. Ed è qualcosa che non può essere cambiato.”
    L’uomo annuì brevemente.
    “Lo so, ma non possiamo arrenderci così. Ragazzo, Ryan, se non erro, ho bisogno del tuo aiuto. Tu sei il legame più stretto di quell’uomo... e l’unico che forse può aiutarci a raccogliere tutta la sua documentazione... più di una volta mi disse che lo aiutavi come assistente nelle sue ricerche, quindi sei l’unico che può sostituirlo e salvare questo paese”
    Tacque, sostenendo lo sguardo di Ryan e fissando il ragazzo dritto negli occhi.
    “Come assistente mi spiace, ma l’unico aiuto che gli davo era il trasporto delle scartoffie... e ora non posso. Mia sorella è scomparsa... Rachel... è uscita stamane... e devo cercarla. Devo almeno aspettarla, se dovesse decidere di tornare”
    Lionell ascoltò le sue parole ed annuì.
    “Marianne, l’hai sentito?”
    La giovane mulatta annuì a sua volta.
    “Di quello non dovrai preoccuparti. Mi occuperò personalmente di rintracciare la ragazza... basta che tu mi dia una sua descrizione, una sua foto ed anche un suo vestito... Forse non lo sai, ma non siamo un duo di mecenati interessati alla mitologia... siamo membri di un grande gruppo. Abbiamo i mezzi e le energie per aiutarti.” Gli occhi, colorati di un verde acceso, chiari ed intensi, fissavano il giovane, determinati.
    Per un attimo Ryan tentennò, l’avrebbero davvero ritrovata? Sarebbero davvero stati in grado di riportarla a casa?
    La ragazza prese il suo silenzio come un assenso. Gli si avvicinò, prendendogli la mano.
    “Possiamo aiutarti, davvero. In cambio del tuo aiuto potremo fare di tutto, ci bastano anche i vecchi appunti di tuo padre... qualunque cosa, adesso, può fare la differenza”
    La sua voce sembrava supplichevole, tanto che il ragazzo tardò a divincolarsi dalla stretta della ragazza.
    “Lo farai, Ryan? Ci permetterai di salvare questa regione e non solo?”
    Il ragazzo li osservò ancora per un istante, dubbioso. Alla fine annuì.
    Non riuscì a non perdersi nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni.
    “Rachel... dove sei?”
     
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    Secondo Interludio


    Vari anni prima dell’incendio del tempio di Arceus, Adamanta era un posto unico al mondo.
    Lunghi corsi d’acqua si snodavano in un territorio rigoglioso di vita. Il Monte Trave sovrastava ogni cosa, guardando dall’alto le piccole pianure e le valli popolose come un padre guarda la propria prole.
    Come detto, nelle valli si accumulavano le persone, piccoli villaggi spuntavano come funghi, per poi espandersi lentamente.
    Tutti paesini piccoli, senza un’identità specifica. Anonimi, quasi tutti uguali. Ogni regnante seguiva dei dettami semplici e pacifici di governo, che permettevano una diplomatica coesistenza di quei piccoli nuclei.
    Qualcuno si salvava, per la fama di qualche grande eroe nato o morto lì, ma solo due centri spiccavano su tutti.
    Il primo era Solnascente. Situato proprio ai piedi del Monte Trave, era noto per la presenza dei templari e per la lunghissima scalinata, quella dei mille eroi, che portava fino ai piedi del tempio.
    La scalinata era stata costruita in onore di mille uomini, mille eroi che avevano combattuto una lunga e dolorosa guerra, ed ognuno di quegli scalini, scolpiti interamente nella roccia della montagna, aveva inciso il nome di uno degli eroi. Morti tutti per salvare Solnascente.
    Molto più grande di Solnascente, Nuovaluna era una città nata sul fiume Astro, che aveva fatto del commercio la sua ricchezza. E, come ogni città più grande, oltre alle cose buone, ci sono anche le cose cattive.
    Il problema era che le cose cattive, a Nuovaluna partivano dal vertice.

    “No, Adamo. Non hai capito”
    “Me lo rispieghi allora, sua altezza”
    Avvolto in un ampio mantello di seta nera, sporcato qua e la di qualche rubino, Nestore camminava frettoloso per la stanza. La mano ingioiellata teneva un bicchiere colmo di vino, rosso come i rubini, che di tanto in tanto portava alla bocca.
    Quando si fermò davanti alla finestra, Adamo strinse gli occhi. Il re eclissava quasi totalmente con le grandi e voluminose spalle la luce che filtrava, e quello sporadico raggio che riusciva nel transito, sprigionava più luce del dovuto. Colpivano alcuni dei rubini sulle spalline pompose e si trasformavano in colorate strisce verdi, blu e gialle.
    Nestore si girò, spostandosi un ciuffo candido dalla fronte, fissandolo sotto la pesantissima corona.
    “Bene. Questo... mondo... è semplicemente una coincidenza”
    “Si spieghi meglio” lo esortò Adamo. Certe volte trovava difficile seguire i discorsi del re. D’altronde era il capo delle truppe, non uno studioso.
    “La maggior parte della plebe, e per dirla tutta, anche molti tra i nobili, venerano il dio Arceus...” cercò di ridicolizzare con il tono le ultime due parole. “...in quanto pensano che sia stato lui a creare tutto. Umani, Pokémon, piante, alberi, prati, fiumi, laghi, mari... tutto. Beh, si sbagliano”
    “Come può essere certo di questa cosa?”
    “Se io fossi l’autore del creato vorrei esser venerato da esso. Se avessi dato il respiro a tutti i Pokémon, li comanderei tutti. Se lo avessi fatto con gli uomini farei lo stesso. Vedi...” poi lentamente si avvicinò all’uomo che quotidianamente si ritrovava seduto su quella sedia lussuosa.
    “...non mi nasconderei in una -dimensione- parallela. Permetterei a chiunque di vedermi”
    Adamo inarcò entrambe le sopracciglia.
    “Certo. Da lontano, tenendo le persone di cui non mi fido a debita distanza... ma avrebbero motivo di credere ai loro occhi. Avrebbero una prova”
    “Ma... se non Arceus, chi? Oppure, quale Pokémon?”
    “Nessuno, Adamo. Il mondo si è creato per una pura coincidenza. Non esistono forze superiori... vieni” disse poi, avvicinandosi a delle ampolle.
    Adamo lo seguì, e guardò curioso le mani del re.
    “Questa...” mischiò un liquido celeste con della polvere, poi lo unì ad un altro liquido. Pochi secondi dopo, il colore del liquido all’interno dell’ampolla che teneva in mano cambiò. E l’ampolla esplose in mille pezzi. ”Vedi... questa non è potenza divina. Questa è alchimia. Unire vari elementi, per creare altri effetti”
    “Effetti strani” sorrise Adamo.
    “Tanto strani quanto inaspettati. E secondo te, questi elementi sono stati creati da Arceus?”
    “...ehm... No?”
    “Bravo. D’altronde, se avessi creato veramente tutto io qui, non darei a nessun altro la possibilità di poterlo fare. Terrei questi preziosi strumenti per me” fece Nestore, asciugandosi la mano.
    “Comprensibile, certo. Ma ancora non arrivo al nesso”
    “Questi strumenti, o meglio, questi elementi, esistevano già prima delle nostre terre. Ed è stato il loro casuale miscuglio a creare quello che vedi oggi”
    “Oh. Ora è chiaro”
    “Ora, caro Adamo, converrai con me che non possiamo lasciare che la gente pensi che sia stato un Pokémon, a creare tutto. I Pokémon sono creature incapaci di comprendere quali sono i fattori utili a far muovere la vita. I Pokémon sono semplici mezzi che utilizziamo per assoggettare altri popoli. Sono le nostre armi”
    “Beh... qui, a Nuovaluna è così” convenne Adamo. “Ma a Solnascente non lo è affatto. Lì i Pokémon sono venerati, considerati come amici, al pari degli uomini”
    “Ed è possibile che questa cosa accada?”
    “No, mio re”
    “In quanto ambasciatore del genere umano, mi sento coinvolto. Voglio che la gente smetta di porre quelle bestie sul nostro stesso piano”
    “Certo”
    “È per questo che cattureremo Arceus. E lo uccideremo”
    “Come?!”
    “Arceus”
    “Ma ha appena detto che non ci crede, in Arceus”
    “Adamo, la comprensione di semplici parole non dovrebbe esserti difficile, nonostante il tuo basso grado d’istruzione. Io ho detto che Arceus non è il responsabile della creazione. Ma so della sua esistenza. Arceus è un Pokémon molto raro”
    “Bene. Quindi? Il da farsi qual è?” domandò Adamo, spaesato.
    “Tu e le tue truppe dovrete velocemente spiegare questa semplice verità ai sovrani degli altri popoli. E chiederai loro di unire le loro truppe alle mie, in modo da raggiungere velocemente questo obiettivo”
    “E chi non si rivede nei nostri ideali? Che succederà a chi non riconoscerà la nostra verità?”
    “Ucciderai i re di tali popoli, ed invaderai quel posto”
    “Ma questo a che ci porterà?”
    Nestore sorrise, i suoi denti si mostrarono in tutto il loro splendore. Si sedette, ed incrociò le braccia.
    “I templari sono guerrieri fenomenali. Uomini devoti che votano la propria vita alla preghiera ed all’allenamento. Il loro compito è proteggere il tempio sul Monte Trave e l’oracolo. Ma ciò che è ancora più importante è il cristallo della conoscenza, presente all’interno del tempio. È l’unico modo per ottenere udienza da Arceus. Ebbene. Noi dobbiamo impossessarcene, ed evocare Arceus. Lo cattureremo, lo indeboliremo, e in pubblica piazza lo uccideremo. Saremo i padroni di un mondo senza un dio. Capisci, Adamo?”
    “Sì, mio re”
    “Se riuscirai in questa impresa, divideremo questi ampi territori, e ti regalerò quello che più ti aggrada. Diverrai re, Adamo. Ricchezze, donne, potere. Tutto per te. Ma dovremmo combattere contro i templari”
    Adamo sorrideva. “Sì, mio re”
    “Bene. Ora esci fuori, motiva le tue truppe ed invadi Vallecometa”. Vallecometa era il centro cittadino più vicino a Nuovaluna.
    "Sì, mio re. Con permesso” e si dileguò.
    Nestore rimase lì. Sorrideva. Un sorriso ispido, ricco di rabbia.
    Una rabbia che esprimeva sugli altri.
    Ormai il suo piano si era delineato. Adamo avrebbe dovuto rendere vero quello che nei suoi sogni erano solo furori e pazzie.

    La luce della luna risplendeva forte sugli scudi, sulle spade, sulle armature dei soldati.
    Timoteo guardò Haxorus, poi Absol e Scyther. I suoi allenatori di spada. Ognuno di loro aveva delle lame, affilate e taglienti.
    I suoi amici. I suoi guerrieri.
    Si avvicinò ad Absol, accarezzandolo. Quello ricambiò con un sorriso. Era un esemplare bellissimo. Sembrava stare perfettamente a suo agio sotto la luce della luna.
    Tutti i suoi soldati erano perfettamente schierati, i loro Pokémon davanti ai propri scudi.
    Marcello guardò Timoteo, sorridente. Era carico, voleva dare una lezione a quegli uomini, odiosi e seccanti.
    Haxorus guardava Gengar, che avanzava lentamente. Sogghignava, come suo solito.
    L’esercito degli ingiusti si stava schierando.
    Adamo guardava il tempio con occhi bramosi. Nestore aveva bisogno di quel cristallo a tutti i costi.
    Lui e Timoteo si squadrarono per un momento. Entrambi concentrati, entrambi fieri di quello che erano.
    Timoteo fece la sua ultima carezza ad Absol, e si pose al centro delle sue truppe. Una truppa fatta di soldati, di uomini e Pokémon.
    Anche gli ingiusti avevano truppe formate da tali schieramenti, la differenza però era netta: Haxorus, e gli altri Pokémon del suo schieramento erano amici degli umani, e lottavano per difendere il tempio. Anche loro si battevano per il loro dio, anche loro combattevano per Arceus. Tra i templari ed i loro Pokémon c’era un legame mistico, un filo che li teneva uniti tra di loro, nella gioia e nel dolore. Nessuna differenza, nessun tipo di pregiudizio né scala di valori. Gli unici valori che vigevano in quel contesto erano quelli militari. Tutti stavano a ciò che diceva Timoteo. Subito dopo, in uno schema a piramide, c’erano gli altri, tra umani e Pokémon.
    Tra gli ingiusti ed i loro Pokémon, invece, non esisteva nessuno stato di parità. I primi erano i padroni, gli altri i servi. E ciò bastava a far capire il tutto. Nonostante di natura quei Pokémon non fossero malvagi, erano stati inquinati dai pensieri dei loro padroni. Ed erano costretti a combattere. Quelli erano stati iperallenati fino allo sfinimento, basandosi su un sistema di premi e punizioni. Se riuscivano ad ottenere quello che i loro padroni volevano, i Pokémon potevano mangiare, bere, rilassarsi. Altrimenti niente. Ed i maltrattamenti continuavano. Venivano tenuti in cattività, quando non si allenavano, non uccidevano e non stavano nelle loro sfere, venivano tenuti in gabbia.
    Fu proprio per via dei metodi di allenamento degli ingiusti che Arceus inveì contro il mondo che egli stesso aveva creato.
    Timoteo guardava Adamo sguainare la spada, puntarla contro il tempio ed urlare qualcosa.
    Come in ogni battaglia, il capo dei templari diede le spalle al nemico, guardando le sue truppe. Uomini e donne, stanchi, ricchi di paure e sonni non trascorsi tra le braccia di chi amavano.
    “Questa... questa è probabilmente la mia ultima battaglia. Sì. Perché oggi sconfiggeremo definitivamente i nostri avversari. Lo faremo, per noi e per loro. Per Prima, e le altre donne che vivono su, nel tempio. E sopra ogni cosa lo faremo per Arceus”
    Il volto di Marcello si indurì.
    “Sapete cosa vedo davanti? Vedo uomini stanchi, e vogliosi di tornare a casa, tra le loro famiglie. Di divertirsi, e sorridere, senza il peso che questo esercito di pazzi porta alle nostre anime. Ed è proprio alle nostre anime che dobbiamo parlare, chiedendo loro di mantenere strette le catene della nostra concentrazione. Non lasciamoci andare oggi. Non perdiamo. Non perdiamo le nostre vite, non perdiamo i nostri amici. Io... io lotterò per Prima. Voi per chi lotterete?”
    Un leggero brusio si alzò.
    “Benissimo. Per Arceus” disse Timoteo, alzando la spada verso Adamo.
    “Per Arceus!” urlò l’esercito alle sue spalle.
    La guerra cominciò. Prima vide dall’alto una scena incredibile. Uomini e Pokémon coperti di bianco entravano in uno schieramento di elementi neri come la pece, formando una miscellanea strana.
    Come se ci fossero tante stelle in un cielo profondamente scuro.
    Come se un onda si abbattesse sul bagnasciuga e ristagnasse lì, riempiendo piccole pozze.
    Preoccupata, Prima andò da Abra, e gli ordinò di trasmettere nella pozza d’acqua le immagini di Timoteo e della sua battaglia.

    Timoteo strinse la spada, e prese a correre verso Adamo. Haxorus lo seguì. Gengar lo stava aspettando.
    “Non l’avrai vinta!” urlò il templare, attaccando forte con la sua spada. Adamo alzò lo scudo, e contrattaccò. La spada di Timoteo fermò quella di Adamo.
    Da sempre i due si rivaleggiavano, ma nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro.
    La spada di Timoteo stava a pochi centimetri dalla sua fronte, quella di Adamo spingeva, per affondare nelle carni di quell’uomo che tanto odiava.
    Doveva riuscire a vincere quella battaglia. Doveva arrivare al tempio, e prendere il cristallo.
    Il cristallo.
    L’unica ragione di tutta quella solfa, di quello spargimento di sangue.
    L’unico modo di far apparire Arceus. Ed allora Nestore avrebbe avuto la possibilità di catturarlo, e di ottenere tutto ciò che voleva.
    Dopodiché avrebbe reso Adamo ed i suoi uomini delle persone schifosamente ricche. Adamo si immaginava già capo di una grande metropoli. Metropoli che avrebbe portato a diventare la capitale di un enorme stato, che lo avrebbe venerato come unico re.
    Doveva esaudire questa sua sete di potere ad ogni costo, avrebbe ammazzato anche Nestore se ce ne fosse stato il bisogno.
    E Timoteo e quell’esiguo rimasuglio di esercito erano il suo ostacolo.
    Da levare di mezzo.
    Eticamente non era corretto far attaccare gli umani dai Pokémon, ma ad Adamo non era mai importato nulla dell’etica.
    “Gengar!”
    Quello stava scansando i Dragopulsar di Haxorus. L’allenamento del templare con il suo drago era stato molto intenso, tanto da rendere quest’ultimo indipendente in battaglia.
    Il fantasma distolse per qualche secondo lo sguardo dall’avversario, ciò gli costrinse ad abbassare la guardia.
    “Vai Haxorus, ora!” urlò Timoteo, dando una pedata sulle gambe di Adamo, facendolo ruzzolare per terra.
    Haxorus, come se fosse stato temprato dalle parole del suo compagno, usò un forte Lanciafiamme su Gengar, che accusò il colpo, balzando indietro. Il viso dello spettro era contrito.
    “Gengar, usa Palla Ombra su Timoteo!” urlò Adamo da terra. Haxorus ruggì, ma non riuscì ad evitare che la sfera oscura prodotta dalle mani di Gengar partisse.
    Ad alta velocità stava per raggiungere Timoteo. Questo sapeva che il suo scudo sarebbe servito a poco, e che se fosse sopravvissuto a quell’attacco, non l’avrebbe fatto senza pochi danni. Nonostante tutto era coraggioso e carico. Prima non mentiva. E gli aveva detto che sarebbe stato del fuoco ad ucciderlo, fuoco e null’altro.
    Fermo restando questo, la sfera oscura si stava avvicinando. E lo stava per colpire. Si nascose dietro allo scudo, cercando di lasciare scoperta il meno possibile dall’abbraccio di quella protezione inefficace.
    Haxorus ruggì ancora, riprendendo ad usare Dragopulsar su Gengar, come se non dovesse accadere nient’altro.
    “Cosa... cosa è successo?”
    La confusione della guerra circostante si calmò per un momento, e luitirò la testa fuori.
    Absol era fermo, sguardo contrito assetto basso. Era pronto ad attaccare.
    “Grazie, Absol!” urlò Timoteo, rialzandosi, cercando di quantificare quanto fosse ignobile quell’uomo. “Palla Ombra non ha fatto un graffio al mio amico Absol”
    “L’ho visto...” Adamo sbuffò, sembrava quasi volesse bruciare Timoteo con lo sguardo. Poi diede un urlo enorme, attaccando Timoteo con forza. La spada voleva andarsi ad infilare tra il collo e la cassa toracica, ma lo scudo bloccò ancora l’attacco. Con un veloce strattone, Timoteo gli fece cadere la spada, e gli diede un forte calcio alle ginocchia.
    “Arrenditi, Adamo, e stasera non morirai”
    “Sarai tu a morire! Gengar, vai con Ipnosi!” e finalmente, ricevuto l’ordine, Gengar attaccò Haxorus, mettendolo a dormire.
    “No! Absol, pensa a difendere Haxorus!” poi girò lo sguardo verso Adamo. “E tu smettila di fare il vigliacco, e lotta ad armi pari contro di me!” un forte colpo di spada andò a battere rumorosamente contro lo scudo di Adamo, che contrattaccò, raccogliendo la sua spada da terra, sbattendone violentemente il manico sul torace protetto dall’armatura del templare. Timoteo barcollò, poi cadde, stordito.
    Marcello accorse, preoccupato. “Timoteo! Come stai?!”
    “Sto bene. Pensa a lottare piuttosto” rispose il capo dei templari, rimettendosi lentamente in piedi. Fu in grado di vedere Scyther lottare contro la spada di Adamo, che sarebbe andato volentieri a finire Timoteo.
    “Scyther, cerca Makuhita e portalo qui!”
    La mantide si dileguò velocemente, mandando a vuoto l’attacco di Adamo, colpito poi sul volto da un pugno di Marcello.
    “Torna di là, Marcello, ed aiuta chi è in difficoltà”
    “Sì, Timoteo”, fece, e poi sparì. Timoteo prese la sua spada da terra, ma si rese conto che Adamo era sparito dalla sua visuale. Poi si girò di spalle, e quello lo colpì ancora al volto, stavolta con lo scudo.
    Dolore atroce.
    Timoteo urlò, il sangue si espanse sul suo volto da una ferita sulla fronte, andando a sporcare la candida armatura.
    Ora era davvero infuriato. Con la spada prese a martellare forti colpi sullo scudo, in serie. Stringeva l’impugnatura e rilasciava la sua rabbia sullo scudo di Adamo. Le onde d’urto che inferivano i colpi sulla difesa del malvagio facevano in modo che quello indietreggiasse.
    “Tu!” e poi un colpo. “Non!” altro colpo. “Puoi!” ancora. “Fare così!” questa volta il colpo fu davvero tremendo, tanto da spaccare lo scudo in due pezzi, e da scheggiare la spada.
    Adamo giaceva impaurito per terra. Timoteo sferrò un potente calcio sul volto di quello, che poi perse conoscenza.
    Intanto Scyther era arrivato assieme a Makuhita.
    “Eccoti, meno male. Usa Svegliopacca su Haxorus, presto”
    Detto fatto. Timoteo ringraziò il Pokémon lotta e si guardò attorno. Non c’erano fiamme. Si combatteva alla luce della luna, che quella notte stava dando il meglio di se.
    Forse Prima si sbagliava.
    Tornò a guardare Adamo. Giaceva ancora per terra, muovendosi lentamente. Non riusciva ad alzarsi.
    Nonostante odiasse uccidere, Timoteo si trovava costretto a farlo.
    Adamo era un individuo pericoloso, ed avrebbe fatto correre rischi impensabili a tutte le persone devote e di buon cuore.
    “È finita, Adamo”. Timoteo impugnò la spada e portò la lama scheggiata accanto al volto del malvagio.
    “Tu... tu non potrai fermare la distruzione. Siamo fatti per questo. Per rompere, per abbattere tutto ciò che è stato creato. Voi non capite che Arceus si ciba di voi. Vi utilizza come mezzi per vivere, riempiendo con la vostra felicità la sua pancia. Io so che per te è assurdo ascoltare le mie parole. Ma io non voglio che nessuno possa controllare le mie volontà, sfruttare i miei stati d’animo, punirmi se sbaglio. Nessuno può punirmi”
    Timoteo ebbe un accenno di sorriso, inarcando un sopracciglio. “È quello che sto facendo”. Gli diede un altro calcio poi, nello stomaco.
    Adamo sputò sangue sulla lama della spada del templare. Pochi metri dietro di lui vi era un precipizio, molto ampio, in cui quella notte erano caduti centinaia di Pokémon ed allenatori. Gli sembrava strana quella calma, mentre urla e morti si susseguivano come note su di un pentagramma.
    “I miei Pokémon mi vendicheranno” disse Adamo, asciugandosi dal sangue e dalla saliva che gli sporcava il volto.
    “Tu hai solo un povero sfortunato Gengar che non sa agire da solo. Sta cercando di scampare agli attacchi di Haxorus e di Absol, ma tra poco sarà il suo turno. Lo cattureremo con le sfere pulitrici costruite dall’artigiano, lavando via le macchie che hanno sporcato la sua anima. E lo addestreremo a fare del bene”
    “Ti sbagli se credi che io abbia solo Gengar. E comunque posso ancora dare degli ordini ora. Muk, attacca!”
    D’improvviso Marcello si sentì immobilizzare le gambe. Un Muk, tanto puzzolente quanto grosso, aveva invischiato le sue gambe, immobilizzandole con il suo corpo.
    “No! Noctowl aiutami!”
    Marcello però non si era accorto che uno Skarmory aveva sconfitto Noctowl, che ora giaceva esanime.
    E fu così che Marcello fu inghiottito da quella melma mobile. Pochi attimi dopo, Muk si ritirò, lasciando per terra il corpo esanime ed irriconoscibile di Marcello, con l’armatura bruciata dagli acidi interni del suo corpo, che avevano reso una tavolozza scombinata la sua faccia.
    Marcello era morto.
    “No! Bastardo!” un altro calcio di Timoteo rivolto verso Adamo lo avvicinò al precipizio.
    “Gengar...” quello affannava. “...occupati di Prima. Ora”
    “Non toccare Prima!” urlò Timoteo, che colpì con violenza immane la faccia di Adamo, che ricadde indietro, tuffandosi nel vuoto del precipizio.
    Adamo era andato. Morto.
    Gengar, invece, fluttuava in aria, a grande velocità, e si avvicinava velocemente alla scalinata degli eroi.
    “No, dannazione! Haxorus, Scyther, Absol, e chiunque possa farlo! Fermate Gengar!”
    Timoteo si limitò a dire quello. Il terrore bloccò i suoi arti. La spada cadde dalle sue mani. Poche decine di templari stavano fronteggiando ancora meno ingiusti, centinaia di cadaveri e di feriti stavano su quel terreno come foglie cadute in autunno.
    Sangue ed odio erano riversati nell’aria, la morte camminava tra di loro con una disinvoltura quasi imbarazzante.
    Si era portata via anche Marcello.
    Marcello non c’era più. C’era solo un corpo esanime. Chiuse quello che rimaneva delle sue palpebre, le pupille erano state interamente bruciate e disciolte dall’acido di quel Muk che ora giaceva sotto forma di pozza.
    Guardava Gengar viaggiare spedito, mentre fluttuava verso il tempio. La foresta, con i suoi colori scuri, che costeggiava la scalinata del monte Trave, riusciva a mimetizzare il fantasma. Haxorus però riusciva a stargli dietro. Poco dopo c’era Scyther e più distante uno stanco Absol. Avevano dato tutto quella sera, ma la battaglia era quasi vinta.
    E di fuoco nessuna traccia. Possibile che Prima avesse sbagliato?

    No.

    Haxorus rincorreva Gengar, standogli a meno di cinque metri di distanza. Il ghigno malefico dello spettro innervosiva il drago, che ruggiva, lanciandogli enormi lanciafiamme contro. Quello però era più rapido, e riusciva abbastanza facilmente a scansare gli attacchi di Haxorus. Molti si schiantarono contro la pietra della montagna, facendo alzare in volo numerosi stormi di Pokémon. Altri presero in pieno gli alberi della foresta.
    Ed un incendio divampò in maniera magniloquente.
    Un incendio che non conosceva ragioni. Arceus stava cominciando a riprendersi ciò che era suo. Partendo dal monte Trave. E sul monte Trave c’era il tempio.
    “No! Prima!”
    Timoteo prese a correre, appesantito dal suo equipaggiamento. Non vedeva più niente di tutto ciò che aveva attorno, non sapeva su cosa stava muovendo i suoi passi, se fosse il normale campo di battaglia oppure qualche corpo senza vita.
    Dapprima lasciò lo scudo sul campo di battaglia. Quello pesava e non poco.
    Poi gettò anche la spada.
    Doveva correre, salire i mille scalini, provare a raggiungere il tempio prima del fuoco.
    Ma le sue gambe non potevano farlo.
    Era troppo stanco ed appesantito.
    “Haxorus!” urlò. Quello si voltò, ruggendo, mentre continuava a correre.
    “Scyther, presto insegui Gengar e fermalo. Vai con Extrarapido!”
    La mantide velocemente sfruttò la mossa per scattare davanti allo spettro, che spaventato attaccò con un attacco Ipnosi, che non andò a segno. Scyther utilizzò Nottesferza, mossa che si rivelò efficace. Gengar lentamente prese ad accasciarsi.
    “Haxorus vieni! Scyther, mettilo fuori combattimento! Absol, aiuta chi è in difficoltà!”
    Timoteo levò l’armatura, rimanendo a petto nudo e con i calzoni che usava di solito sotto la sua protezione. Poi salì in groppa ad Haxorus.
    “Ora! Andiamo al tempio!”
    Haxorus ruggì di nuovo, e prese a correre velocemente verso la cima del monte, salendo le scale sei alla volta, mentre le fiamme divampavano ai fianchi di esse.
    Sapeva che sarebbero stata la causa della sua morte, ma doveva provarci. In quel momento non pensò neanche al fatto che potesse morire.
    Ed invece, arrivati più o meno alla fine delle scale dei mille eroi, le fiamme presero il sopravvento sulla sua voglia di salvare Prima.
    E morì.
    Bruciato dalle fiamme del suo amico, Haxorus. Entrambi lasciarono quel mondo con le lacrime al viso.

    “Devi scappare! Ora!” urlò Olimpia.
    Abra fluttuava a mezz’aria, e poco lontano da lei c’era Prima, distrutta dal pianto, seduta per terra, con la testa e le braccia sul suo letto.
    “Prima! Le fiamme stanno distruggendo il tempio!”
    “Non importa! Non mi importa niente! Timoteo è morto, ed io l’ho visto con i miei occhi! Stava venendo qui a salvarmi!”
    “Prima...” Olimpia si avvicinò e si sedette sul letto. “...Timoteo ha fatto quello che doveva. Il suo dovere era fermare gli ingiusti. Hanno vinto la battaglia.
    Abbiamo vinto la battaglia”
    “Lui è morto!”
    Olimpia fissava la giovane. “Guardami”
    Quella alzò il viso, cercando di focalizzare il viso dell’anziana. Nel fantastico caleidoscopio che le sue lacrime avevano creato, il volto di Olimpia sembrava di troppo.
    “Lui non è morto. Lui è vivo. Dentro di te”
    “Come?”
    Olimpia si alzò, e prese per mano Prima. La fece sollevare dal pavimento, e la mise in piedi. Poi sorrise, e le toccò la pancia.
    “Qui c’è Timoteo. Il tuo Timoteo è qui. Ha voluto lasciare un pezzo di se all’interno della tua anima”
    “Come?” chiese ingenuamente Prima, stupita dalla notizia.
    “Darai al mondo un erede. Ma devi scappare da qui. Nei pressi della cascata di Zefira c’è una piccola grotta. Vai lì, e cresci il tuo bambino”
    Prima guardava shoccata Olimpia.
    “Sandra verrà con te, e ti aiuterà”
    “O-ok” tentennò Prima, scossa dai singhiozzi e dalle lacrime.
    Olimpia prese ancora le mani dell’oracolo.
    “Cosa più importante, però, è che tu porti in salvo con te questo”. Olimpia diede una scatola di pietra, piena di intarsi bellissimi.
    “È il cristallo sacro ad Arceus. Se questo venisse perso, non potremmo più metterci in contatto con lui”
    “Va bene”
    “Abbine cura”
    “Sì, Olimpia”
    “Ora vai”
    Prima annuì. Posò per un attimo il cofanetto sul letto e strinse forte Olimpia.
    Quella sorrise. L’aveva letteralmente cresciuta ed educata per adempiere ai suoi doveri.
    Era come una figlia per lei. Quella figlia che non aveva mai potuto avere.
    L’abbraccio durò il più del previsto, e senza accorgersene le fiamme divamparono nella stanza.
    “Sandra!” urlò Olimpia. Quella accorse velocemente con una tinozza, cercando invano di spegnere il fuoco.
    “È inutile! Vieni qui!” urlò ancora l’anziana.
    Sandra si trovò spaesata davanti alla richiesta di raggiungerla senza spegnere le fiamme. Olimpia le mise una mano sulla spalla.
    “Prenditi cura di lei”
    Le fiamme inghiottivano velocemente tutto.
    “Vieni anche tu, Olimpia!” urlò Prima.
    “No. Io devo stare qui. Abra, Teletrasportati alle cascate”
    E fu così che le fiamme inghiottirono il tempio. Ma Prima ed il cristallo erano in salvo.
    In fondo era quello che interessava.
    Che il cristallo fosse in salvo. E che Prima fosse con esso.
     
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    Capitolo 4° - Decisioni


    “È la sera che mi piace. A dire il vero è il momento della giornata che preferisco di più. La gente per le strade è poca, il sole non illumina tutto... e non ti fa vedere quello che c’è...” sospirò Zack.
    La casa di Alma era davvero calda, e nonostante fuori ci si avvicinasse allo zero, i ragazzi godevano della temperatura e dell’ottima scelta della professoressa di montare un condizionatore.
    Alma scribacchiava qualcosa su di un quaderno, seduta al tavolo della cucina, e non faceva caso alle parole del giovane, mentre un sassofono risuonava dalle casse di una radio polverosa e stagionata.
    Rachel rimaneva li ad ascoltare le parole del ragazzo, cercando di capire per quale motivo si trovasse lì.
    Sì, scappava da Ryan. Ed il motivo preciso non lo sapeva nemmeno bene.
    In fondo Ryan l’aveva sempre trattata con dolcezza e le aveva dato tutto l’amore che un fratello le potesse dare.
    La rabbia, però, imbruniva il suo viso, increspava la superficie liscia dei suoi occhi, inclinava la forma a cuore delle sue labbra, a formare qualcosa di diverso. Qualcosa di spontaneo, che non si riusciva a nascondere.
    “...non sempre siamo obbligati a guardare quello che l’universo ci impone di vedere. Qualche volta basta chiudere gli occhi. Ed immaginarsi una vita nuova. Normale.”
    Il ragazzo pose le mani sul vetro, congelato, e come se avesse perso le forze, vi poggiò anche la fronte.
    Un respiro caldo creò la condensa sul vetro, e lui, scoraggiato, vi scrisse sopra “Why?”.
    Poi si arrese alla stanchezza e alle emozioni del giorno, e se ne andò a dormire.
    Rachel lo vide, e decise di darsi un contegno. Risistemò l’equilibrio del suo volto, e poi si alzò.
    Si avvicinò alla finestra, lesse la scritta, ormai sbiadita, su quel vetro che sembrava essere di ghiaccio, e guardò la porta chiusa dove Zack si era rifugiato.
    “Che cosa ha passato per buttarsi giù in questa malinconia così velocemente?” si domandò tra sé e sé.
    “Il passato pesa, Rachel” rispose Alma, noncurante di tutto ciò che avveniva attorno a lei. Almeno di tutto ciò che non facesse rumore.
    “Non lo dica a me... ma... è strano. Stamattina sembrava così energico, e ieri era gentile. Oggi pomeriggio riflessivo, mentre stasera era depresso”
    “È un tantino lunatico, il ragazzo, c’è da ammetterlo. Ma ci deve essere qualcosa che gli toglie la serenità. Ecco perché parte sempre all’avventura. Cerca un modo di abbandonare i suoi pensieri”
    “Ma questo non è possibile...” realizzò Rachel, a bassa voce.
    “Esattamente”
    “E cosa gli è successo?”
    “Io non lo so. Abbiamo un buon rapporto, io e Zack, ma non si è mai aperto volontariamente con me. Ed io non sono una persona che di solito chiede”
    Rachel fece una smorfia col volto, consapevole che la professoressa non avrebbe potuto vederla, in quanto concentrata nella stesura di qualcosa. E la smorfia stava per: “è naturale che tu non chieda mai, bella come sei non hai mai avuto bisogno di chiedere niente”. La sua voce interna sembrava un tantino infastidita, ma lasciò correre, e tornò a guardare il vetro.
    Why? Perché? Il suo passato. E poi Ryan comparve nella sua testa, a sprazzi, come un lampo, più volte. Digrignò i denti, Rachel, ed abbassò il volto. I capelli corvini le ricaddero davanti, rendendo impossibile a chiunque volesse il mettere a fuoco il suo viso. Ma tanto Alma non sembrava essersene accorta.
    “Da dove viene, Zack?” domandò la ragazza, cercando di cambiare discorso, per distrarsi da quelle epifanie costanti e fastidiose.
    “La sua famiglia è originaria di Adamanta. Ma lui è nato a Kanto. A Celestopoli, per la precisione”
    “Non ci sono mai andata”
    “È da vedere. Una bella cittadina”
    “Ed è partito da lì”
    “Sì. Circa 10 anni fa”
    “Ok... bene...”. E poi calò il solito silenzio imbarazzante di quelle situazioni. Fu quasi forzato, Rachel vedeva Alma impegnata a scrivere, e non aveva alcuna intenzione di disturbarla. Almeno non più di quello che già faceva.
    “Ehm... che... che cosa sta...” Rachel allungò le mani puntando il quaderno, e mutilando la sua frase sul punto di domanda.
    “È un promemoria per voi, ragazzi”
    “Cosa?!”
    “Promemoria” sorrise Alma, per via del tono di voce della giovane. Per la prima volta alzò gli occhi dal quaderno e la guardò. “Vi sto annotando alcune cose importanti riguardanti la leggenda e l’utilizzo del cristallo. Purtroppo risulterà inutile se non troverete una persona con le giuste caratteristiche”
    “Ovvero? Quali sono?”
    “Beh... la leggenda parla di una donna, vergine, e dall’animo realmente puro e devoto”
    “Andremo a cercare in un convento” sorrise Rachel. Riuscì a strappare un sorriso ad Alma.
    “Bene. È tardi. Ti preparo una coperta... il divano non sarà comodissimo, ma è il massimo che posso offrirti. A meno che tu non voglia dormire con Zack”
    “Non credo sia il caso, no. Il divano andrà più che bene”
    “Lui è entrato automaticamente lì, perché quando viene ad Edesea soggiorna da me, di solito”
    “Oh, certo. Sì, naturalmente”
    “Ok”
    La bella donna, che finalmente aveva visto senza camice, si dileguò, e tornò dopo poco con delle coperte ed un cuscino.
    “Domattina io scenderò presto. Spero di non svegliarti”
    “Non si preoccupi”
    “E dammi del tu. Non sono così vecchia”
    Rachel sorrise. “Ok, Alma. Buonanotte, e grazie”
    Alma sparì, e Rachel si preparò per andare a dormire.
    Davanti allo specchio, fievolmente illuminato da una lampadina sulla via di non ritorno, si pettinò per bene i capelli con la spazzola che si era portata da casa, mentre Zorua, che aveva fatto uscire attimi prima, si stiracchiava. Non era abituato a rimanere nella sua sfera, ma per forza di cose, il pavimento non era più un posto tranquillo.
    “Eh... Zorua, eccoci qua... protagonisti della nostra storia... il nostro viaggio”
    Zorua la guardava, ma non riusciva a capire il senso delle parole della giovane.
    “Partiremo con Zack, cercheremo di salvare Adamanta. In realtà credo che la cosa avrà effetti planetari... ad ogni modo è una cosa importante. Tu sarai con me?”
    Zorua saltellò sulle gambe di Rachel, e si appallottolò.
    “Questo è un sì...” sorrise.
    La ragazza continuava a spazzolare, chiedendosi perché avrebbe dovuto seguire Zack in quella folle impresa. Insomma, oltre ad essere un totale sconosciuto, che le aveva salvato la vita, ma dettagli, non sapeva niente di lui. Poteva essere un violentatore, uno stupratore, un maniaco feticista o chissà cos’altro. No, non era saggio partire all’avventura per salvare il mondo.
    Sorrise. Quanto era mainstream quella cosa. Stavano andando a salvare il mondo.
    Le piaceva la cosa. Le piaceva molto.
    Ma con uno sconosciuto... cioè... le sembrava improbabile.
    Era stata catapultata all’improvviso in un mondo strano, fatto di doveri e di persone straordinarie, capaci di stupirti con incredibile semplicità.
    Zack era bravo abbastanza per riuscire da solo in quella strana ed improbabile avventura.
    Insomma, aveva paura di sentirsi d’intralcio. Magari avrebbe fatto danni, casini, che avrebbero rallentato il ragazzo.
    Quello strano ragazzo.
    Sbuffò. I pensieri si annodavano nella sua testa come se all’interno vi fosse il migliore dei marinai.
    Almeno non pensava a Ryan.
    “Oh, cavolo!”
    Aveva pensato al fatto che non lo stava pensando, e si rese conto di averlo pensato. Zorua fu leggermente disturbato dalla stizza della ragazza, ma non si svegliò.
    I capelli erano pettinati, fin troppo. Li legò in una pratica coda, e decise che quella giornata doveva decisamente finire.

    Era notte fonda, ma Ryan aveva finito da poco di caricare i documenti del padre presenti in casa sul furgoncino dei sottoposti di quello strano tizio. Quando, nel pomeriggio, altri sconosciuti avevano cercato di entrare in casa per prendere la documentazione presente, il ragazzo si era fermamente opposto. Non voleva che degli estranei frugassero in casa sua, anche solo per pochi minuti.
    Ora che il camion era carico Ryan era di nuovo seduto in quel che restava del soggiorno, mentre Lionell e la ragazza al suo fianco (che aveva scoperto si chiamasse Marianne) discutevano su quale via fosse meglio percorrere viste le condizioni del manto stradale. Non ne sapeva molto di loro, l’uomo gli aveva accennato che era a capo di un’associazione paragonabile ad un gruppo di vigilantes. Il loro nome era Omega Group. Gli era stato detto che avevano una sede principale a Timea, ma anche altre succursali in vari punti della regione, erano economicamente indipendenti grazie all’incredibile fiuto per gli affari del loro fondatore e spesso partecipavano ad opere filantropiche.
    Niente di tutto questo lo interessava.
    Ma capire le reali dimensioni dell’organizzazione che aveva di fronte e sapere che sarebbero state impiegate anche per cercare Rachel lo tranquillizzava abbastanza da costringerlo a cooperare. I suoi occhi cremisi erano cerchiati dalla stanchezza. L’orologio era caduto e si era fermato durante la prima scossa di terremoto e non aveva idea di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che avesse dormito decentemente.
    ‘Sembrano essere passati secoli...’ pensò stancamente. Lionell gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla.
    “Immagino che sarai distrutto, ragazzo.” disse calmo “Questo posto non è più sicuro per dormirci. Vieni con noi a Timea. Lì potrai sapere subito se avremo notizie su tua sorella e appena saprai potrai raggiungerla immediatamente.”
    Si accorse di non riuscire a distinguere le parole dell’uomo come avrebbe voluto, la stanchezza iniziava a compromettere seriamente le sue capacità. Tuttavia, da quel che poteva capire, la proposta era sensata.
    “In più devi darci una mano con il lavoro di tuo padre. Abbiamo davvero bisogno di te” Gli tolse la mano dalla spalla, mentre tornava a parlare con la ragazza.
    Ryan fu solo vagamente cosciente di aver annuito.
    Salì sul furgone assieme a Marianne e sprofondò in un sonno profondo e nero.

    La porta di casa si chiuse leggermente, ma era riuscita ugualmente nell’intento di svegliare Rachel.
    Quel divano era più scomodo di quanto pensasse. Zorua, al contrario di lei, sembrava essere fresco e riposato.
    Mosse lentamente le spalle, con la paura di rompersi qualche osso, mettendosi a sedere. Zorua rotolò pigramente sul cuscino, riscaldato dalla testa della sua allenatrice.
    “Ben svegliata” disse Zack, con un accenno di sorriso.
    Era seduto al tavolo, proprio dove Alma era seduta la sera prima, con una tazza di caffellatte in mano mentre sfogliava un quaderno.
    “Ciao”
    “Dormito bene?”
    “Tutt’altro. Che fai?”
    “Colazione”
    “Intendo l’altro...” indicò con l’indice della mano sinistra. “Cosa leggi?”
    “Ah. Sono gli appunti che ci ha lasciato la professoressa”
    “Posso leggerli anche io?”
    “Devi. Altrimenti non potrai accompagnarmi”
    Rachel si stiracchiò, stendendo le mani al cielo, e stringendo i pugni, poi crollò di nuovo distesa, accanto al volto di Zorua, che si spaventò, e si alzò di scatto, abbaiando.
    “Calmati, Zorua, sono io...” fece tranquilla Rachel.
    “Allora? Andiamo?”
    “Dove vuoi andare?”
    “Ad allenarci”
    “Allenarci?”
    “Già. Non dimenticarti che hai appena catturato un Blitzle, e che non hai nemmeno fatto la sua conoscenza”
    “Hai ragione. Devo allenarmi”
    “Non puoi partire all’avventura senza essere sufficientemente pronta”
    Rachel si alzò ed andò a sedersi accanto a lui. Si versò una tazza di caffellatte e guardò Zack.
    “Hai deciso da solo che ti dovessi accompagnare”
    “Non sei d’accordo?”
    “Non è questo. È che non ti conosco nemmeno, non vedo perché debba seguirti. Potresti anche essere un delinquente”
    “Non lo sono”
    “E a me chi lo dice?”
    “Mi piace la tua compagnia. E dopo quello che è successo al bosco pensavo che... insomma... fossimo dentro questa storia insieme...”
    Rachel pensò a Braviary e gli vennero i brividi. “Io dovevo andare a Timea...”
    “...a portare qualcosa ai tuoi zii, sì, lo so, ma non ti sembra ridicola come scusa?”
    “Non sono brava a mentire” sorrise lei, portando la mano alla testa.
    “Avanti... che sarà mai? È un’avventura!”
    L’entusiasmo di Zack strappò un altro sorriso alla ragazza. Lo guardava, era lì, con i capelli arruffati, gli occhi verdi ed uno strano pigiama blu, assieme al suo immancabile sorriso smagliante.
    Le doleva ammetterlo, ma quello strano e odioso ragazzo, che sembrava essere perfetto, ma anche l’essere umano più sbagliato della terra, era carino.
    “So che è un’avventura... ma ho paura”
    “Di cosa?”
    “Di perdermi”
    “E cosa c’è di brutto nel perderti, quando non sai dove andare?”
    Rachel sbatté le palpebre, abbassando gli occhi. Zack aveva ragione.
    “Puoi fidarti di me. Oppure no, non farlo. Ma resta il fatto che, anche se ci conosciamo da pochissimo tempo, mi sei simpatica. Ed ho bisogno di qualcuno che mi segua, che mi faccia compagnia e che mi spalleggi. Potrei trovare qualcosa di troppo forte da fronteggiare da solo. In un certo senso... sì, ho bisogno che mi aiuti”
    “Hai bisogno di me?”
    “Sì”
    “Perché proprio io?”
    “Perché non tu?”
    Rachel sorrise. E poi annuì. “Ok... ti seguirò. Partiremo insieme”
    “Ottimo!” esclamò Zack, talmente pregno di energia che cadde dalla sedia.
    I due si vestirono, e raggiunsero lo spiazzo dove il giorno prima Alma li aveva messi al corrente della leggenda di Arceus.
    Zack era di fronte a Rachel, Braviary si manteneva in aria sbattendo energicamente le ali.
    Era una lotta.
    “Vai Wizard!” gridò la ragazza mentre dalla sfera uscì l’esemplare di Blitzle che aveva catturato il giorno prima.
    “Wizard?” Il ragazzo la guardò incuriosita, mentre inclinava la testa.
    “È il suo nome. L’ho appena deciso.” replicò Rachel soddisfatta dell’aria sorpresa di Zack.
    “Dai soprannomi ai tuoi Pokémon? Lo ha anche il tuo Zorua?” Continuò a interrogarla il ragazzo, con i brillanti occhi verdi a metà fra lo stupito e il divertito.
    “Bé... no. Ma lui è speciale. È stato il primo Pokémon che io abbia mai catturato. Un momento magico” annuì ancora più soddisfatta la giovane.
    “Oh. Ok. Bé, per me possiamo cominciare” decise di concludere lui, accettando il nomignolo del Pokémon della ragazza e l’inspiegabile soddisfazione che le procurava.
    “Ma Blitzle è un Pokémon elettrico. Non sarà difficile per Braviary?” domandò ingenuamente Rachel.
    Zack sorrise. “Braviary è abituato a questo ed altro. Piuttosto, conosci le mosse e le caratteristiche del tuo Pokémon?”
    “Sul Nintendo era facile da allenare”
    “Questa è la vita vera”
    “Ne sono al corrente. Wizard, usa scintilla!”
    Blitzle soffiò l’aria con il naso, battendo lo zoccolo per terra. La sua criniera cambiò colore, e partì un fendente fatto d’energia elettrica, in direzione di Zack e Braviary.
    “Dannazione! Braviary, volo!” urlò Zack, gettandosi velocemente per terra, nel tentativo, vincente, di evitare l’attacco di Blitzle. Braviary non fu così fortunato, ma sembrò non aver subito grossi danni.
    “No, Wizard! Non attaccare anche Zack! Lui è nostro amico! Ed anche Braviary... ma lui deve andare al tappeto”
    Zack si rialzò, ed guardò il suo Pokémon, in alto, mentre aspettava il momento migliore per attaccare.
    “Attento, Blitzle! Sta per scendere in picchiata!”
    “Attendi Braviary!” urlava l’altro.
    Rachel ragionò. Quel Pokémon uccello era molto potente. Doveva cercare di evitare l’attacco.
    “Wizard! Doppioteam!”
    “Non può usare quella mossa, se non gli viene insegnata!” urlò Zack, dall’altra parte del campo.
    “Eh?!”
    “Uff... Braviary, attacca!”
    “No, Blitzle! Attento!”
    Ma Braviary lo colpì in pieno. Bastò una mossa, e la zebra andò K.O.
    “No! Wizard!” Rachel corse verso la zebra, che stava per terra. L’attacco di Braviary era di una potenza inaudita. Blitzle sbatteva gli occhi lentamente, e si muoveva con difficoltà.
    “Come sta?” chiese Zack.
    “Male! Perché ha attaccato con tutta questa potenza, il tuo Braviary?!”
    “Lui attacca così, non è colpa sua... avresti dovuto aumentare l’elusione di Blitzle”
    “Ho provato ad usare Doppioteam, infatti!” urlò quella, arrogante.
    Zack portò le mani ai fianchi, poi sospirò. Tornò allo zaino, e portò con se uno strano disco ed una pozione.
    “Cura il tuo Blitzle” le porse il rimedio spray quello.
    “Grazie...” fece Rachel, scura in volto. “Cos’è quello che hai in mano?”
    “È Doppioteam”
    “Cosa?”
    “È una MT. Macchina Tecnica”
    “So cos’è”
    “Insegnala a Blitzle se proprio vuoi”
    “E... e tu? Non ti serve?”
    “No, uso una strategia differente dalla tua”
    “Strategia?” chiese ancora la ragazza, stavolta più confusa di prima.
    “Sì. Tu sei attendista. Io invece cerco di crearmi sempre dei vantaggi... certo, con te non sarebbe servito a nulla, i tuoi Pokémon hanno bisogno di più allenamento per mettere Braviary o Lucario in difficoltà”
    Rachel si inacidì. “Growlithe però stava per cedere. Sono convinta di poterlo battere”
    “La prossima volta, magari. Credo sia meglio fare un po’ di allenamento individuale”
    “Giusto. Aspetta che...” Rachel poggiò la MT sul Pokémon, che fu avvolto da una strana luce. Quello si agitava, irragionevolmente.
    “Ecco fatto. Ora ha imparato Doppioteam” sorrise Zack.
    “Grazie”
    “Di niente”

    Qualche ora dopo i due tornarono nel centro Pokémon di Edesea.
    “Oh, Zack!” lo chiamò l’infermiera.
    “Sì?”
    “È appena arrivata una telefonata da parte di Bill. È in linea”
    “Oh, perfetto!”
    Zack si affrettò al video telefono. Rachel riuscì a tenere il suo passo.
    “Ciao Bill!” sorrise in maniera smagliante il ragazzo.
    “Ciao Zack, contento di vederti sorridente...” fece cupo quello.
    “Hey, che succede?” cambiò all’improvviso umore l’altro.
    “Stamattina è apparso Ho-Oh ad Amarantopoli”
    “Wow. È una buona cosa, no?”
    “Non esattamente. Ha scatenato la sua ira sull’intera città. Sono morte migliaia di persone, ed Amarantopoli non esiste più”
    “Cosa?!”
    “Sì. Ho cercato di contattare qualcuno tra i Dexholder, ma ho ricevuto notizie soltanto da Silver. Cercherà di aiutare”
    “Oh. Ottimo. Salutamelo”
    “Sarà fatto... come promesso Mr. Fuji è qui”
    “Ho urgente bisogno di parlare con lui”
    “Ok. Ciao. E ciao anche a Rachel”
    Rachel diventò paonazza. Bill, quel Bill, si ricordava il suo nome. “Ciao Bill...” riuscì ad uscire dalla sua bocca.
    Poco dopo davanti al videotelefono comparve Mr Fuji. Era uno strano vecchietto, molto magro, larghe sopracciglia, folte, barba incolta, occhi aperti il minimo sindacale nascosti da un paio di lenti molto spesse.
    “Salve. Chi è?” domandò quello. La voce era roca.
    “Buongiorno, Mr. Fuji. Mi chiamo Zack, e questa è la mia amica Rachel”
    “Buongiorno a voi. Cosa posso fare per voi?”
    “Vorremo che ci parlasse meglio della profezia di Arceus”
    “Oh. Siete giovani. Come fate a conoscere queste cose?”
    “Sappiamo molte altre cose. Per esempio sappiamo che quello che è successo ad Hoenn, o anche ad Amarantopoli non sono casi”
    “Arceus sta venendo a riprendersi quello che era suo”
    “Diamine...” si lasciò scappare Rachel. Zack la guardò, poi tornò a riparlare con Mr. Fuji.
    “Parlando con la Professoressa Alma, qui ad Adamanta, siamo riusciti a carpire alcune deboli informazioni, riguardante un cristallo. Ma non sappiamo dove cercarlo”
    “Naturalmente il frutto di questa conversazione che stiamo avendo non è certo. È altamente possibile che quello che sta succedendo sia davvero il frutto di un caso. Come è possibile che il cristallo non sia mai esistito e che Arceus non distruggerà la terra”
    “Quindi?”
    “Beh. Sul monte Trave c’era un tempio, tanto tempo fa”
    “C’è ancora” affermò Rachel.
    “Beh... li ha vissuto Prima, che secondo la leggenda fu l’oracolo di Arceus. Dovreste provare a cercare da lì”
    “E... una volta trovato il cristallo?”
    “Il cristallo potrà essere utilizzato solo da una donna, pura di animo ed illibata”
    “Beh. Credo sarà il problema minore... basta cercare” sorrise Zack.
    “Ed invece è la parte più difficile. Un animo puro è un animo che non è mai stato inquinato dalla malvagità e dalla voglia di peccare contro qualcuno. Ma... mi pare che molto tempo fa, proprio ai tempi di Prima e Timoteo, il grande eroe che ha vissuto nella regione dove vi trovate adesso, vi era un inventore abbastanza originale. Si chiamava Hermann”
    “Uhm...” Zack cercò di ragionare, aspettando la lampadina che si accendesse sulla sua testa. Nulla. Guardò poi Rachel.
    “Non mi dice nulla questo nome” disse la ragazza.
    “Beh... in ogni caso ha sfruttato la potenza e l’energia di alcuni Pokémon, per costruire una particolare lastra di pietra, in grado di capire chi possa essere in grado di sfruttare la potenza del cristallo”
    “Chiederemo ad Alma per questo” ragionò ad alta voce Zack.
    “Bene... l’importante è che facciate in fretta. Sono morte tantissime persone”
    “Ok, ok. Partiremo subito”
    “Bene”
    “La ringrazio, Mr. Fuji”
    “Di nulla. E buona fortuna, ragazzi”

    I raggi del sole non riuscivano a raggiungere il letto in cui Ryan riposava. Assieme a Marianne erano arrivati a Timea solo a notte fonda ed era stato portato in una stanza che la donna gli permise di usare a suo piacimento. Non ricordava molto delle giornate precedenti. I suoi sensi erano ovattati e quando voltava la testa vedeva delle dolorose strisce luminose. Si coprì gli occhi con l’avambraccio, chiudendosi in quelle tenebre così indolori e confortevoli. Cercò di fare mente locale sulla sua situazione.
    La fuga di Rachel.
    Giusto, Rachel.
    Aveva scoperto di essere stata adottata ed era fuggita via, probabilmente un po’ per paura, ma soprattutto per semplice impulso rabbioso.
    Nonostante non sembrasse una persona impulsiva, Rachel lo diventava se messa alle strette e spesso assieme al suo lato impulsivo veniva fuori anche una leggera e innata rabbia.
    Ryan si morse il labro.
    Dopo aver scoperto la fuga della sorella, ci fu il terremoto. Anzi, durante. Era durante il terremoto che si era accorto che Rachel era scappata. C’erano state due scosse di terremoto, decisamente forti, tanto da devastare buona parte della casa.
    E dopo la fine delle scosse aveva cercato la sorella, nel bosco, in città e infine era tornato a casa, sperando che lei fosse tornata.
    Poi erano arrivati Lionell e Marianne. Gli avevano detto che i terremoti erano causati da qualcosa che suo padre aveva previsto, che avevano bisogno del suo aiuto e che in cambio di quell’aiuto avrebbero ritrovato Rachel. Per questo aveva caricato sul loro furgone i risultati delle ricerche che il genitore teneva in casa ed era andato con loro a Timea.
    Ricontrollò mentalmente più volte tutto il percorso fatto e alla fine concluse che, sì, era andata davvero così. Erano stati così i suoi ultimi due giorni.
    Si alzò lentamente, sistemandosi i capelli dorati e notando che le borse sotto i suoi occhi erano sparite. Non aveva orologi con sé, quindi non si sorprese nel chiedersi che ora fosse. Si cambiò alla svelta, mettendo una semplice maglia bianca e un paio di jeans con sopra un felpa grigia, prima di aprire le tende scure che tenevano fuori la luce del sole. Istintivamente si ritrasse quando la luce gli ferì gli occhi. A giudicare dalla posizione del sole dovevano essere almeno le 4 del pomeriggio.
    Si morse un labbro, contrariato per aver dormito così a lungo, e uscì alla svelta dalla stanza. Non fece in tempo a mettere un piede fuori dalla porta che si bloccò. Il lungo corridoio su cui sbucava la sua porta e su cui se ne affacciavano almeno altre 3 era nero lucido, il marmo che ne costituiva la pavimentazione era incredibilmente pulito, dando al ragazzo l’impressione che potesse specchiarvisi senza problemi. Le mura, anch’essere nere, erano però decorate con un motivo classico in una tonalità più opacizzata di nero. Si passò una mano fra i capelli rendendosi conto che non aveva la più pallida idea di dove andare. Sospirò guardando a destra e sinistra e decidendo d’impulso di prendere la sinistra. Iniziò a camminare lasciando che i suoi passi risuonassero secchi per il corridoio. Ogni tanto si fermava a leggere le targhette sulle porte, parlavano di laboratori, archivi e ripostigli. Alla fine si sentì chiamare alle spalle. La ragazza di ieri lo stava rincorrendo con una certa fretta.
    “Dio, eccoti finalmente” lo apostrofò col fiato grosso per la corsa. “Io e Lionell ti stavamo cercando, seguimi.”
    Gli occhi verdi della ragazza lo fissarono e lui si limitò ad annuire.
    Tornarono indietro nel corridoio e passarono una scalinata che il ragazzo non aveva notato in precedenza. Una volta salite piombarono in un corridoio del tutto uguale a quello sottostante.
    “Avete notizie di mia sorella?”
    Quella si limitò a scuotere la testa.
    “Mentre venivamo qui mi hai fatto vedere la sua foto e oggi l’ho mostrata ai vari addetti, dacci un paio di giorni e probabilmente sapremo qualcosa”
    Ryan digrignò i denti in silenzio. Doveva esserle grato per quello che stava facendo, ma la preoccupazione non gli lasciava spazio per altri sentimenti.
    Alla fine del corridoio la donna bussò due volte su una porta, e senza aspettare risposta entrò, facendosi poi da parte per far spazio al ragazzo e chiudendosi la porta alle spalle.
    In piedi, accanto ad una scrivania c’era un’altra ragazza. Capelli biondo cenere, occhi cerulei e una spruzzata di lentiggini le incorniciavano il grazioso naso alla francese, che sovrastava due piccole labbra. Marianne le si avvicinò e Ryan si sorprese a pensare che nonostante tutto quelle due erano perfettamente armonizzate fra loro, come se compensassero ognuna le diversità dell’altra e in modo perfettamente naturale.
    “Ben sveglio, ragazzo. Ti presento Linda la mia seconda assistente” sorrise Lionell, seduto accanto a lei, dietro alla scrivania.
    La ragazza gli accennò un inchino, che il ragazzo ricambiò in modo piuttosto impacciato.
    “Mi auguro che tu abbia dormito bene, Ryan, perché ho bisogno che tu oggi sia in ottima forma” continuò Lionell. Il suo sguardo era cordiale, ma il ragazzo lo osservò dubbioso. Che genere di aiuto volevano da lui?
    “Ho saputo che sei un eccellente allenatore, è vero?” continuò l’uomo osservandolo curioso.
    Il giovane si passò una mano sulla nuca, guardando in basso.
    “Diciamo che passo abbastanza tempo ad allenarmi”
    “Ottimo, ottimo!” esclamò quello, contento “L’allenamento è essenziale. Che ne dici di dare un’occhiata all’addestramento delle nuove reclute, allora? Puoi prenderne parte, se vuoi, così avrai anche un modo per distrarti... penso che tu ne abbia bisogno” per concludere la frase il tono calò, come se si stessero confidando un segreto fra loro.
    Ryan non rispose. Allenarsi non sarebbe stata una pessima idea, soprattutto in un ambiente controllato come quello. Temeva solo di non essere in grado di combattere seriamente.
    Lionell si alzò, avvicinandolo e mettendogli una Poké Ball in mano. Il ragazzo la guardò confuso, ma l’uomo non gli diede il tempo di chiedere.
    “La verità è che mi piacerebbe poter contare anche sulla tua forza. Non ti sto arruolando, sia chiaro, mi piacerebbe solo che finché questa situazione non sia finita tu ci dessi una mano. Hai talento, so riconoscerlo dallo sguardo e so di averne bisogno. Ti chiedo solo di aiutarci nel caso si verificasse qualche episodio di violenza in città, come sciacallaggio e simili, oppure in caso di altre anomalie naturali. Ho notato il tuo Gallade e devo ammettere che è fra i Pokémon più in forma che abbia mai visto, perciò mi sento tranquillo ad affidarti questo ragazzaccio” Lionell picchiò col dito sulla Ball, per dare enfasi alle sue parole.
    “Che ne dici?”
    Ryan ci pensò un attimo, poi accettò. “Va bene, mi sembra doveroso visto quello che state facendo per me.”
    “Ne sono lieto” sorrise quello “Marianne, mettiti a disposizione del ragazzo, fagli fare un giro della struttura e portalo nella sala allenamenti. Oh. Portalo anche alla mensa, anche se non se ne è reso conto sarà sicuramente affamato.”
    Tornò a sedersi mentre Marianne prendeva posto affianco al giovane, impegnato ad osservare il Bisharp nella sfera che gli era stata ceduta.
    “Vieni pure” lo chiamò quella mentre uscivano dalla sala.

    Lionell sospirò greve mentre si sedeva pesantemente alla scrivania.
    “Ti sbagli, ragazzo, ti sbagli” mormorò piano “sei tu che stai facendo molto per noi”
     
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