[UNIVERSO OTAKU-VIDEOLUDICO]Infinite: L'alba del Ragazzo Leggendario

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. SilvioShine
     
    .
    Avatar

    Qual è l'ultima cosa che un morto vede con gli occhi di un vivo? ...La luce...

    Group
    Member
    Posts
    356
    Location
    Mallet Island o Fortuna... chi può saperlo....?

    Status
    Offline
    CAPITOLO 2
    NUOVA SPERANZA

    Feci l'unica cosa che rientrava nelle mie possibilità: dopo aver sepolto mia madre, raccolsi tutto ciò che era sopravvissuto all'esplosione e che poteva tornarmi minimamente utile, per poi buttarlo in uno zaino, mettermelo in spalla e mettermi in viaggio. L'unico mio desiderio era di mettere quanta più distanza possibile tra me e quel luogo, attorno al quale, ormai, aleggiava un'aria di sofferente desolazione e di abbandono. Non ero l'unico a non riuscire a sopportare la vista di quelle mura diroccate, ricordo di morte e sangue.

    ***



    Trascorsi sette lunghi anni lontano dalla mia vecchia casa; sette anni passati a viaggiare, addestrarmi, sopravvivere... a resistere alla solitudine... a tentare di non sprofondare nella disperazione...

    Tuttavia, alla fine, decisi di tornare a Wine Hill. Magari per ricominciare una vita dignitosa e smettere, una volta per tutte, di girovagare inutilmente per il mondo.

    Osservavo la mia cittadina di origine dalla cima di uno degli edifici più alti. Fui lieto di notare che, nonostante fosse trascorso tutto quel tempo dall'ultima volta che l'avevo veduta, poco o nulla era cambiato: la vita di tutti gli abitanti procedeva con calma, come se gli avvenimenti succedutisi anni prima non avessero mai fatto parte del loro passato. Ma non era così, ne ero sicuro.
    Mi ersi in tutta la mia statura, stando facilmente in equilibrio sul cornicione del palazzo. I miei vestiti, piuttosto malmessi, vennero tormentati dal vento, come i miei capelli, i quali avrei dovuto tagliare presto. Guardai in basso: le automobili e le motociclette sfrecciavano veloci sulle strade di Wine Hill, confondendosi in informi macchioline colorate. A trenta metri dal suolo potevo facilmente scorgere ogni luogo, o quasi; a quell'altezza, quand'ero più giovane, mi sarei sicuramente spaventato, piangendo e urlando di voler scendere da lì. Ora, invece, dopo un addestramento massacrante, quella distanza non mi faceva né caldo né freddo: era come stare sulla terraferma.
    Guardai il tetto di fronte a me e rimasi abbagliato dalla luce del crepuscolo; mi schermai gli occhi e, nel vedere il panorama che mi si presentava davanti, rimasi a bocca aperta: Wine Hill era un luogo che si affacciava sul mare al lato ovest, mentre era fiancheggiato dalle montagne al lato est e, in quell'istante, il sole si specchiava nell'oceano, creando un gioco di luce arancione che avrebbe fatto impallidire qualsiasi artista vivente.
    Era la prima volta che squadravo la città da un punto simile e mi pentii di non averlo mai potuto fare prima.
    Mi è mancato questo posto... dissi tra me e me, felice di essere finalmente tornato al mio luogo di origine; presi una grossa boccata d'aria fresca, godendomi la brezza generatasi in quell'istante. Tornai a guardare il tetto dinanzi a me e sorrisi: era ora di tornare a casa.
    Piegai le ginocchia, caricandone i muscoli; dunque spiccai un agile salto che mi proiettò fino all'altro palazzo. Una volta atterrato, presi a correre a tutta velocità, per poi saltare nuovamente; tuttavia, calcolai male le distanze e non riuscii a raggiungere la mia meta: rischiavo di andare a sbattere contro il muro. Sbuffai e porsi i piedi dinanzi a me; l'impatto avvenne. In fretta, presi a concentrarmi con tutte le mie forze.
    Era da un pò che non facevo quella pratica, quindi dovetti sforzarmi più di quanto avessi voluto; nonostante ciò, riuscii nel mio intento: i miei piedi rimasero perfettamente fissati al muro, come se la gravità fosse improvvisamente rivoltatasi.
    Dovrei esercitarmi di più... pensai, vedendo il piede sinistro staccarsi improvvisamente dal vincolo, facendomi prendere un colpo. Allora, prima di finire a terra, presi a correre verso l'alto. Sentivo che presto non sarei più riuscito a scalare la parete, quindi mi obbligai a correre più velocemente possibile, ignorando le urla di dolore dei miei muscoli. Raggiunta la cima, non mi arrampicai sul tetto, ma eseguii un altro salto, oltrepassando l'intero palazzo, per poi cominciare a planare con l'ausilio di un'altra delle mie nuove abilità.
    Stetti così per dieci minuti abbondanti, scrutando la città dall'alto, svolazzando tranquillamente tra gli edifici. Quando, però, cominciò a fare buio, presi a scendere di quota, cercando al contempo il quartiere dove si trovava casa mia. Non ci misi molto, ma la zona era cambiata drasticamente: molte abitazioni erano state abbattute per fare spazio ad altri edifici, come un dojo o un supermercato. Ma fu un'altra cosa ad impressionarmi di più: in fondo allo spiazzo, poco oltre la strada, vi erano le rovine carbonizzate di quella che era il tetto che io e mia madre dividevamo.
    Atterrai proprio davanti l'edificio, spalancando gli occhi nel notare che le sue mura erano state vandalizzate con scritte fatte con lo spray. E non erano le opere di semplici writer. Su ogni singolo spazio disponibile, erano stati scritti insulti gravissimi indirizzati a me e alla mia famiglia.
    Tentai di non darci peso e cominciai ad analizzare le condizioni complessive della struttura; ma non era finita lì... Notando un muro ancora in piedi, mi avvicinai per vederlo meglio... Ma quando lo feci, desiderai non averlo mai fatto: dipinto con parsimonia, sulla murata sud di quella che in origine era casa mia, vi era un decenne Silvio Shine, ricoperto di sangue e con un ghigno malevolo stampato in volto. Reggeva un cartello con su scritto "ASSASSINO" a caratteri cubitali. Persi le staffe e colpii il muro con un pugno, facendolo crollare senza sforzo. Mi considerano responsabile...
    Mi calmai e cominciai a rimuginare su cosa avrei potuto fare per migliorare la mia situazione...

    ***



    Dopo due mesi di lavoro pressocchè ininterrotto, terminai il lavoro di restauro. Avevo dovuto rubare parecchi materiali, ma la casa era venuta su che una meraviglia.
    Tuttavia, viverci da solo era piuttosto opprimente.
    Magari, se tornassi a scuola e terminassi gli studi potrei migliorare la mia situazione...

    Il giorno dopo, feci il giro dell'intera città alla ricerca di un liceo che potesse accettarmi, ma, fino ad allora, ricevetti solo ed esclusivamente rifiuti, poichè per i presidi "insegnare ad un ragazzino dalla forza sovrumana" era assolutamente inaccettabile. Dopo avermi urlato questa frase in faccia almeno sei volte, mi mandavano sempre via con qualche altro insulto per addolcirmi la pillola. Così mi ritrovai a girare sconsolato per le strade di Wine Hill, perdendo a mano a mano la speranza; prendendo la strada di casa, tuttavia, notai un istituto alla mia destra. Ci pensai un attimo, ma alla fine mi decisi di provare per un'ultima volta.
    <<buongiorno!>> salutai entrando nella segreteria, <<buongiorno a te, ragazzo>> rispose allegramente una professoressa che lavorava dietro una scrivania poco oltre la porta d'ingresso, <<sei stato mandato quì dal tuo insegnante? Ti sei cacciato nei guai?>> chiese poi; mi ci hanno buttato qualche anno fa, nei guai, pensai, già decidendo che la sua eccessiva spensieratezza, e sicuramente una conseguente inettitudine, mi davano sui nervi.
    <<attualmente>> ripresi assumendo un atteggiamento educato, <<sono quì per iscrivermi a questo istituto>>; la professoressa rimase visibilmente sorpresa. Si riscosse e tirò prontamente fuori un modulo da compilare, <<molto bene!>> disse, <<devi solo riempirmi queste scartoffie e sarai subito uno dei nostri>>. Mi si drizzarono i capelli sulla nuca: la sua voce era di un fastidioso indicibile. Mi costrinsi a sorridere; dunque mi avvicinai, presi il modulo e cominciai a compilarlo con una penna rimediata da un portamatite li vicino.
    Terminato il lavoro di scrittura, consegnai il documento; la professoressa lo lesse con grande attenzione e inserì tutti i dati riportativi in un computer. Attesi pazientemente, osservando il cielo sereno da fuori la finestra, fantasticando e ricordando le avventure che avevo avuto durante quei quattro anni d'assenza...
    <<ecco fatto!>> esclamò la prof. facendomi trasalire; << Silvio Shine, sii il benvenuto nel nostro istituto! La tua classe è la quarta della sezione "D">>
    Ringraziai e mi affrettai ad abbandonare quella stanza.
    Dopo qualche decina di minuti passata a cercare la mia aula, finalmente potei entrare e prendere parte alla lezione. <<ragazzi>> annunciò l'insegnante, <<da oggi avrete un nuovo compagno di classe. Presentati, prego!>>; mi ritrovai a stare in piedi dinanzi a venticinque ragazzi, più o meno della mia stessa età. Mi sentii arrossire, poichè quella situazione si era presentata ben poche volte durante la mia vita. Presi un profondo respiro e mi misi sull'attenti; <<il mio nome è Silvio Shine>> dissi, cercando di dimostrarmi di personalità forte, <<ho diciassette anni e spero di farmi nuovi amici, tra di voi>>, ci fu un istante di puro silenzio, durante il quale nemmeno il ronzio di una mosca si sarebbe potuto sentire chiaramente; poi, dal fondo dell'aula, si levò una voce: <<hai detto Shine?>>, <<sì>> risposi con tono più amichevole possibile, e quello prese a ridere a crepapelle, <<ma allora>> riprese trattenendo a malapena un altro attacco di ilarità, <<sei uno di quegli sfigati che sono stati tutti uccisi quattro anni fa>> alle sue risa si unirono quelle degli altri alunni; <<come vedi sono ancora vivo e vegeto>> gli feci notare.
    Il giovane smise un attimo di ridere e ribattè: <<oh, questo lo so! Infatti lo sappiamo tutti che sei stato tu a sterminare tutti i tuoi cari!>> e riprese ad insultarmi con accuse ancor più colorite. Abbassai il capo. Non era la prima volta che venivo accusato apertamente di quel fatto, ma non così. Nessuno si era mai divertito tanto alla faccia mia, per quella pesantissima perdita... Fu allora che mi resi conto di una cosa: gli insulti non si sarebbero fermati lì, anzi, sarebbero continuati e sfociati in azioni di gran lunga peggiori... Ero maledetto... Ero il "Carnefice di Wine Hill"....

    ***



    Tre mesi. A malapena, ero riuscito a sopportare tre mesi di inferno, in quella classe maledetta. Gli insegnanti, invece, sembravano accettarmi, all'inizio, ma dopo un pò cominciarono anche loro ad infierire... a godere della mia sofferenza... e io non potevo fare altro se non nutrire il mio odio più profondo verso ogni singola forma di vita presente all'interno di quell'edificio. Il senso di solitudine mi corrodeva dall'interno e più di una volta pensai al suicidio... ma la coscienza me ne risentiva...

    Fu un importante avvenimento a salvarmi.
    Quel giorno uscii da scuola molto tardi, a causa di un rientro pomeridiano. Appena oltrepassato l'uscio, alzai lo sguardo al cielo per non inveire contro un gruppo di idioti che si era raccolto lì per darmi contro. Ignorando le loro risate di scherno, mi avviai verso casa, dove avrei studiato, cucinato e preparatomi per il giorno successivo. Nuova alba, altre cinque ore di sopportazione mentale.
    Arrivato nello spiazzo di casa mia, mi fermai un attimo. Era scesa la notte. I grilli avevano da poco incominciato il loro ritmico concerto serale; poggiai le spalle ad un muro e misi le mani in tasca, volgendo lo sguardo al cielo: le stelle ricambiavano indifferenti il mio sguardo. L'aria fredda della notte mi fece rabbrividire; ogni volta che lo vedevo, non potevo fare a meno di notare quanto egregiamente si era ripreso quel quartiere. Tuttavia, tutti i suoi abitanti mi temevano, come se avrei dovuto ucciderli da un momento all'altro, anche perchè mi consideravano anche loro, ormai, come il Carnefice, il responsabile della scomparsa di tutti gli Shine. Forse era meglio così, mi dicevo per consolarmi, in quel modo non avrei avuto nessuno tra i piedi.
    Sospirai e alla fine mi decisi a levare le spalle dal muro e ad incamminarmi verso la porta d'ingresso. Tirai fuori le chiavi dalla tasca, facendole tintinnare come delle minuscole campanelle argentate; inserii quella giusta nella toppa della porta ma, proprio quando stavo girando la maniglia, mi fermai di botto: grazie al mio addestramento ero capace di percepire la presenza, o più comunemente l'aura, di una persona, riuscendone a distinguere sesso, età ed emozioni; in quel momento, percepivo l'aura di una giovane donna all'interno dell'abitazione. Scossi il capo. Sarà la stanchezza... mi dissi e feci per aprire completamente la porta d'ingresso. Accadde tutto in pochi istanti: la porta si aprì all'improvviso, tirandomi via; persi l'equilibrio e qualcosa mi colpì violentemente alla bocca. L'impatto mi fece balzare all'indietro. Temendo un secondo colpo, eseguii tre salti mortali all'indietro, per poi fermarmi a distanza di sicurezza. Poggiai il ginocchio destro a terra, mentre tenevo la mano sinistra poggiata su quello ad essa corrisposto. Guardai chi mi aveva colpito: avevo ragione a pensare che quella dentro casa fosse una ragazza; sembrava avere ventiquattro anni. Aveva lunghissimi capelli biondi e un viso dolcemente arrotondato in corrispondenza del mento. I suoi intensi occhi erano di un azzurro penetrante... proprio come quelli di... no, era impossibile.
    Mi asciugai la bocca con il dorso della mano destra e sputai un grumo di sangue rappreso in terra. Mi rialzai lentamente e abbozzai una posizione di guardia; <<chi sei?>> chiesi con la voce vibrante di rabbia. La giovane donna rise, più per scherno che per divertimento; <<chi sono io?>> fece poi, <<chi sei tu?! Cosa avevi intenzione di fare, entrando in casa mia, eh?>>, mi accigliai ancor di più. Mancava poco prima che perdessi la pazienza.
    Presi fiato per ribattere, ma non riuscii a proferire parola: la ragazza mi puntò contro una sfera bianca e rossa, con una specie di pulsante al centro. <<garchomp, allontanalo!>> sbottò lei e la sfera si aprì, liberando, in un accecante lampo di luce bianca, un drago bipede dalle squame dorsali di colore blu notte, mentre quelle sul ventre erano rosse. Era alto il doppio di me ed era molto minaccioso. questo è davvero un pokémon? La mia reazione fu di assumere immediatamente una posizione di guardia vera e propria. Il pokémon ghignò e tentò di fendermi con il suo artiglio della zampa superiore destra. Rapidamente, mi piegai in avanti e balzai a sinistra, passando sotto il braccio dell'avversario; approfittando dello slancio, sferrai un potente colpo all'addome del drago con il gomito destro, facendolo indietreggiare. Questi riprovò a colpirmi con l'artiglio sinistro: lo evitai come feci con il destro, subito dopo scattai verso di lui, poggiai il piede destro sull'articolazione della sua zampa sinistra e presi lo slancio per un salto. Da lì, precipitai, sferrando un poderoso pugno al muso del Garchomp, mandandolo subito al tappeto.
    << E resta giù!>> sibilai per poi voltarmi verso la ragazza; cominciai subito a caricare lo slancio iniziale. << Aspetta!>> sbottò quella e, a sentire la sua voce terrorizzata, mi bloccai, ricordando a chi somigliava: mia madre. Ero scettico; era impossibile, non poteva essere...
    Mi calmai e mi rimisi in piedi. << Hai detto che questa è casa tua>> dissi poi, <<lo è davvero?>>, lei, dopo aver fatto ritornare magicamente il drago nella sua sfera, annuì. <<e' casa di mia madre>> rispose, abbassai lo sguardo per un istante: allora lo è davvero...
    << E come si chiama?>> la giovane sorrise, <<spero che la tua sia solo curiosità>> disse, <<il suo nome è Catherine Shine>>, abbozzai un sorriso nel sentirla pronunciare il nome di mia madre; <<e ora sto aspettando che mio fratello torni da scuola. E' strano che ci stia mettendo tanto>>
    <<e lui? Come si chiama?>> chiesi di nuovo, <<silvio Shine>>; sospirai, <<e tu, invece?>>, <<quante domande!>> si lamentò, però poi rispose: <<il mio nome è Camilla Shine. Piacere di conoscerti... Ora toccherebbe a te presentarti>>, sorrisi, <<non credo ce ne sia bisogno>> dissi, <<quella dietro di te è casa mia>> la guardai negli occhi, << Catherine Shine era mia madre>>, allargai le braccia, per mostrare a Camilla cosa ero, <<e il mio nome è Silvio Shine... sono tuo fratello...>>
    Mi sentii venire trascinato in un soffice e caldo abbraccio; non seppi come reagire, dal momento che quello era un rituale al quale non ero più abituato. Quando Camilla mi lasciò andare, mi prese il viso tra le mani e mi disse: <<hai detto che Catherine "era" tua madre... vuoi dire che...>> annuii con le lacrime agli occhi; ella sospirò, dando un accenno di pianto, e mi prese sotto braccio, <<andiamo dentro, ci sono tante cose che mi devi raccontare>>

    Quegli ultimi mesi erano stati un inferno, ma non me ne importava più nulla: avevo una nuova ragione di vita.

    poteva venire meglio, spero mi perdoniate ^^"


    Edited by SilvioShine - 26/7/2015, 14:49
     
    .
29 replies since 11/5/2014, 18:17   838 views
  Share  
.