[UNIVERSO OTAKU-VIDEOLUDICO]Infinite: L'alba del Ragazzo Leggendario

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    Qual è l'ultima cosa che un morto vede con gli occhi di un vivo? ...La luce...

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    Mallet Island o Fortuna... chi può saperlo....?

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    CAPITOLO 6
    RIUNITI

    Mi misi a sedere sul letto, facendomi cadere di dosso la sottile coperta, e mi stiracchiai. Qualche vertebra scricchiolò e la loro eco risuonò soffice nella minuscola stanza. Fortunatamente, il Centro Pokémon di Duefoglie aveva alcune camere per permettere agli Allenatori in viaggio di riposare al sicuro.
    Misi i piedi oltre il bordo del giaciglio. Stetti così per qualche minuto, con gli occhi chiusi, sbadigliando e gemendo dal sonno; poi mi decisi a mettermi in piedi e trascinarmi nel piccolo bagno. Accesi la luce e guardai nello specchio: il riflesso era raccapricciante. Vi vidi un ragazzo dai capelli talmente arruffati da sembrare ricci; aveva gli occhi socchiusi e annebbiati. Le sopracciglia erano in una posizione innaturale, dando all'immagine un'espressione di stordita idiozia.
    Sbadigliai e mi stropicciai gli occhi, che altro non facevano se non succhiudersi nuovamente, nel tentativo di farmi assopire. Aprii il rubinetto del lavabo. Raccolsi un pò d'acqua gelida tra le mani messe a coppa e mi schiaffai il liquido sul viso; rabbrividii per l'improvviso cambio di temperatura. Mi asciugai e tornai a guardare lo specchio; le mani sui bordi del lavandino di ceramica.
    Tentai di pettinarmi i capelli, ma non riuscii a modellarli in alcun modo. Mentre mi accigliavo, sentii salirmi alle narici un orribile lezzo di sudore; la decisione fu ovvia e tempestiva: doccia. Quando poi uscii dal box, un enorme sbuffo di vapore si sprigionò all'interno della stanzetta. Sventolai le mani per allontanere la nebbiolina e presi ad asciugarmi.
    Lavato e vestito, mi misi lo zaino in spalla. Sistemai meglio il fodero con la spada, in modo che l'impugnatura dell'arma mi spuntasse tra il collo e la spalla destra e, assicuratomi che lì sarebbe rimasta immobile, diedi uno sguardo alla stanza: i due letti a castello erano illuminati dal sole, filtrato dalla piccola finestra della parete di fond. Riolu, invece, indistubato, continuava a dormire nel giaciglio che avevamo condiviso quella notte. Mi avvicinai al pokémon e lo scossi violentemente, gridando: <<sveglia!>>; il piccolo trasalì. Mi guardò, accigliato, per poi stiracchiarsi e sbadigliare.
    Non potei fare a meno di sorridere nel vedere Riolu dimenarsi per evitare di doversi alzare; <<forza!>> gli dissi e lo tirai giù dal letto. Il pokémon barcollò, stordito. <<si riparte!>>


    Scendemmo nella sala principale: il luogo era deserto, salvo qualche sporadico Allenatore appena alzatosi come me, e, ovviamente, l’infermiera che in quel momento stava risolvendo delle parole crociate seduta al bancone. Il silenzio poteva liberamente essere considerato innaturale; sospirai mentre mi sedevo su una delle panche lì presenti. Poco dopo, un ragazzo dai capelli biondi si sedette alla mia destra e prese ad allacciarsi meglio una scarpa.
    Accesi il Pokékron e ne avviai l’applicazione “Mappa Città”; facendomi scorrere la mappa davanti agli occhi speravo di riuscire a trovare una possibile destinazione: all’inizio, mi venne l’idea di raggiungere Memoride, la città natale di Camilla, ma dovetti riconsiderarla dal momento che era considerevolmente distante da Duefoglie e non sembrava avere alcunchè di interessante da vedere; inoltre, avrei dovuto cominciare la sfida alle Palestre di Sinnoh: mancavano solo cinque mesi al torneo di Lega.
    Sbuffai di esasperazione.
    <<appena partito, eh?>> mi fece il giovane accanto; spensi il pokékron, per poi abbandonare il braccio al quale l’avevo allacciato lungo il fianco. <<sì…>> risposi mentre chiudevo gli occhi per riordinare le idee, <<non credevo fosse così complicato scegliere dove dirigersi…>>; <<non preoccuparti!>> mi rassicurò lui, <<all’inizio è sempre piuttosto problematico decidere qualsiasi cosa, ma dopo un po’ avrai acquisito più sicurezza, allora sarà parecchio più semplice!>> si battè il pugno sul petto, gonfiandosi d’orgoglio, <<sono già alcune settimane che ho cominciato il mio viaggio, perciò ti parlo per esperienza diretta!>>; mi protese la manoo affinchè gliela stringessi, <<in ogni caso>> disse, <<io sono Dimitri Rudra!>>. Lo osservai un attimo: oltre ad essere dannatamente rapido con le parole, il suo aspetto sembrava quello di un praicante di atletica leggera; indossava occhiali dalla montatura nera e una felpa di un azzurro elettrico. Sul suo viso, in quel momento, era stamato un sorriso, nel tentativo di accattivarmisi.
    Per quanto riguardava il suo carattere, era decisamente troppo sicuro delle sue capacità, forse anche troppo; sperai con tutto il cuore che non fosse uno spaccone.
    Gli strinsi la mano e mi presentai: <<silvio Shine da Duefoglie>>; un curioso scintillio negli occhi di Dimitri mi distrasse per un istante, ma non feci in tempo a chiedermi il motivo per il quale mi guardasse con tanta attenzione, che subito distolse lo sguardo per poi rivolgerlo sulla mappa che aveva appena dispiegato sulle proprie ginocchia. Indicò un punto a nord-est da Duefoglie, <<potresti andare a Mineropoli>> disse, <<è una grande città rinomata per le sue miniere ricchissime di minerali ricercati, soprattutto carbone. Ma, oltre a questo, c’è una Palestra>> il mio interesse crebbe a dismisura e Dimitri, nel notarlo, sorrise e riprese a spiegare: <<il Capopalestra si chiama Pedro e la sua specializzazione si dedica ai pokémon di Tipo Roccia… Attento, però!>> e alzò un dito in ammonimento, <<i suoi pokémon sono maledettamente potenti in attacco e resistentissimi in difesa. Dovrai andare sul sicuro e colpirli con attacchi super efficaci!>>
    Dunque avrei bisogno di pokémon che riescano a tenere testa ai Roccia in quanto Tipo,pensai.
    Guardai Riolu che, in quel momento, stava eseguendo degli esercizi per riscaldarsi; quindi è necessario che siano di Tipo Lotta, Acqua, Erba, Acciaio…
    Controllai lo stato degli altri pokémon attraverso il Pokékron. Riolu… Turtwig… e Piplu… Dovrebbero cavarsela, ma avremmo bisogno di allenarci parecchio…
    <<hai trovato una strategia?>> mi chiese Dimitri, annuii, <<credo di avere un’idea>>; mi alzai stiracchiandomi, <<bene, ti rin…>> stavo dicendo ma l’altro mi interruppe: <<almeno sai come arrivare a Mineropoli?>>, mi bloccai. Non ne avevo idea; scossi il capo. Dimitri cominciò a spiegare: <<prima di tutto, devi raggiungere Sabbiafine, a un giorno di cammino a est di qui. Da lì, dovrai incamminarti verso nord ed arrivare all’enorme Giubilopoli, dunque proseguire verso est, attraversare la Miniera Braccioferro, dove ti consiglio vivamente di allenarti, e, finalmente, arrivare alla tua meta>>. Buttai giù a memoria tutto quell’ammasso di informazioni e salutai il giovane.


    Prima di mettermi in cammino verso Sabbiafine, però, ero parecchio curioso di esplorare la mia vera città natale. Passeggiai per ore nelle sue vie, assaporandone la vitalità e l’allegria, osservando i suoi abitanti affrettarsi al lavoro oppure, come me, godersi la giornata assieme ai propri pokémon oppure qualche amico. Visitai addirittura la periferia di Duefoglie: una gigantesca zona rurale confinante con una forasta di pini a sud e a ovest, mentre a est era bagnata da un ampio lago azzurro. Le abitazioni, tuttavia, non erano affatto in tema con il paesaggio circostante, anzi, erano parecchio più moderne di quanto avrebbero dovuto: enormi, squadrate case in cemento con avanzatissimi sistemi di pannelli solari e pale eoliche, in tutto rispetto per la natura. Vi erano perfino pub o supermercati, in modo tale che gli abitanti di quella zona non fossero costretti a risalire fino in città per divertirsi o fare scorte di cibo; ma quello che mi sorprese di più fu l’enorme stadio lotta costruito in mezzo ad un’ampia piazza piastrellata.
    Stavano facendosi le tre del pomeriggio e io e gli altri pokémon stavamo mangiando qualcosa, seduti all’ombra di una grossa quercia. Mentre stavo addentando il mio terzo sandwich, notai due persone – un ragazzo grassottello e una ragazza piuttosto alta – che camminavano ungo una stradina di terra battuta alla mia destra; stavano discutendo animatamente: <<non vedo l’ora di ricevere il mio primo pokémon!>> stava dicendo lui, lei, invece, rise, <<allora sbrighiamoci a raggiungere il laboratorio del professor Rowan! E non dimentichiamoci di prendere il Pokédex>>, il giovane si battè il palmo sulla fronte, producendo un rumore secco che riecheggiò con un vibrante riverbero. <<hai assolutamente ragione!>> esclamò, <<altrimenti non potrò partecipare alla Lega di Sinnoh!>>; <<cosa…?!>> feci e li osservai allontanarsi. Quindi se non ho quell’aggeggio non potrò sfidare mia sorella?! Pensai mentre gettavo nello zaino tutto quanto e facevo rientrare nelle loro pokéball tutti i pokémon tranne Riolu.
    Allora andiamo a trovare questo Rowan…


    <<professor Anthony Rowan>> lessi sullo schermo del pokékron, <<quattro dottorati, di cui due sulla ricerca pokémon. Costantemente serio e uno tra i più severi, il prof. Tony Rowan è uno dei professori ai quali è assegnato il compito di affidare agli Allenatori principianti il loro primo pokémon…>>; e questo l’avevo capito da solo…
    Spensi il computer da polso e tornai a guardare il portone d’accesso del laboratorio all’interno del quale avrei incontrato questo fantomatico professore: una costruzione che avrebbe fatto invidia all’intera città, ed era attrezzata con tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un edificio simile, ovvero camini in alluminio, pannelli solari, parabole e, curiosamente, serre.
    I due ragazzi che avevo visto prima se n’erano già andati.
    Salii sulla dozzina di gradini in marmo che precedevano l’entrata ed aprii la porta. Venni subito investito dalla fresca aria condizionata; il luogo era fremito di lavoro: chi correva di qua e di là, chi analizzava dei campioni al microscopio su un banco da chimica o altri ancora che accompagnavano dei piccoli pokémon a passeggio. Mi chiesi chi potesse essere Rowan.
    <<scusami…>> mi chiamò qualcuno alla mia destra. Era una sorridente scienziata; <<sei qui per vedere il professore?>> mi chiese, annuii, <<esatto, ma solo per prendere un Pokédex>>; dunque, lei mi fece cenno di seguirla.
    Mi guidò attraverso quattro sale sperimantali e due lunghissimi corridoi colmi di librerie. Dopo cinque interminabili minuti, arrivammo dinanzi una porta in legno; dietro di essa si sentivano, poco chiare, le voi di due persone impegnate in una discussione e si percepivano le aure di un vecchio uomo e una giovane ragazza. La scianziata bussò tre volte e si levò una profonda voce maschile; <<sì?>> chiese. <<professore, un altro Allenatore desidera incontrarla, Rowan mugugnò qualcosa di simile a “un altro?!”, per poi sospirare.
    <<fallo ccomodare>> disse dopo una pausa. Aprii la porta ed entrai.
    L’ufficio del professore aveva uno stile alquanto anticuato, tuttavia decisamente adatto a colui che stava in piedi dietro ad una scrivania in fondo alla stanza. L’aspetto di Rowan non mi sorprese: capelli e barba bianchi, rughe sulla fronte e attorno agli occhi. Indossava un tipico camice bianco da laboratorio.
    Il suo sguardo severo non mi abbandonò per un istante dacchè ebbi varcato la soglia. Se pensi di farmi paura, pensai mentre mi avvicinavo, ti sbagli di grosso, amico mio.
    <<silvio Shine>> disse, <<finalmente partito per la propria avventura>>; ridacchiò e la sua espressione si addolcì. <<qual buon vento ti porta qui?>> arrivato in fondo notai una coppia di doppieporte sulla parete di destra; da dietro di essa si potevan percepire non poche minuscole aure. <<vado subito al dunque>> dissi, <<ho bisogno di un Pokédex>> Rowan inarcò un sopracciglio, <<e perché?>> quasi mi esasperai; <<ne ho bisogno per partecipare alla Lega di Sinnoh, ovviamente>>. L’altro sospirò. <<non ne hai bisogno>> rispose, ma prima che potessi ribattere, riprese: <<camilla mi ha detto che possiedi un Pokékron serie quattromila, dico bene?>> annuii cercando di afferrare il punto, <<quel marchingegno può svolgere anche la funzione di Pokédex>> aprii bocca per rispondere, ma subito accesi il minuscolo computer e ne controllai le applicazioni: aveva ragione, ve n’era una chiamata Pokédex.
    Sbuffai. Avevo fatto un viaggio a vuoto.
    <<non mi piace quando la gente mi fa perdere tempo, Silvio>> disse Rowan, <<perciò, ora che hai chiarito i tuoi dubbi, ti prego di lasciarmi alle mie faccende>> e, presomi sotto braccio, mi accompagnò alla porta. Nuovamente percepii l’aura di quella ragazza, ma non feci in tempo ad analizzarla bene che il professore mi spinse fuori dal suo ufficio. Mi accigliai, quindi lasciai il laboratorio.
    Sono le sette di sera… pensai mentre controllavo l’orario con il Pokékron; ormai è tardi per rimettersi in viaggio… torniamo a Centro Pokémon…
    Ma prima, mi diressi verso la foresta di pini.
    Amavo le foreste, fin da quando ero bambino. Mi infondevano una tale tranquillìtà con quel silenzio divino che finivo per passarci giornate intere, soprattutto quando svolgevo i miei ultimi due anni di addestramento. Mi lasciai andare ai ricordi di quelle settimane, ridendo, imprecando, rimpiangendo…
    E così la giornata cominciò a volgere a proprio termine. Il sole stava tramontando: la sua luce dipinse tutto di un abbagliante arancione tendente al dorato. Poco oltre da dove mi trovavo, si poteva notare una vasta radura con un laghetto in mezzo; decisi che mi ci sarei dissetato.
    Mi chinai sull’acqua trasparente e feci per reccoglierne un po’ nella mano destra, quando percepii uno scatto repentino alla mia sinistra e un improvviso spostamento d’aria. Abbandonai immediatamente quel che stavo facendo e scartai violentemente verso destra. Mi fermai e osservai chi aveva fallito a colpirmi: era un uomo vestito con una grigia tuta militare; sul suo petto era stampata una piccola “G” dorata. Poco dopo, accorsero altri quattro uomini vestiti allo stesso modo e sfoderarono dei manganelli, quello al centro, invece, mi puntò contro un fucile d’assalto, per poi chiedere: <<sei Silvio Shine?>>; con evidente esasperazione gesticolai e risposi: <<questi… non credo siano affari tuoi!>>, indicai l’uomo, <<e poi, chi credi di essere a rovinarmi una così piacevole giornata?>>
    L’altro fece per rispondere, ma dal folto degli alberi si levò un grido: <<ehi, Darrick! Guarda un po’ che ho trovato!>>; comparve un altro soldato. Trascinava quella che sembrava essere una ragazzina, questa non si muoveva e non teneva gli occhi aperti, tuttavia la sua aura ardeva ancora: era svenuta. Notai subito un particolare: coperti da uno stiloso berretto, la giovane portava capelli corvini modellati in una pettinatura che conoscevo bene…
    <<che razza di soldati vanno in giro a rapire ragazzine?>> chiesi, <<”questo non credo sia affar tuo!”>> mi canzonò Darrick. Mi sforzai per non ridere. <<ora>> disse poi, <<stai fermo dove sei, altrimenti questa sgualdrinella si ritrova con un bel buco in testa… e non vorrei che quel suo berretto si sporcasse di sangue, dico bene?>>, <<oh, sì!>> esclamò quello che teneva la prigioniera e puntò una semiautomatica alla tempia di quest’ultima. Tutti e sei scoppiarono a ridere. Darrick, poi, ordinò ad uno degli altri: <<perquisiscilo>>; sì, perquisiscimi… lo sfidai dopo aver elaborato una buona strategia per tirarci fuori entrambi sani e salvi.
    Quello che mi si era avvicinato ridacchiò e mi punzecchiò con il manganello; <<vedi di rimanere fermo…>>, oh, ci puoi scommettere!
    In un istante afferrai l’arma bianca e torsi il braccio dell’uomo fino ad immobilizzarlo di spalle dinanzi a me, per utilizzarlo come scudo. Afferrai la pistola che portava alla coscia e sparai un colpo alla testa a quello che teneva la ragazza prigioniera: centrai il bersaglio; dunque puntai l’arma alla tempia di quello che avevo immobilizzato e premetti nuovamente il grilletto. Gettai a terra il cadavere e la pistola, per poi affrettarmi ad affrontare gli altri tre che si erano messi a correre nella mia direzione.
    Il primo ad attaccare fu quello al centro, con un fendente del manganello direzionato alla mia testa. Mi piegai in avanti per evitare il colpo, quindi sferrai un gancio sinistro dritto allo zigomo dell’attaccante; afferrai il braccio armato di quello a sinistra e gli sferrai rapidamente un rapido destro dritto al naso, quindi una testata allo stesso punto, per finire con una ginocchiata allo stomaco che lo costrinse a piegarsi in due.
    Sguainai la spada. Con un fendente basso decapitai lo sventurato. Evitai la mazzata di quello a destra con un balzo che mi proiettò dietro di lui; lì eseguii una stoccata che gli attraversò il petto senza difficoltà. L’uomo si accasciò ed esalò il suo ultimo respiro.
    Il primo dei tre, nel frattempo, si era alzato, la bocca impastata di sangue, e prese a sferrarmi una ridicola serie di colpi con il manganello che deviai con la lama della spada; infine, eseguii una falciata che lo mandò a gambe all’aria, per poi affondare la mia arma nel suo occhio destro scaraventandolo a terra.
    In un unico rapido movimento, alzai il manganello dell’ultima vittima con il piede fino a ritrovarmelo dinanzi agli occhi; da lì, usando la spada come una mazza da baseball, colpii il mazzuolo, scagliandolo come una lancia: il proiettile colpì in pieno la mano di Darrick che si stava preparando a sparare alla ragazza, impalandola ad un albero e lasciando appeso il suo proprietario.
    Con uno sdegnoso fendente ripulii la spada del sangue rimastovi appiccicato. Rinfoderai l’arma e mi avvicinai all’uomo appeso, il quale stava frignando dal dolore e mi chiedeva pietà. A tre metri dal nemico, raccolsi lentamente una pistola da terra; ne tirai l’otturatore per verificare che vi fosse un colpo in canna: c’era. <<ti prego!>> pianucolò Darrick, <<abbi pietà! Non lo farò mai più! Da oggi mi dimetto dal servizio!>>, lasciai l’otturatore di colpo, causando uno schiocco metallico; bastò a zittire il maledetto.
    <<fa’ in fretta a redimerti…>> sibilai e gli puntai l’arma alla testa, <<perché mi hai fatto arrabbiare!>>; esplosi il colpo e dell’uomo non rimase altro se non il peso morto, appeso a quell’albero, come un patetico sacco di patate.
    Con sole tre mosse, smontai l’arma da fuoco e ne gettai i pezzi nell’acqua.
    Corsi dalla ragazza e verificai le sue condizioni: aveva una brutta ferita alla testa, sicuramente causata da uno degli uomini di Darrick. Presi la giovane in braccio e presi a correre a tutta velocità verso l’ospedale.
    <<non morire…>> le sussurrai;
    <<non osare…>>;
    Raccolsi pesantemente il fiato: <<non OSARE MORIRMI TRA LE BRACCIA! MI HAI SENTITO, LUCINDA?!>>
     
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    CAPITOLO 7
    UNA LOTTA TRA AMICI!


    << Silvio?>> mi svegliai di soprassalto. Mi trovavo all'ospedale di Duefoglie ed era notte inoltrata. Vi ci avevo portato Lucinda: i dottori l'avevano prontamente ricoverata in una delle loro sale libere, tuttavia, nessuno l'aveva ancora visitata. << Sì?>> feci, ancora assonnato; mi stiracchiai il braccio al quale avevo poggiato la testa per stare comodo, facendone scricchiolare le ossa. Osservai la sala d'attesa nella quale mi trovavo: deserta. Sbadigliai, per poi voltarmi verso colui che mi aveva chiamato. Il professor Rowan, con il suo solito sguardo serio e le mani intrecciate dietro la schiena, mi stava di fronte e attendeva che mi svegliassi completamente. << Professore, anche lei quì?>> gli chiesi grattandomi la testa, l'uomo annuì e si sedette sulla sedia alla mia sinistra; <<l'ho saputo un'ora fa>> affermò in tono grave, <<cosa è successo, esattamente?>>. Dopo un altro sbadiglio, raccontai tutto quello che accadde nella foresta di pini alcune ore prima. Rowan continuava ad accarezzarsi la barba e guardare un punto fisso dinanzi a sè, mentre le parole continuavano a fluire dalla mia bocca, la mia rabbia ad accentuarsi nuovamente, la preoccupazione per la ragazza divenire sempre più pesante.
    << Credi che questo "Darrick" fosse il loro capo?>> chiese lui dopo che ebbi pronunciato l'ultima sillaba; scossi la testa, <<non credo proprio>> risposi con un sospiro, <<si pavoneggiava troppo. Inoltre, non aveva la mentalità di un leader. Se proprio devo dirlo, comandava solo quel gruppetto, non tutta la baracca>>, <<quindi tu credi...>> mi interruppe nuovamente, <<che i cosiddetti soldati che hai ucciso facessero parte di un'organizzazione più grossa?>>. << Erano troppo ben equipaggiati ed addestrati per essere un gruppetto di teppisti>> mi alzai e presi a misurare il corridoio a grandi passi. Dopo diversi minuti di silenzio, Rowan bisbigliò: <<spero non sia nulla di grave...>>; lo spero anch'io... pensai.

    Dopo due assillanti ed interminabili ore di andirivieni, cominciavo seriamente a perdere la pazienza; ad un certo punto mi fermai di botto, con l'irrefrenabile desiderio di sfondare il muro che mi stava davanti con un poderoso pugno; mi trattenni a fatica e buttai fuori violentemente il fiato. << Dove diavolo sono quegli sfaticati?!>> sbottai, mi feci schioccare le nocche con assoluta impazienza, <<hanno una paziente ferita in attesa di cure, e loro che fanno?! Poltriscono, maledizione!>>, << agitarti così non accelererà i tempi>> mi ammonì Rowan. << Bah!>> esclamai e ripresi a camminare come un forsennato.
    << Professore, ho fatto più in fretta che potessi!>> la voce apparteneva evidentemente ad una donna, l'uomo rispose con fare molto educato. Mi voltai: la signora appena presentatasi aveva un volto che dava sulla quarantina, come la sua aura; i suoi capelli, neri, lisci e lunghi fino alla base del collo, somigliavano parecchio a quelli di Lucinda. Il suo volto, invece, almeno in quel momento, traspariva una profonda preoccupazione; un'espressione che non ero abituato a vedere sul viso di Olga Dawn, la madre della ragazza ferita.
    << Signora Dawn!>> esclamai e la donna mi rivolse uno sguardo confuso, <<cosa ci fa quì?>> mi avvicinai; ella, invece, finalmente mi riconobbe, << Silvio!>> disse, <<beh, sono preoccupata per mia figlia, ovviamente!>>; mi sentii arrossire per un attimo. Schiarii la gola nervosamente, <<intendo dire, come ha fatto ad arrivare quì così in fretta?>> rettificai. Olga si sorprese ancor di più, << Lucinda non te l'ha detto?>> fece, <<ora viviamo quì, a Duefoglie!>> rimasi di stucco dinanzi a quell'affermazione, <<ed oggi ha incominciato il suo viaggio!>> intervenne Rowan. Ora capivo la presenza di quell'aura femminile nel suo laboratorio: era Lucinda che sceglieva il suo primo pokémon.
    << E si è cacciata nei guai...>> conclusi con un sospiro. << Il professore mi ha detto che sei stato tu a salvare la mia bambina>> disse la signora Dawn mentre attendevamo seduti davanti la stanza di sua figlia; sbuffai leggermente, <<roba da nulla...>> mugugnai tamburellando il pavimento con i talloni. Mi fissavo le punte delle scarpe, stufo di stare in pensiero, dunque mi abbandonai a tutt'altri pensieri. Passò del tempo, ma nessuno degnò di presentarsi per visitare la ragazza. Mi riscossi e guardai il Pokékron: segnava le due del mattino. Imprecai a denti stretti, dunque battei una mano sul ginocchio; <<ora basta!>> dissi. Mi alzai ed aprii la porta della stanza di Lucinda, << Silvio, che vuoi fare?!>> sbottò Rowan; zittii lo scienziato con un gesto della mano mentre mi apprestavo ad entrare: la giovane era sdraiata sull'unico lettino presente. Era ancora vestita con gli indumenti con i quali l'avevo trovata, altra prova che nessun medico si era degnato di controllarla. Le bende con le quali le avevo fasciato la testa erano scure di sangue e andavano cambiate al più presto, per evitare infezioni indesiderate. Presi dolcemente in braccio la ragazza, dunque mi affrettai verso l'uscita. << Ma cosa stai...?>> stava chiedendo Olga, ma la interruppi dicendo: <<portiamola a casa vostra! Lì potrò fermare l'emorragia e medicarla adeguatamente!>> la donna stava per ribattere, << SUBITO!>> la mia voce riecheggiò nel corridoio vuoto. Se qualcuno sano di mente mi avesse sentito, sarebbe accorso immediatamente; invece non apparve nessuno. La signora Dawn osservò il volto senza sensi della figlia. Fremevo tanto da far cigolare la spada all'interno del suo fodero.
    << Va bene!>> si decise finalmente a dire; <<vieni con me!>> e incominciò a correre verso l'ingresso dell'ospedale. << Lei non viene, professore?>> chiesi mentre seguivo la donna, <<verrò a trovarvi domattina. Lucinda ha bisogno di cure al più presto e io sarei solo d'intralcio.>> annuii, per poi affrettarmi dietro Olga.

    ***



    << Poggiala quì!>> disse Olga mentre, in fretta, mi faceva entrare nella stanza di sua figlia e indicando un letto dalle soffici lenzuola azzurro acqua. Obbedii velocemente, dunque presi a disfare le bende che cingevano la testa di Lucinda. Porsi la stoffa alla donna dicendole: <<da lavare in acqua bollente. Me ne servono ancora il prima possibile, insieme ad ago e filo disinfettati! Ora!>> ella annuì e corse al piano di sotto della loro grossa casa, dove, probabilmente, si trovavano cucina e bagno.
    Tastai delicatamente con le dita i bordi della ferita inferta alla poveretta: erano ondulati, quindi non poteva essere stata provocata da un'arma da taglio, bensì da un oggetto contundente. Probabilmente il calcio di un fucile. Premetti un poco più forte, per verificare che non vi fossero crepe nel cranio. Non ce n'erano. Tirai un sospiro di sollievo.
    Qualche secondo più tardi, Olga arrivò trafelata all'interno della stanza, con in mano una scatola di bende pulite e un pentolino pieno di acqua calda che, probabilemente, conteneva il filo e l'ago che le avevo richiesto. Aveva portato anche una bottiglietta di disinfettante che agguantai immediatamente; versai parte del contenuto sullo squarcio che subito prese a schiumare abbondantemente. Dunque presi ago e filo, già legati insieme, e feci per cominciare a suturare. << Aspetta!>> mi fermò Olga, la guardai, <<sai quello che stai facendo?>> sorrisi ed annuii per rassicurarla, <<sono stato addestrato per due anni nel pronto soccorso e nelle "Arti Mediche". Non devi preoccuparti, tu figlia tornerà come nuova!>> detto questo, punzecchiai il primo punto da suturare e, verificato che non avrebbe sentito nulla, infilai l'intero ago e cominciai a svolgere quel delicato lavoro.
    Una volta chiusa la ferita, morsi il filo per trapparlo, dunque tolsi lo zaino dalle spalle e lo aprii; ve ne tirai fuori un piccolo rotolo di pergamena che srotolai per leggerne il contenuto. << Dunque, se non ricordo male, dovrebbe essere così...>> sussurrai tra me e me mentre seguivo le istruzioni riportate su quel pezzo di carta; misi la pergamena spiegata a terra, per poi avvicinare lentamente le mani l'una all'altra. Mi concentrai con tutto me stesso. Bue... incrociai le dita delle mani, in modo che medio e anulare della sinistra fossero semichiuse mentre indice e mignolo diritti, e quelle della destra stessero tra un dito e l'altro. Sentii confluire un pò di energia dalla periferia più profonda del mio corpo. Drago... congiunsi le mani e chusi tutte le dita, tranne pollici e mignoli che erano uniti ed estesi verso l'esterno; Ratto... chiusi anulare e mignolo della mano sinistra. Medio e indice estesi insieme, gli stessi della destra coprivano la parte superiore dei precedenti. Tigre! Unii nuovamente le mani, intrecciai anulari e mignoli ed allungai indici e medi... Un'ondata di calore si propagò dal mio petto fino alla punta delle dita; aprii nuovamente gli occhi e mi guardai le mani: erano avvolte da un'aura color verde acqua. Ghignai soddisfatto: aveva funzionato. Avvicinai lentamente i palmi alla ferita di Lucinda e tentai di intensificare il flusso di energia; l'aura si ampliò. Il taglio richiuso cominciò a tremolare, il sangue rientrare all'interno delle vene; mi fermai per un istante e strappai via i fili della sutura: non ce n'era più bisogno. Ripresi con la medicazione. La ferita si rimarginò completamente, senza l'ausilio del filo, la cicatrice scomparve e i capelli caduti ricrebbero a vista d'occhio.
    Recisi l'energia. Sentii come un pugno allo stomaco togliermi il fiato; tutto d'un tratto, mi sentivo terribilmente debole. Mi piegai in avanti e tossii pesantemente. Mi rimproverai per la mia negligenza: dovevo ricordarmi che quella tecnica richiedeva parecchia energia e un altro tipo di aura definito Chakra, che può essere definito più come una specie di forza puramente vitale.
    Olga mi osservava con gli occhi spalancati. << Cos'è che hai fatto, esattamente?>> mi chiese con un filo di voce, recuperai un pò di fiato, poi risposi: <<l'ho guarita!>>; <<questo l'ho capito!>> sventolò una mano, in un gesto poco paziente, <<quel che voglio sapere è come tu abbia fatto a guarirla!>>
    Deglutii con fatica, avevo la gola secca. << Quella che ho eseguito>> dissi piano, <<è una Tecnica Ninja facente parte dell'Arte Medica. Si chiama "Palmo Mistico" e permette di manipolare le cellule in modo da guarire traumi, tagli, emorragie e così via. Però, richiede l'utilizzo di parecchio Chakra, un'energia particolare necessaria per eseguire questo tipo di Arti. Ed è per questo che...>> stiracchiai la schiena che scricchiolò sonoramente, <<mi vedi così stanco...>>. Gemetti dal sonno; <<e come le avresti imprate queste "tecniche"?>> chiese lei nuovamente, <<non gliel'ho detto prima? Sono stato addestrato per due anni come un ninja, ma ho deciso di lasciare quella strada...>> un ricordo struggente mi illuminò la mente, facendomi quasi rimpiangere la mia scelta, <<... almeno per ora...>>. Olga preferì non approfondire e mi mandò in salotto a dormire, dicendo che si sarebbe occupata lei di Lucinda durante la notte. Obbedii e scesi al piano terra. La fioca luce di una lampada da comodino illuminava a malapena l'ambiente circostante; il divano addossato al muro di fondo dava l'estrema di essere meravigliosamente comodo. Mi ci sedetti e osservai la stanza ancora per un pò. Un enorme televisore ultrapiatto era appeso alla parete dinanzi a me, una moquette grigia era distesa per l'intero pavimento. Una fiestra molto larga stava sulla parete alla mia sinistra e dava sulla viuzza d'ingresso. Fortunatamente, Lucinda e sua madre vivevano nella periferia di Duefoglie, dove si trovava anche l'ospedale, per questo ci mettemmo così poco ad arrivare. Uno scaffale alla destra del televisore era colmo di trofei d'oro; probabilmente tutti appartenenti ad Olga, che sapevo essere una Coordinatrice Pokémon, un'artista capace di creare coreografie spettacolari con i propri mostriciattoli.
    Mi tolsi la felpa e le scarpe, dunque mi poggiai comodamente sul divano e mi addormentai quasi subito...

    ***



    Il silenzio mi pervadeva. Avvolto da una fitta ma rassicurante tenebra, riposavo; il profondo sonno non mi avrebbe abbandonato finchè non sarebbe stato più necessario. Che pace...
    << Buh!>> qualcuno gridò e sentii qualcosa di piuttosto pesante cadermi addosso. Mi svegliai all'istante, facendomi prendere un colpo; <<ma che...?>> stavo sbottando, ma mi fermai subito: seduta accanto a me, in forma più che mai e ripresasi completamente, c'era una sorridente Lucinda. Voleva svegliarmi in quel modo, e c'era riuscita, effettivamente. Mi misi seduto sul divano e mi grattai la testa; sbadigliai sonoramente, e soltanto dopo mi resi conto che la ragazza era finalmente sveglia. La guardai di scatto: non aveva bende o altro, e non sembrava provare dolore. Sospirai di sollievo. << Dunque stai bene?>> le chiesi; indossava un vestito molto simile al giorno prima. Lucinda annuì sorridendo; <<mia madre mi ha detto che mi hai salvata e guarita! Ti ringrazio!>> disse con energia, <<roba da nulla...>> sussurrai più a me stesso che a lei. Un Piplup comparve dall'altra stanza, si avvicinò e saltò in braccio alla ragazza. Il pokémon mi guardò, sospettoso; alzai un sopracciglio, chiedendomi cosa avesse da osservarmi a quel modo sgarbato. << Questo è Piplup! Il pokémon che mi è stato consegnato dal professor Rowan!>> lo presentò Lucinda, sorrisi ed accarezzai il piguino sulla testa, << piacere di conoscerti, piccolo!>> gli dissi, ma quello scrollò la testa e distolse la mia mano, per poi riprendere a fissarmi. << Dai, non fare il maleducato!>> gli sussurrò l'Allenatrice, ma quello si liberò dal suo abbraccio, scese a terra e mi indicò, con fare molto orgoglioso. Mi chiedevo ancora cosa volesse.
    Lucinda accanto a me, sospirò d'impazienza; <<forse ho capito...>> disse, poi si rivolse a me: << Silvio, tu hai dei pokémon, giusto?>> annuii di rimando, <<sì, ne ho qualcuno. Perchè?>>
    << Credo che Piplup voglia sottoporti ad una specie di test>> stavo per chiedere "quale test?" ma lei mi fulminò, dicendo: <<vuole lottare contro di te!>> mi accigliai leggermente per la rivelazione. Tornai a guardare Piplup, che stava annuendo a tutto ciò che la sua Allenatrice aveva appena affermato; sospirai. << Ci sto>> dissi, Lucinda annuì, soddifatta. << Possiamo combattere nel giardino sul retro, c'è molto spazio e non avremo intralci>> si alzò e mi chiese di seguirla.
    Usciti, rimasi senza fiato alla vista di ciò che mi si presentava davanti. Un giardino di quaranta metri quadri si estendeva fino ad una palizzata che cingeva l'intero edificio. Siepi tagliate a forma di animali punteggiavano il grandissimo prato; un piccolo orto rigoglioso era tenuto nella parte più in lontana e una bella fontana stava al centro esatto di quello spazio. Non riuscivo a staccare gli occhi da quello spettacolo. << Terra chiama Silvio Shine!>> Lucinda schioccò le dita un paio di volte davanti ai miei occhi, risquotendomi dai miei pensieri. << Forza! Cominciamo questa lotta!>>; ci posizionammo a venti metri l'uno dall'altra, in modo da guardarci in faccia e rispettare le dimensioni di un campo lotta standard. Piplup era già sceso in campo e non smetteva di additarmi in segno di sfida; diamoci dentro! Tirai fuori dal Pokékron la Ball di Riolu, per poi scagliarla in direzione degli avversari. << Riolu, facciamo loro vedere chi siamo!>> il pokémon si liberò dalla propria capsula, in un grosso lampo di luce bianca, ed atterrò a distanza considerevole davanti il pinguino. Riolu si erse in tutta la sua statura e prese a fissare ardentemente negli occhi il proprio avversario, poi guardò dietro quest'ultimo. Scorse Lucinda, la riconobbe e potè trattenersi dal salutarla calorosamente. Piplup, dal canto suo, si infastidì non poco, dunque prese ad agitarsi in modo da riottenere l'attenzione del pokémon aura.
    Quando, finalmente, la situazione in campo si fu ristabilita, potemmo discutere circa le regole da adottare. << Sarà una lotta uno contro uno!>> gridò la ragazza di fronte a me per sovrastare l'ululato del vento; l'aria delle tre del pomeriggio era piuttosto potente in quell'area. << Anche perchè Piplup è il mio unico pokémon!>> riprese Lucinda, <<d'accordo! A te la prima mossa!>> gridai di rimando; lei battè le mani, emozionata. << Piplup, cominciamo con Bolla!>> il pinguino balzò in aria di diversi metri e scagliò contro il mio pokémon diverse bolle dal proprio becco; <<evitalo!>> sbottai e Riolu obbedì all'istante rotolando a destra. L'attacco non andò a segno per nulla. << Al contrattacco! Attacco Rapido!>> il pokémon aura si lanciò a folle velocità verso il suo nemico; Piplup era ancora sospeso a mezz'aria quando si ritrovò Riolu davanti, a pochi millimetri da sè. Ma, proprio quando l'impatto stava per avvenire, il pokémon acqua eseguì un salto mortale in avanti e schivò completamente il colpo.
    Riolu si fermò di botto e si girò per guardare l'avversario, scivolando all'indietro. << E' più bravo di quanto mi aspettassi, per riuscire ad evitare un attacco simile proprio all'ultimo istante>> dissi tra me e me; presi a rimuginare il più in fretta possibile. << Usa Botta!>> ordinò Lucinda nel frattempo. Piplup prese a sferrare degli sciocchi colpi al pokémon aura, che riuscì a schivare e a deviare senza problemi. Ebbi un'idea. << Scaglialo via!>> ordinai; Riolu annuì, dunque afferrò entrambe le pinne del pokémon acqua, rotolò all'indietro e, usando la zampa posteriore destra come una specie di catapulta, lanciò via il poveretto rimasto attonito. << E ora Attacco Rapido!>> il pokémon aura inseguì il proprio avversario e, mentre quest'ultimo ancora stava volando via, lo colpì con una violenza inaudita usando la spalla destra come ariete; Piplup riuscì ad atterrare prima di finire contro la fontana. Lì, scosse la testa e se la tenne tra le pinne per qualche istante, ma subito dopo tornò in piedi, orgoglioso come prima. Se il colpo l'aveva ferito, non l'avrebbe dato più a vedere; sbuffai quando l'ebbi finalmente giudicato come uno spaccone senza limiti.
    << Sei davvero bravo!>> gridò Lucinda dall'altra parte del campo, sorrisi, <<sto solo cercando di impegnarmi!>> le risposi; lei esortò il suo pokémon a tornare alla carica. Notai un curioso scintillìo nei suoi occhi, mi insospettii: aveva un piano. << Piplup, usa di nuovo Botta!>> il pinguino rincorse nuovamente Riolu per riprendere la ridicola serie di colpi mancati, fu solo allora che notai il minaccioso sorriso della mia amica. Il mio cuore mancò un battito. C'ero cascato con tutte le scarpe; Lucinda sbottò agguerrita: << Beccata!>>; ha detto Beccata?! Pensai, spalancando gli occhi dalla sorpresa. Piplup stava per colpire il mio pokémon con un attacco superefficace, che, sicuramente, non gli avrebbe lasciato scampo. Raccolsi rapidamente il fiato; << Riolu, usa Palmoforza per allontanarlo!>> il piccolo combattente tentò di poggiare la sua mano destra sul petto del pinguino, ma non riuscì a fare in tempo che il becco di questo lo colpiva dritto al ventre e lo gettava all'aria. All'aria... Mi venne un'altra idea, stavolta un pò più folle, ma avrebbe potuto funzionare...
    << Riolu, stai bene? Ce la fai a continuare?>> chiesi; il pokémon si rialzò lentamente, ansimando, ma la sua aura ardeva di rabbia e desiderio di riscatto. Annuii. Potevamo ancora farcela. Guardai gli altri due: sorridevano entrambi; evidentemente, credevano di avere la vittoria in tasca. Come si sbagliavano.
    << Prendilo!>> il pokémon aura si lanciò di corsa verso Piplup che era già pronto a ribattere. << Vai con Bolla!>> ordinò Lucinda e il suo pokémon obbedì, scagliando le sue bolle contro il bersaglio; <<salta!>> Riolu evitò l'attacco con uno spettacolare salto mortale e continuò a correre come un fulmine, fino a ritrovarsi proprio davanti al naso di Piplup. Quest'ultimo rimase di stucco, proprio come la sua Allenatrice che, in quell'istante, non aveva idea di come rispondere; << Usa Spaccaroccia per lanciarlo in alto!>> il pokémon, prontamente, caricò un poderoso montante che fece decollare l'avversario di parecchi metri. << Raggiungilo! Ora!>> gridai e, in men che non si dica, Riolu raggiunse la posizione sottostante al volante Piplup.
    << Attacco Rapido per tenerlo in aria!>> e il mio compagno sferrò un'altra spallata dritto allo stomaco del pinguino, alzandolo ancor di più; << avanti!>> urlò Lucinda, preoccupata, <<tenta di reagire!>>. << Non lo farà!>> intervenni io, e la ragazza mi lanciò un'occhiataccia, <<in aria è difficile muoversi, soprattutto se si è vittima di numerosi e ripetuti attacchi!>> guardai i due pokémon: Riolu stava in aria, leggermente più in alto di Piplup e mi faceva cenno di essere pronto a terminare. << FACCIAMOLA FINITA!>> abbaiai, << Palmoforza e scaglialo a terra!>> il pokémon aura poggiò violentemente il palmo sulla schiena del minuscolo avversario, che era rivolta verso l'alto, e il solito lampo di luce dorata esplose, accecando sia me che l'Allenatrice. Piplup precipitò come un macigno e, quando fu atterrato, un enorme polverone si generò a causa dell'impatto; diradatosi anche questo, ci fu rivelato agli occhi il risultato: l'altezza, la velocità impressa dall'attacco e la potenza stessa di quest'ultimo, non lasciarono scampo al pinguino azzurro. La lotta era terminata.
     
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    grandissimo silvio continua così mi sta prendendo un botto
     
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  4. Luxario
     
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    Tu sai quanto mi piace questa fan fic amico mio XD
     
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    Grazie del supporto! Capitolo 8 in sviluppo e arriverà a giorni!
     
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  6. Il Re Di Hokuto
     
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    ma tipo quando esce il prossimo capitolo ? sono proprio curioso di come andrà a finire sta fan fic. maremma cane
     
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    Lo so, lo so! E' che sviluppare il prossimo cap si sta rivelando più arduo del previsto, e per oggi sono stanco. Domattina mi metto subito all'opera, d'accordo?
     
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  8. Il Re Di Hokuto
     
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    mha secondo me finisce che tutti prendono l'alzheimer e muoiono a causa della pasta al pesto alla genovese e povia diventa signore dell'universo dopo aver vinto le elezioni contro il suo rivale Carlo Conti
     
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    Bel pronostico!
     
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    CAPITOLO 8
    LE EMOZIONI DI UN RICORDO REMOTO


    << Coordinatrice, hai detto?>>, Lucinda annuì con un sorriso leggermente imbarazzato; sorrisi a mia volta e bevvi un pò di tè dalla tazza che tenevo in mano. Ci trovavamo nella veranda della casa della ragazza, seduti su delle comode sedie imbottite, osservavamo il tramonto del giorno durante il quale si era consumata la lotta tra Piplup e Riolu, vedendo quest'ultimo uscirne vincitore. Trattenni il sorso in bocca per un pò, in modo da assorbirne sapore e calore, dunque mandai giù; stavo in maglietta, tutto rilassato, quasi assonnato. Mi massaggiai la tempia destra con le dita, socchiudendo gli occhi, dunque chiesi: <<da quanto tempo progettavi di partire?>>
    << Da quando aveva solo quattro anni!>> intervenne una terza voce. Guardai verso l'ingresso: Olga camminava verso di noi e, intanto, continuava a parlare; <<pensa che si piazzava tutti i pomeriggi davanti al televisore a guardare le vecchie registrazioni delle mie gare!>> Evidentemente assunsi un'espressione interrogativa, perchè, quando si sedette sulla sedia accanto alla figlia, la donna mi guardò e fece: <<non sapevi che sono una Super-Coordinatrice?>> sembrava piuttosto sorpresa. Scossi il capo.
    Lucinda, allora, battè le mani, e, tutta seria, si apprestò a spiegarmi: <<una Super-Coordinatrice è un'Allenatrice capace di creare coreografie inimmaginabili con i propri pokémon, che sono stati addestrati per anni e anni fino allo sfinimento. Mia madre è la più grande Coordinatrice di Sinnoh da ormai quasi vent'anni!>> sorrisi per la rivelazione. Ah, però! Pensai.
    << Per avere la possibilità di diventare...>> stava continuando la ragazza, ma Olga intervenne nuovamente; <<per poter competere e diventare una Super-Coordinatrice, è fondamentale partecipare ai vari tornei che vanno svolgendosi in giro per la regione. Bisogna vincerne almeno cinque, di conseguenza racimolare un pari ammontare di Fiocchi. Cinque Fiocchi...>> e mostrò cinque dita con la mano sinistra voltata verso di me, <<danno il diritto di partecipare all'ultimo torneo, ovvero il Gran Festival. Quì, si affrontano tutti i migliori Coordinatori che siano riusciti a totalizzare cinque vittorie in addirittura quattro gironi, con altri tre di eliminatorie>> sospirò, come se stesse rivivendo uno dei ricordi più piacevoli di tutta la sua vita; <<il vincitore detiene il titolo di Super-Coordinatore...>> sorrise. Gli occhi le luccicavano.
    Tornai ad osservare il cielo, che ora dava più sull'indaco, manifestando la discreta ora che andava ad allungarsi. Mi stiracchiai la schiena, che subito scricchiolò con il suo tipico schiocco; mi rimisi più comodo sulla sedia, per poi sbadigliare sonoramente. Una leggerissima brezza mi scompigliò i capelli. La mia bocca si contorse in un abbozzo di sorriso, contro la mia volontà. Rarissime volte mi ero sentito così rilassato. Forse era per la scarsa frequenza di quell'evento che mi sentivo così leggero e felice. Come un palloncino che si fa trasportare dalle correnti aeree dei cieli più remoti.
    Poi, all'improvviso, Olga mi pose una domanda che punse il mio essere come una spada nel cuore: <<hai una ragazza, Silvio?>>; Lucinda si piegò in avanti all'improvviso e sputò violentemente dalla sorpresa il tè che stava bevendo. << Ma cosa pensi di chiedergli?!>> sbottò lei tra un colpo di tosse e l'altro; <<esattamente quel che ho detto!>> la donna sembrava stizzita dalla poca delicatezza di propria figlia.
    Fissavo il pavimento, incapace di parlare o di pensare; la tazza stretta tra le mani leggermente tremanti e il busto inclinato in avanti, tutto rigido. Inspiravo pesantemente per poi buttare violentemente fuori il fiato dal naso. La mia ragazza...? Avevo seppellito i ricordi riguardanti quella giovane molto, molto in fondo all'interno della mia coscienza; l'avevo abbandonata, e rivivere quegli istanti era come condannare me stesso ad una lenta e straziante agonia. << Allora?>> mi riscosse Olga, <<hai una ragazza?>> sospirai con un pò di fatica, dunque annuii cercando di assumere un'espressione naturale; <<sì, ne ho una...>> sussurrai e mi misi a fissare il liquido semitrasparente all'interno della mia tazza, la donna, invece, trattenne il fiato per la sorpresa. << E come si chiama...?>> stava chiedendo, ma Lucinda la fermò: <<mamma, sono DAVVERO affamata! Perchè non vai a preparare la cena?>> l'altra, dopo un momento di riflessione, annuì; <<hai ragione, piccola, si sta facendo un pò tardi... Vi chiamo non appena è pronto>> e rientrò in casa, accendendo le luci della cucina. Prontamente, cominciarono a generarsi rumori di stoviglie spostate e coltelli che tagliavano.
    Sospirai nervosamente. La ragazza mi guardò, imbarazzata; <<ti prego di perdonarla>> disse, <<non so cosa le sia preso, a chiederti una cosa simile...>> agitai una mano per farle lasciar perdere, <<non preoccuparti>> risposi. Rimasimo in silenzio per diversi minuti, tempo in cui l'unico suono percettibile era il gorgoglìo della fontana non molto vicina; poi, Lucinda si rivolse nuovamente a me: <<domani ripartirai, non è vero?>> annuii nuovamente, <<sì, mi sono riposato anche troppo>> guardai il cielo ormai stellato, <<è ora di compiere ciò sono venuto a fare...>>; <<che ne dici di partire insieme?>> la osservai, prima di rispondere. Sembrava piuttosto agitata. Lasciai correre il motivo; scelsi le parole con cura e, con calma, cominciai a parlare: <<temo di dover rifiutare...>>, <<ma perchè?!>> sbottò lei, <<assieme a te mi sentirei parecchio più al sicuro, e dopo quel che è successo due giorni fa mi ha messo addosso una paura che neanche immagini! E...>>; << Lucinda...>> la richiamai un pò freddamente, ed ella rimase perfettamente in silenzio, ma sapevo che non era finita lì. Mi sedetti sulla sedia occupata prima da Olga, in modo da stare più vicino alla giovane; stava con lo sguardo abbassato, intristita, <<ehi?>> le tamburellai la testa con l'indice, riottenendo una piccola parte della sua attenzione. << Quei soldati davano la caccia a me. Ti hanno catturata e quasi uccisa perchè sapevano che avrei tentato di salvarti... se viaggi con me, potresti correre rischi anche più gravi, e ti ricordo che, molto probabilmente, quelli che hanno ucciso mia madre mi stanno ancora addosso senza che io nemmeno ne sia a conoscenza>>; <<ma io voglio la tua compagnia durante il mio viaggio...>> sussurrò, sospirai pazientemente. << Ascoltami. Potrei non essere considerato una brava persona. Io sono un combattente, un ninja... un assassino... se dovessimo incappare in un pericolo, molto probabilmente massacrerei il responsabile. Non voglio che tu rimanga ferita, o la tua coscienza ne esca sconvolta. Sei una ragazza pura ed innocente, un'amica unica... il mio desiderio è quello di fare in modo che tu rimanga così, e veder morire qualcuno potrebbe cambiarti radicalmente. E, se questo qualcuno è un tuo caro, potresti finire per deprimerti e rischiare di non uscirne più... Forse tu credi che la solitudine non faccia paura quanto la morte, ma io, che ormai la conosco bene, posso affermare che essa non è soltanto una sensazione, ma bensì un vero e proprio male della carne che ti fa lottare contro te stesso ogni giorno della tua sofferente esistenza>> mi interruppi un attimo, toccandomi distrattamente il pettorale sinistro, dove si trovava il cuore, <<fino a nutrire un unico, crudele desiderio, nella tua mente... farla finita, una volta per tutte...>> guardai la ragazza dritto negli occhi, <<dunque, la mia risposta rimarrà no>>
    Lucinda sospirò, ancor più triste; soffocai un'imprecazione: forse avevo esagerato. Mi grattai il capo, leggermente irritato, dunque ripresi: <<e va bene!>> mi guardò, incredula. << Ti accompagnerò. Ma solo...!>> mi porsi un dito davanti per fermare la giovane che mi stava gettando le braccia al collo, <<... solo fino a Sabbiafine. Lì dovrò deviare verso Giubilopoli, e tu, a quanto mi hai detto, devi andare a Giardinfiorito per una gara.>> annuì, <<siamo d'accordo? Fino a Sabbiafine?>> le porsi la mano, Lucinda sorrise, nuovamente contenta, e mi strinse il palmo con il suo; <<ci sto!>> rispose. Sospirai di sollievo: l'avevo scampata.
    Mezz'ora più tardi, Olga ci chiamò dentro per cenare. << Andiamo...>> sossurrai per poi sollevarmi dalla sedia ed aprire la porta scorrevole, seguito a ruota dall'aspirante Coordinatrice. Entrati in cucina, rimasi a bocca aperta: la tavola era letteralmente sormontata da manicaretti di ogni tipo, così tanti che nemmeno venti persone sarebbero riuscite a finirli tutti. La cuoca ridacchiò alla mia vista; <<ho esagerato un pò?>> chiese, divertita, e io, soltanto allora mi resi conto che non toccavo cibo da quasi due giorni. Un sonoro brontolìo si generò dal mio addome; arrossii quasi all'istante e le altre due scoppiarono in una lunga risata. Presi posto a tavola, Lucinda e Olga mi imitarono, dunque cominciai a fare mambassa si tutte quelle leccornie: prima, presi un bel cosciotto di pollo impanato, raccolsi un pò di insalata condita con l'ausilio delle posate e la gettai nel mio piatto, per poi agguantare un invitante tramezzino al centro del piano d'appoggio. Per diverso tempo l'unico rumore fu quello dei coltelli e delle forchette al lavoro.
    Fu Olga a rompere il silenzio. << Allora, domani partite, finalmente! Viaggerete insieme?>> fece, Lucinda rispose: <<sì, almeno per un pò>> sorrisi, contento che abbia preso bene le ragioni che le avevo esplicato.
    Mentre stavo addentando un altro boccone, durante l'ennesima pausa silenziosa, una domanda mi si generò nel cervello. Deglutii; <<c'è una cosa che vorrei chiedere ad entrambe>>, <<spara!>> ridacchiò la donna. Mi schiarii la voce. << Per quale motivo vi siete trasferite così all'improvviso? Lucinda, quando gliel'ho chiesto, non ha voluto dirmelo>> madre e figlia, lentamente, poggiarono le loro posate sul piatto, in un silenzio a dir poco imbarazzante. Strinsi i denti; domanda indecente...
    << Dunque...>> cominciò Olga, strofinandosi le mani, <<ci siamo trasferite perchè...>>, <<mi hanno aggredita, qualche giorno prima degli esami orali>> intervenne Lucinda, la guardai di scatto, incredulo; <<chi...?>>, << Edward e qualcun altro dei nostri compagni di classe>>, la fissai incredulo per diversi istanti, in attesa che continuasse. << Mi hanno sorpresa poco lontano da casa, giù a Wine Hill... e mi hanno picchiata>> e indicò i propri braccia e busto. Ricordavo che, agli esami orali, indossava una giacca a maniche lunghe, nonostante fosse giugno inoltrato, sicuramente per coprire le ferite alla vista. E, sicuramente, era uscita da scuola pallida perchè aveva avuto un accesso di dolore. Voleveno farmi un torto, i maledetti! Sospirai pesantemente; <<allora, io e la mamma abbiamo deciso che, dopo aver finito gli esami, ci saremmo trasferita quì, a Duefoglie, che è anche dove abitavamo prima di venire a Wine Hill...>> mi trattenni dall'urlare e volare subito da quel dannato per massacrarlo di botte. Piuttosto, presi a fissare la bottiglia di aranciata frizzante davanti a me. << Quel che conta...>> dissi piano, <<è che ora stai bene...>> e ripresi a mangiare, nel tentativo di togliermi dalla mente tutto quello schifo. Ma avevo lo stomaco chiuso, allora mi sforzai di mandare giù qualche altro boccone.
    Finita la cena, con il permesso delle padrone di casa, andai a farmi una doccia e, subito dopo, a dormire, avvertendo Lucinda che ci saremmo alzati presto, l'indomani.

    ***



    Aprii lo zaino e controllai che fosse tutto al proprio posto; strinsi meglio la cinghia che legava la spada alla bisaccia. Mi allacciai le scarpe e controllai che la fascetta del Pokékron non mi stringesse troppo il polso. Sospirai, dunque poggiai la schiena al cancelletto di casa Dawn, in attesa di Lucinda. E pensare che l'ho avvertita... pensai. Poco dopo, tutta trafelata, la ragazza uscì di casa e corse dove mi trovavo io. << Buongiorno>> la salutai, <<'giorno!>> rispose mentre riprendeva fiato, ma si ricompose praticamente all'istante; <<andiamo?>> chiese, chinai il capo in assenso, <<andiamo>>
    Ci avviammo verso nord. Non avevamo fretta, anche perchè Lucinda aveva insistito affinchè camminassimo piano. La stradina di terra battuta era illuminata dallo spietato sole mattutino e, mentre eravamo di passaggio per quella via tante volte percorsa da persone normalissime, tutto quanto taceva, facendo sprofondare qualsiasi cosa in un silenzio tombale. Soltanto qualche uccellino oppure un pokémon volante si facevano sentire. Era come se le poche persone che vivevano lì, avessero abbandonato la città; ma non era così, dal momento che percepivo non poche aure assopite. Nulla di strano, dal momento che erano appena le otto del mattino.
    Lucinda, accanto a me, sbadigliò e si asciugò l'occhio destro con il dorso della mano; la osservai: indossava una meglietta smanicata nera e una minigonna rossa leggeri, in modo da adattarsi al caldo torrido di quel periodo; aveva anche degli stivali foderati da viaggio, ovviamente stilizzati in modo da essere preferibili in base ai gusti della giovane. Sulle spalle, portava uno zainetto bianco e, sulla testa, un cappellino rosso, molto simile a quello che indossava quando l'avevano attaccata i soldati. La ragazza tirò su col naso e tentò di tenere gli occhi aperti; non potei fare a meno di ridacchiare: stava morendo di sonno. << Cos'hai da ridere?>> mi canzonò, stizzita; <<ti avevo avvertita che ci saremmo alzati presto, ma tu non mi hai dato retta e sei rimasta in piedi fino all'una di notte!>>, lei sbuffò, impaziente.
    Un'ora dopo circa, arrivammo ad un bivio con un cartello che indicava con una freccia puntata a sinistra il "Lago Verità", mentre quella a destra indicava "Sabbiafine". << Molto bene>> dissi, <<dobbiamo prendere la via di destra...>>, <<aspetta!>> mi interruppe Lucinda, prendendomi per mano, <<potremmo andare al Lago Verità? Ti prego, ho sempre desiderato vederlo!>> feci finta di pensarci, <<ehm... no!>> e tentai nuovamente di dirigermi verso la cittadina, ma lei tenne saldamente la mia mano tra le sue. << Eddai!>> piagnucolò, <<non essere così cattivo!>>; sospirai d'impazienza. << Non sono cattivo, solo responsabile>>, <<non farti pregare!>> ribattè nuovamente, mugugnai un'imprecazione. << Va bene! Ma solo per un'ora, capito?>>, la giovane esultò; <<grazie! Sapevo che avresti accettato!>>
    Maledizione, come fa a convincermi così facilmente? Pensavo mentre seguivo la mia compagna verso un folto boschetto. I suoi alberi ondeggiavano lentamente nella direzione in cui li dirigeva il vento, che, in quegli ultimi minuti, si era accentuato un pò. In mezzo a quei tronchi, la luce era fievole, era piuttosto difficile riuscire a vedere e rendersi conto dove si mettevano i piedi, tuttavia, sembrava che Lucinda conoscesse piuttosto bene la via da percorrere. Mi chiesi se fosse veramente la prima volta che veniva a vedere il lago. Pochi minuti dopo, ci ritrovammo in una vastissima radura, completamente circondata da alberi identici come quelli tra i quali ci eravamo appena fatto strada; la soffice erba era punteggiata da fiorellini bianchi qua e là, e qualche raro arbusto che faticava a crescere in un albero vero e proprio. Ma il vero spettacolo stava oltre tutto ciò: un enorme specchio d'acqua limpida si estendeva per più di cinquanta metri. Decisamente il più grande lago che io abbia mai avuto l'opportunità di vedere; al centro di questo, vi era un'altissima colonna di roccia naturale, invasa da qualche punticino erboso. << Questo è il Lago Verità>> annunciò Lucinda mentre liberava Piplup dalla sua pokéball, <<mi piace molto>> commentai e feci per avvicinarmi all'acqua, quando un ragno rossastro e grosso quanto un bambino mi passò velocemente davanti. Mi fermai di botto e rabbrividii; se c'erano delle creature che riuscivano ad impressionarmi, quelle erano senza dubbio gli insetti. Forse non si direbbe, ma soffrivo di Aracnofobia. << Ma quello è un Ariados>> disse la ragazza dietro di me, mi costrinsi a guardare meglio il pokémon di tipo coleottero: il suo corpo rosso, quasi amaranto, era striato di nero, come le sue zampe giallastre lo erano di porpora. In mezzo agli occhi presentava un corno affilato e due zanne impressionanti. Controllai il pokédex. Era decisamente un Ariados.
    Osservai il pokémon camminare ancora per poco, per poi raggiungere un gigantesco gruppo di propri simili. Quasi mi sentii male, a quella vista. Un flauto prese a suonare dolcemente e gli Ariados sibilarono di gioia. Tentai di scorgere colui che stava creando una così piacevole melodìa; era un uomo dagli occhi coperti da una strana maschera e vestito con un kimono scarlatto, molto simile al colore dei pokémon che gli stavano attorno. << Buona giornata a voi, miei giovani>> ci salutò con una voce melodiosa; chinai il capo in risposta e Lucinda salutò a sua volta. << Cosa fate quì? Siete Allenatori?>> chiese poi, <<esatto>> risposi, <<siamo venuti quì solo per visitare il lago, non intendevamo disturbarla>> intervenne la ragazza; l'uomo ridacchiò e agitò la mano, <<non preoccupatevi! Non mi avete disturbato affatto, anzi, mi fa molto piacere avere qualcuno a farmi compagnia!>> posò il suo flauto in una tasca interna del kimono e si alzò in piedi. Ci fece cenno di seguirlo, <<venite!>> disse, <<vi mostrerò le più grandi bellezze di questo posto!>>; Lucinda si rivolse a me. << Che ne dici? Andiamo?>> chiese eccitata, sospirai, <<non ti smuoverai da questa decisione qualunque cosa io possa dire, vero?>> la ragazza annuì, <<vedo che capisci, finalmente!>> dunque mi prese per mano e mi trascinò via.
    Seguimmo l'uomo per diverso tempo, attraverso gli alberi. Cominciavo a sentirmi leggermente assonnato e una strana nebbia prendeva ad avvolgere l'intera area. L'altro sfoderò nuovamente il suo flauto e riprese a suonare, tutto tranquillo, come se quello che stava accadendo non fosse assolutamente nulla di innaturale. La melodia si sollevò prima lentamente, poi, a man a mano, divenì sempre più rapida e potente, fino a quasi assordarmi e la nebbia che avevo notato prima era ormai talmente folta da sembrare la tela immacolata di un pittore.
    Di botto, la melodia taque, e io caddi a terra, addormentato...

    ***



    Mi svegliai di soprassalto. Ero ancora nella foresta; mi alzai, dolorante. Un'emicranea allucinante mi percuoteva il capo. Tenendomi la testa, mi guardai attorno: Lucinda, l'uomo con il kimono e lo sciame di Ariados erano scomparsi. Solo allora mi resi conto di quel che era accaduto. Quello doveva essere un ninja, e deve aver usato una tecnica facente parte dell'Arte Illusoria per addormentarmi e, probabilmente, imprigionare la mia mente in un universo alternativo. C'erano due modi per sfuggire a un'Arte Illusoria: il primo è quello di usare un'Arte Magica che permetta di dissipare l'illusione, il secondo è quello di farsi toccare da un altro ninja e trasfondere un pò di Chakra. La seconda possibilità era fuori discussione. Dunque presi ad eseguire i segni con le mani necessari all'attivazione della tecnica: Serpente... Tigre... Respingi! Come se venisse strappata da mani invisibili, la realtà creata dall'altro ninja venne squarciata da un portale luminoso che mi trascinò via.
    Aprii gli occhi e finalmente mi venne rivelato alla vista quel che stava accadendo: tutti quanti gli Ariados che ci avevano seguito mi avevano circondato, e mi fissavano come un succulento banchetto che attendeva soltanto loro. << Ci ha ingannato...>> sibilai, <<esattamente!>> urlò una voce, guardai verso la cima degli alberi: poco più su c'era il ninja, che mi guardava divertito. << E perchè l'avresti fatto?>> gli chiesi alzando la voce, l'altro rise, <<perchè sono un bracconiere, povero stupido!>> ringhiai dalla rabbia, <<e i pokémon dei mocciosi appena partiti valgono un bel mucchio di quattrini!>>; <<mi fai schifo!>> ribattei, <<un ninja che si mette a rubare pokémon ai giovani Allenatori?! Non potresti cadere più in basso!>>, <<sai che sono un ninja?>> chiese stupito, <<devi esserlo anche tu dato che ti sei liberato della mia illusione senza alcun aiuto...>> rimase in sovrappensiero per un pò. << Comunque>> risprese, <<ora sei indebolito, quindi non ci vorrà molto... per ucciderti!>> tutti quanti gli Ariados mi si scagliarono addosso, tentando di colpire con i loro corni; aveva ragione, avevo usato parecchio Chakra e ora ero quasi senza energie. Tuttavia, mi sforzai di parare stupidamente i colpi con la mano destra e chiusi gli occhi. Un dolore lancinante mi penetrò il palmo e un liquido caldo mi finì sul viso; riaprii gli occhi all'istante: due corna di Ariados mi stavano perforando la carne e, ad ogni singolo movimento, una nuova ondata di dolore e un fiotto di sangue ne venivano generati. Gridai. Il ninja, dal canto suo, rideva nel vedermi soffrire a quel modo. Lo guardai mentre tentavo di muovermi, ma gli Ariados, posizionati in quella maniera, erano irremovibili. Chiusi nuovamente gli occhi. Sono troppi... pensai, sono troppi e io sono debole per riuscire ad affrontarli tutti quanti... sentii una lacrima scorrermi sul viso, morire divorato da dei ragni... proprio io che sono Aracnofobico...
    Uno strano vento mi scompigliò i capelli; nella mente mi si generò spontaneo un pensiero, un ricordo. Una giovane dai capelli lunghi e dorati, che usava portare in una chilometrica coda di cavallo. Tante volte le avevo chiesto di tagliarli almeno di qualche centimetro, ma ella non volle darmi ascolto alcuno. Adorava i fiori; passava giornate intere a cercare i nomi di quelli più rari tra le sue enciclopedie di botanica, e altrettanto tempo a cercare altre corolle per decorare la sua stanza, sempre profumata di vaniglia. Quanto mi mancavano i suoi occhi azzurri...
    I... In... Spalancai gli occhi, la rabbia invase il mio corpo, come il sangue viene spinto dal cuore fino alle periferie più remote. Non mi farò uccidere e condannare a non rivederla mai più! Strinsi i denti, mi piegai leggermente in avanti, per poi tornare dritto, come un elastico che scatta, e gridai così forte da far riecheggiare la mia voce in tutta la foresta. La mia aura si scatenò, scagliando via i due pokémon che mi avevano ferito e terrorizzare tutti gli altri. Il ninja che mi sbeffeggiava rimase allibito. Sentii i capelli venire tirati verso l'alto; sapevo che avevano cambiato colorazione dal castano al dorato, e i miei occhi dal nero all'azzurro. L'aura che mi ardeva dentro, divenne visibile, avvolgendomi in una gigantesca fiamma dorata. La mia trasformazione, il cosiddetto Super Sayan... La usavo raramente, perchè, ogni volta, creavo devastazione e generavo morte più di quanto potessi volere. Ma in quel momento, si era rivelata fondamentale per la mia sopravvivenza. Alzai lo sguardo e lo posai sul ninja bracconiere; quello mi guardò per un istante, per poi prendere a fuggire terrorizzato, saltando velocemente di ramo in ramo. Sbuffai. Mi posai sulla fronte l'indice e il medio uniti, dunque mi teletrasportai davanti al fuggitivo. Quello non se n'era neanche accorto, dal momento che tentava di assicurarsi che nessuno lo seguisse. Stavo sospeso in aria, grazie ad un'abilità di volo; quando il ninja mi vide, provò a fermarsi, senza successo, dunque lo colpii con un violento calcio all'addome, che lo fece volare all'indietro a velocità impressionante. Lo inseguii e, quando fu caduto a terra, gli piombai addosso con un ginocchio sullo sterno; sfoderai un piccolo pugnale kunai e glielo puntai alla gola. << Ti prego, abbi pietà!>> piagnucolò, <<hai idea di quante volte ho sentito questa frase?>> gli sibilai nell'orecchio, <<hai idea di quante volte ho rispettato questa richiesta?>>, gli punzecchiai il collo, che spillò una gocciolina di sangue. << Io ti ucciderò...>> sussurrai, <<non ti lascerò fuggire...>> feci per colpire, ma nuovamente, quel vento si generò e un altro ricordo mi invase la mente.
    << Se vedrai morire qualcuno, questo potrebbe cambiarti radiclamente...>>
    Era forse un avviso? Un monito per avvertirmi che l'uccidere una persona doveva essere sempre l'ultima frontiera? Non lo so, ma se era così allora sono felice di aver levato dalla gola del nemico il mio coltello. Tuttavia, non potevo lasciarlo fuggire senza castigo, dunque gli sferrai un potente pugno allo zigomo sinistro, stordendolo sul colpo.
    Mi tranquillizzai, per poi sentire il miei capelli tornare normali; ma non feci minimamente in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che sentii uno strillo agghiacciante provenire dal lago. Mi fiondai in quella direzione. Lì vidi quello sciame di Ariados prendersela con Lucinda e il suo Piplup. Erano meno di quando mi avevano circondato, ma il loro numero era comunque temibile. Subito, afferrai due pokéball dal Pokékron e le scagliai, abbaiando: <<piplup, Chimchar, forza!>> i pokémon atterrarono sull'erba e fecero cenno che erano pronti. << Chimchar, a ore due! Lanciafiamme!>> la scimmietta inondò di fiamme guizzanti un ben nutrito gruppetto di coleotteri, mandandoli fuori combattimento pressocchè all'istante. << Piplup, a ore dieci! Falli tutti fuori con Beccata!>> il mio pinguino si lanciò a tutta forza contro i proprio avversari e li colpi uno ad uno con beccate superefficaci, sfoltendo ancor di più lo sciame. Tuttavia, altri cinque Ariados stavano assaltando Lucinda; presi a correre a tutta forza verso di lei, per tentare di salvarla; ero decisamente troppo lontano...
    Un'enorme esplosione d'acqua scagliò via i ragni rimasti: era il Piplup della Coordinatrice che, con l'utilizzo della mossa Mulinello, era riuscito a porre fine a quella lotta.

    ***



    Lucinda crollò in ginocchio e prese a piangere dalla paura. Mi inginocchiai accanto a lei e la abbracciai, in un disperato tentativo di rassicurarla; <<dai, è finita. Stiamo bene... Stiamo tutti bene>> le sussurravo, lei strinse forte le sue braccia attorno al mio busto e, tra un singhiozzo e l'altro, disse: << Silvio... mi dispiace così tanto... avrei dovuto darti ascolto... mi sono comportata come una bambina, mi dispiace!>>
    << Ehi, ehi!>> presi il suo viso tra le mani e, tentando di sopportare le lancinanti fitte al palmo destro, le dissi: <<lo stupido, quì, sono io! Avrei dovuto insistere e trascinarti via fino a Sabbiafine. Ma quel che è stato è stato, ed è finito tutto quanto nel migliore dei modi>> sorrisi e i miei Chimchar e Piplup assentirono entusiasti. Lucinda annuì, dunque si asciugò gli occhi. << Va bene... ora...>> stava dicendo mentre si alzava, ma un'improvvisa e potentissima corrente d'aria ci costrinse a guardare in direzione dell'acqua: strasparente e quasi invisibile, scivolava sul lago una figura minuscola, la sua testa era irriconoscibile. Non avevo mai assistito a nulla di simile. La creatura mistica ci guardò per qualche istante, per poi scomparire in un lampo di luce rosata.
    in quel momento mi ricordai di respirare. Che cos'era?
    Poi mi ricordai; <<hai un cellulare?>> chiesi rivolto a Lucinda, la ragazza annuì. << Allora chiama la polizia e dì loro di controllare la parte ovest della foresta. Vi troveranno qualcuno che, sicuramente, saranno felici di vedere!>>
     
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    Qual è l'ultima cosa che un morto vede con gli occhi di un vivo? ...La luce...

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    CAPITOLO 9
    L'IRA DEGLI ABISSI


    Scrutai il mio palmo destro. Due fori oblunghi e sottili baluginavano dalla carne, paralleli e ancora sanguinanti. Più di una volta avevo tentato di chiudere quelle ferite, senza successo; ero a conoscenza del fatto che gli Ariados secernevano delle tossine dal loro corno, ma sapevo anche che gli queste si limitavano a causare una forte nausea e, rarissime volte, svenimenti con conseguente disidratazione. Tuttavia, non risentivo di nessuno di quei sintomi, anzi, stavo bene, il mio stomaco non era affatto in subbuglio e, sicuramente, non ero tanto debole da rischiare di perdere i sensi. Un'altra cosa che riuscii a notare era che non si rimarginavano, nemmeno con l'ausilio del Palmo Mistico; inoltre, sanguinavano, questo è assolutamente vero, ma non più di un taglietto superficiale, e, ogni volta che stringevo le dita o sferravo un pugno, un dolore pungente e molto forte mi si generava dal palmo, finendo per propagarsi per l'intero arto. Possibile che quel ninja fosse riuscito a modificare strategicamente gli effetti delle tossine degli Ariados? Se era così, trovare un antidoto adatto sarebbe stato pressocchè impossibile.
    Odiavo situazioni simili.
    Sospirai, piuttosto irritato. Mi fasciai la mano, stando attento a stringere bene le bende, dunque indossai il guanto corrispondente. << Ti fa ancora male? >> chiese Lucinda mentre tornavo da lei sulla strada; a cinque chilometri da Sabbiafine, il nostro viaggio si era nuovamente interrotto, dal momento che la ragazza aveva insistito perchè ci fermassimo e che io tentassi di chiudere un'altra volta quei tagli. << Purtroppo sì... >> risposi, stringendo il pugno un paio di volte. Strinsi i denti, nel tentativo di resistere a quelle lame che mi laceravano le carni. << Sono sicura che un ospedale avrà un antidoto adatto a quelle tossine... >> ripresimo a camminare, scossi il capo, in un sospiro stanco, << non credo proprio... >>, Lucinda mi guardò, interrogativa, mentre mi scarpinava accanto. << Non sono stato infettato dalle secrezioni di un Ariados normale... sono state modificate, in quelche modo. Trovare una cura stà più difficile di quanto creda >> sul volto della giovane si dipinse un'espressione preoccupata, << sono capace di sopportare il dolore! >> la rassicurai, << e, di certo, non morirò dissanguato! >>

    ***



    << Quanto manca...? >> Lucinda era affannata, lo provava il fatto che si era anche tolta il cappellino per evitare di sudare. Ma non sembrava funzionare. Ridacchiai mentre aguzzavo la vista, cercando di scorgere un possibile edificio oltre la prateria e gli alberi che segnalasse, finalmente, la prossimità della nostra meta; << camminiamo da tre ore, ormai dovrebbero mancare un paio di chilometri, al massimo >>, un istante dopo, percepii centinaia di aure umane, tutte disseminate all'interno di un'area parecchio vasta.
    << Mi correggo! >> annunciai, << siamo davvero molto vicini! >>, << sicuro? >> fece la ragazza; annuii. << Seicento metri ancora, e ci ritroveremo a Sabbiafine >> diedi una gentile pacca sulla sua spalla, nel tentativo di incoraggiarla. Lei, invece, per tutta risposta, piagnucolò dalla stanchezza; mi esasperai un poco, << camminiamo da neanche mezza giornata e tu sei già sfinita? >> le chiesi, Lucinda mi scoccò un'occhiataccia, << non hai idea >> disse, enfatizzando ogni parola indicandomi il petto con l'indice, << cosa significhi camminare per "neanche mezza giornata"! >>, risi, << ti sbagli! Ci sono state volte in cui ho viaggiato per sett...! >> il rimbombo di un'esplosione lontana mi interruppe bruscamente. << Ma che diavolo...? >> guardai di scatto in direzione della città: non sembravano esserci stati danni, eppure una piccola colonna di fumo nero si levava oltre, più in alto degli alberi.
    Un'ipotesi mi invase la mente.
    << Credi sia una lotta tra pokémon? >> chiesi, rivolto alla ragazza. Scrollò le spalle. << Non lo so... >> rispose, << ma se anche fosse, non credo che degli Allenatori lascino i propri mostri scatenarsi in questo modo >> guardai nuovamente verso la posizione del presunto danno. Il fumo si era totalmente dissipato.
    << Speriamo non sia nulla di grave... >> mi massaggiai il polso sinistro, come sempre quando avevo un brutto presentimento. << Dai, muoviti, scansafatiche! >> mi riscosse Lucinda mentre mi sorpassava e si dirigeva verso Sabbiafine; << ehi! Scansafatiche a chi? >> la canzonai ironico, la rincorsi attraverso la via avvolta dagli alberi. La luce lì, come ci si potrebbe aspettare, si affievolì non poco; per alcuni, quella sensazione avrebbe potuto dare disagio, ma io ero abituato alle foreste, per quanto piccole o grandi fossero, e, avendoci passato parte della mia vita, finii per innamorarmi del suo silenzio, delle creature che la abitavano - tranne gli insetti, ovviamente -, della curiosa aria di secoli di storia e mistero che potevano celarsi oltre quelle cortecce e quei muschi. Era stato proprio in una foresta che riuscii a conquistare la mia ragazza e, sempre lì, ci scambiammo il primo bacio.
    Mi sentii avvampare. Lucinda lo notò e mi chiese divertita: << cos'hai da arrossire così? Ti senti imbarazzato? >> rise, << beh, mi sembra ovvio! >> prese a pavoneggiarsi, << a stare vicino ad una bellezza come me, prima o poi qualunque uomo finisce per intimidirsi! >>; ora esageri... pensai, tentando di trattenermi di esporre verbalmente quelle parole. Mi avrebbe massacrato di ceffoni.
    Passarono venti minuti, una luce finalmente poteva essere intravista oltre l'intrico di rami degli alberi di fondo. << Ci siamo quasi! >> sibilai, desideroso di preservare quel silenzio divino. << Finalmente! >> piagnucolò l'altra con il mio stesso tono; presi un'ennesima boccata di aria fresca e pulita, nel tentativo di godermi quegli ultimi minuti di pace. Poco dopo, ci ritrovammo fuori da "quell'ammasso di alberi e foglie" come l'aveva definito Lucinda. Il cambiamento fu quasi radicale. Sabbiafine era proprio come me la ricordavo: rari ma alti edifici, intervallati da qualche sporadico viottolo di pietra, ma tutto il resto era dominato da praticelli d'erba e addirittura qualche coraggiosa palma. Il porto non era gremito di persone come quando ero arrivato a Sinnoh, anzi, non c'era proprio nessuno, nell'area dei moli e della spiaggia. Inarcai un sopracciglio. Che è accaduto? Mi chiesi; poi rammentai. Sarà mica stata l'esplosione a far volatilizzare tutti? Feci guizzare lo sguardo a destra e a manca lungo la fila delle imbarcazioni con la cima legata assicurata. Non sembrava vi fossero carcasse carbonizzate. Neanche un minimo accenno di fumo.
    Mi massaggiai il mento. Allora cos'è stato quello scoppio? Guardai il cielo, il quale ricambiò indifferente il mio sguardo, come sempre, con le rare nuvole presenti sul suo volto e il meraviglioso sole che riscaldava il mio corpo. << Silvio! >> Lucinda mi scosse le spalle, rimbecillendomi per qualche istante; << non metterti a pensare a chissà cosa, e andiamo a mangiare, che non ce la faccio più! >> mi massaggiai la testa che, all'improvviso, aveva cominciato a farmi un pò male. << Va bene, va bene! >> risposi, << andiamo al Centro Pokémon e pranziamo, poi ripartiamo >> presi a camminare, ma solo dopo un pò mi resi conto che la Coordinatrice non mi stava seguendo. Stava ritta in piedi, guardava a terra, sconsolata. Maledizione... imprecai: capii al volo il motivo per cui si comportava così. La raggiunsi; << Lucinda! >> le presi il viso tra le mani, ma lei si rifiutava di guardarmi negli occhi. << Ne abbiamo già parlato. Te l'ho detto che le nostre strade si sarebbero divise quì, a Sabbiafine >> ripresi lentamente fiato, << e ti ho spiegato perchè >>; << ma io...>> stava dicendo, << quel ninja... >> la interruppi prontamente, << rischiava di morire per mano mia... Quando mi arrabbio, c'è ben poco da fare. Il responsabile non si salva praticamente mai >> ricordai, << se non fosse stato per quella specie di vento, a quest'ora avrei le mani lorde del sangue di un altro umano, e non mi va che tu ne rimanga sconvolta... Te l'ho detto >> la lasciai andare e feci un passo indietro, << se vuoi schiaffeggiarmi, fai pure. Ma non verrò con te, non ti lascerò vedere le mie battaglie e, sicuramente, non permetterò che tu rimanga uccisa da dei maledetti che tengono me nel mirino >> con mia inaspettatezza, la ragazza mi guardò con un sorriso radioso. Rimasi di stucco. << Me ne rendo conto... >> disse, << e ti ringrazio! >> sorrisi anch'io: finalmente, dimostrava un minimo di maturità.
    Lo stomaco di Lucinda borbottò all'improvviso, interrompendo la breve quiete generatasi in quel secondo e causando l'ilarità di entrambi noi. << Forza! >> le dissi, << andiamo a mettere qualcosa sotto i denti! >>

    ***



    La mattina dopo, eravamo seduti al tavolo della sala da pranzo del Centro Pokémon di Sabbiafine e ci godevamo una sostanziosa colazione.
    La Coordinatrice sbadigliò, mentre nel frattempo mescolava il suo tè con un cucchiaino; io, invece addentai un croissant. Continuavo a tenere gli occhi puntati sul grosso televisore appeso alla parete di destra, in modo da tenere d'occhio il telegiornale. Nel frattempo, tanti altri Allenatori mangiavano assieme ai loro compagni, chiecchieravano allegramente e si apprestavano ad incominciare un nuovo giorno.
    Il tempo era sereno e caldissimo come ventiquattro ore prima dunque perfetto per intaprendere e continuare il proprio viaggio. << Ho dormito come un sasso... >> disse Lucinda; si asciugò l'occhio con il dorso della mano e bevve un pò di tè. << Te l'avevo detto che allenarsi così tanto è dannoso per un principiante >> le risposi, senza distogliere lo sguardo dalla giornalista che andava esponendo i fatti di cronaca più importanti; << sono le dieci del mattino e tu ti sei alzata appena mezz'ora fa! >> ella fece spallucce, << non ci posso far niente se voglio arrivare preparata alla gara! >>, << con un solo pokémon? >> le chiesi di botto, << stai accelerando un pò troppo i tempi. Ci vuole ancora parecchio prima di arrivare a Giardinfiorito, quindi rilassati e tenta di organizzare le tue strategie in maniera più elastica >>, << sì, credo tu abbia ragione! >> la ragazza ridacchiò.
    Abbandonai il televisore per un attimo, in modo da prendere un sorso del mio succo d'arancia; << non si hanno più tracce del Gyarados che la mattina scorsa ha attaccato il porto di Sabbiafine! >> mi voltai di scatto in direzione dell'apparecchio, facendo gocciolare un pò di succo dalla tazza. << Alcuni pescatori hanno affermato di aver visto il pokémon allontanarsi in direzione della regione di Kanto, mentre i ricercatori della stessa cittadina hanno confermato la veridicità delle loro ipotesi. Dunque, noi di Giubilo TV vi rassicuriamo e vi comunichiamo che i porti e le spiagge nell'area di Sabbiafine sono totalmente al sicuro! >>
    Allora sarebbe stato un Gyarados ad aver provocato quel putiferio? chiesi tra me e me. << Ehi, Silvio? >> mi richiamò Lucinda, << visto che ora la città è al sicuro, che ne diresti di passare qualche ora al mare? >> mi mordicchiai il labbro mentre ci pensavo. Se i ricercatori l'avevano confermato, allora la probabilità di venire attaccati era piuttosto remota. Annuii, << va bene, una bella nuotata non ci farà certamente male! >> finii di mangiare gli ultimi bocconi, dunque mostrai tre dita a Lucinda, << tre ore, capito? Devo assolutamente tornare ad allenarmi e raggiungere Mineropoli il prima possibile >> la ragazza sorrise, << sì, tre ore sono più che sufficienti! >>
    Mi spazzolai le mani dalle briciole. << Allora, io ho un asciugamano abbastanza grande e un costume da bagno... >> mi venne un dubbio, perciò afferrai lo zaino trafficando un pò con il suo contenuto, << ... credo... >> trovai un paio di pantaloncini sottili, << sì, eccolo qua! >> posai la bisaccia a terra accanto al tavolo, << tu, invece? >> chiesi alla giovane, << oh, non preoccuparti! Ho tutto il necessario! >> rispose lei indicando la propria borsa con un cenno del capo.

    ***



    Mi stiracchiai, facendo scricchiolare tutte quante le vertebre. Steso sul mio asciugamano, poggiato a propria volta sulla bollente sabbia della spiaggia, mi godevo il sole che infieriva sulla mia pelle, nel tentativo di farmi lamentare dal caldo. Ma era una lotta persa in partenza: amavo il calore. A torso nudo, tutte le cicatrici che avevo accumulato nel corso degli anni erano esposte alla vista, ma non me ne importava nulla. Volevo solo rilassarmi un pò. I miei pokémon e il Piplup di Lucinda giocavano sulla sabbia, ridacchiando e cacciando qualche raro urletto divertito. Quella parte della città era gremita di persone che, avendo saputo che il Gyarados era andato via, avevano ritrovato il coraggio e il desiderio di divertirsi il quel periodo tanto torrido per loro.
    << E questo cos'è? >> chiese qualcuno e mi sentii poggiare un dito sulla parte sinistra del petto, in corrispondenza del cuore. Aprii gli occhi e vidi Lucinda con un'espressione interrogativa e sospettosa allo stesso tempo dipinta sul volto osservare il punto che stava indicando. Guardai anch'io: dodici schegge disuguali erano state tatuate in quel posto in modo da formare un anello dal diametro di sei centimetri. << Un sigillo... >> mugugnai, << come? >> fece l'allenatrice, << un tatuaggio che mi hanno costretto a fare! >> dissi nuovamente alzando di poco la voce, << ti hanno costretto? >> annuii, << e chi...? >>, << andiamo a nuotare, vah! >> mi alzai con uno scatto delle reni e presi a camminare verso il mare. Così facendo, speravo di convincere Lucinda a lasciar perdere l'argomento. Fortunatamente funzionò.
    Raccolsi più fiato possibile e mi tuffai nell'acqua salmastra, sbracciando per andare sempre più in fondo. Il liquido era assolutamente limpido, chiarissimo, permettendomi di vedere ben più lontano rispetto al mare di Wine Hill, inquinato e disgustoso. Rimasi così per qualche decina di secondi, a nuotare dolcemente lungo il fondo dell'oceano invaso da alghe e coralli, ad osservare i pesci e i pokémon acquatici fuggire ogni volta che adocchiavano la mia presenza. Non so perchè, ma lo trovavo parecchio divertente. Quando sentii il respiro venirmi meno, tornai in superficie. Scossi la testa per togliermi i capelli appiccicatisi agli occhi, scalciando per rimanere a galla. Lucinda mi raggiunse poco dopo, assieme al suo amato pokémon.
    << L'acqua è bella calda! >> mi gridò per sovrastare lo scroscio di quest'ultima, << già! >> urlai di rimando, << potrei nuotarci per ore intere! >>; restammo in silenzio per qualche istante, a goderci quella splendida sensazione del mare che accarezza dolcemente la pelle. << A chi sta giù più a lungo? >> mi sfidò lei all'improvviso. Ghignai. << Ci sto! >> e, senza alcun preavviso, mi tuffai sotto la sottile linea azzurra. Un secondo dopo, vidi la giovine immergersi a sua volta, vestita col suo costume giallo canarino - colore tremendo, in tutta franchezza - seguita a ruota da Piplup. Attirai la sua attenzione con un sorriso un pò maligno, dunque mi fiondai a tutta velocità ancor più in fondo. Lei mi aveva sfidato e ora doveva competere secondo le mie regole.
    Continuai a sferrare bracciate in direzione del fondo buio, senza affannarmi più di tanto; la mano fasciata andava ad alternarsi a quella nuda in un turbinìo di movimenti rapido e quasi ininterrotto, nel mentre che tutti i peschi presenti lì guizzavano via dallo spavento. Sentivo i capelli venire tirati delicatamente dal liquido trasparente mentre sfrecciavo verso il basso, verso l'abisso più profondo.
    In un istante, percepii un'aura parecchio grande al di sotto della mia posizione. Non ebbi neanche il tempo di pensare a cosa fare che una gigantesca onda d'urto scagliò fuori dall'acqua in direzione della spiaggia sia me che Lucinda e Piplup. Durante il volo, presi la ragazza in braccio ed atterrai in piedi sulla sabbia. Tesi i muscoli un pò più del dovuto per riuscire ad attutire l'impatto efficacemente. Piplup piombò a terra urlando e dal botto che causò, doveva sicuramente essersi fatto male.
    Rimisi Lucinda in equilibrio sulle sue gambe; ella, ancora scioccata, guardò come me l'acqua agitarsi violentemente. << Ma cos'è successo?! >> sbottò un uomo che, come il resto dei bagnanti, aveva assistito all'intera scena; subito dopo, il silenzio più assoluto crollò sulla spiaggia. Strinsi delicatamente i pugni. Tenni i muscoli pronti a scattare al minimo accenno di pericolo. Il polso sinistro pizzicò.
    << Silvio...? >> sussurrò la Coordinatrice, << cos'è che ci ha lanciati qua? >>; << non lo so >> risposi lentamente, << ma temo che lo scopriremo presto... >>.
    << SI PUO' SAPERE COSA STATE FACENDO, VOI DUE?! >> abbaiò un altro uomo dietro di me. Mi voltai: era un poliziotto grassoccio che, sicuramente, aveva sentito il colpo e percepito il conseguente silenzio. Ora, credeva che io e Lucinda fossimo i responsabili. Presi fiato per ribattere, ma un'esplosione d'acqua squarciò l'aria facendo sussultare tutti i presenti; mi girai di scatto verso l'oceano. Un enorme serpente marino, rassomigliante ad un drago Orientale, dalle squame scarlatte e le zanne che avrebbero fatto impallidire un mammut, spuntava da quello che doveva essere il suo habitat ed osservava quelle che sarebbero state le sue prede. << U-Un Gyarados!! >> urlò il poliziotto. Il putiferio più assoluto scoppiò sulla spiaggia, tra chi urlava aiuto e chi prendeva a correre via con tutte le proprie forze. Solamente io, Lucinda e i nostri pokémon rimanemmo al nostro posto; fissai gli occhi del Gyarados, accigliandomi. << Dunque è lui che ha incasinato Sabbiafine da due giorni a questa parte! >> dissi, sentii la ragazza deglutire nervosamente accanto a me; senza distogliere lo sguardo dal mio prossimo avversario, le ordinai: << vattene di quì e porta i pokémon con te! >>, << e tu...? >>, << ORA! >>. Lucinda annuì e corse a mettersi al sicuro.
    Tuttavia, sentii che qualcuno era rimasto. Guardai ai miei piedi: era il mio Turtwig. Sembrava parecchio risoluto e desideroso di combattere. Ghignai; << sei pronto? >> gli chiesi, il pokémon sorrise a sua volta ed annuì, agguerrito. Tornai a guardare il nemico. Il Gyarados ruggì con tutta la sua energia; << FACCIAMO CASINO! >> scattai in avanti e presi a correre a perdifiato in direzione del mare. Il suono dei piedi che colpivano la sabbia veniva completamente attutito, dunque i pochi secondi che mi separavano dallo specchio furono di silenzio totale. Concentrai il Chakra sulle mie piante che presero ad illuminarsi di un'aura azzurrognola.
    Eseguii un salto lungo ed atterrai sull'acqua, senza affondare. La tecnica stava funzionando. Alzai gli occhi appena in tempo per vedere le fauci del Gyarados tentare di afferrarmi; rotolai di lato per evitarlo. Il pokémon mancò il proprio bersaglio, finenfo per azzannare l'acqua in un grosso tonfo. Girai attorno al suo collo fino a ritrovarmi dananzi il suo dorso. Caricai e sferrai un diretto destro dritto alla sua schiena; ignoro se l'ha sentito, ma quel che so per certo è che si arrabbiò molto di più, difatti inarcò in suo corpo serpentesco fino a posizionare la sua enorme testa alle mie spalle. Lì, cominciò a caricare un Idropompa.
    Mi girai di scatto. Sferrai al Gyarados un calcio circolare dritto alla mandibola che lo fece girare in senso orario; questo, però, gli diede lo slancio sufficiente a frustarmi con la sua coda. Volai via di parecchi metri, finendo per atterrare sulla dura sabbia della spiaggia.
    Scossi la testa, nel tentativo di riprendermi, dunque guardai nuovamente l'avversario. Il pokémon ricambiò il mio sguardo. Ringhiai, furibondo, per poi riprendere la mia corsa forsennata verso l'invasore. Eseguii un balzo e sfruttai un pò d'aura per potenziare lo slancio; sferrai un altro pugno a quello che doveva essere l'addome del Gyarados e lui, per tutta risposta, mi sferrò una testata, facendomi affondare in acqua, per poi schioccare un altro colpo di coda e scagliarmi un'altra volta sulla spiaggia.
    Mi rialzai all'istante, corsi ed eseguii un enorme salto fino a ritrovarmi a cinque metri sopra la testa del pokémon. Da lì, volevo piombare sul suo capo, in modo da stordirlo. Ma lui se ne rese conto. Infatti puntò le sue zanne in mia direzione e, in tutta fretta, prese a caricare un'Idropompa. << Oh-oh... >> esclamai; ci sarebbe voluto troppo tempo per usare il Teletrasporto e schivare era fuori questione. A quanto pare, subire in pieno la mossa del pokémon ira era l'unica via. Una minuscola figura schizzò da terra e si posizionò in volo davanti a me; capii subito chi fosse. << Turtwig, ma che stai facendo?! >> sbottai. L'Idropompa colpì il pokémon fogliolina, spingendolo contro il mio busto. Finimmo entrambi a terra. Tenni il povero Turtwig tra le braccia mentre mi rialzavo per l'ennesima volta. Il poveretto era rimasto ferito dalla mossa ed aveva perduto i sensi. Sospirai. Non volevo perdere la calma. Non volevo che nessuno morisse per mano mia, quel giorno. Non volevo generare caos e terrore nelle persone che sicuramente stavano osservando lo stupido adolescente combattere contro un avversario decisamente troppo superiore a lui. Forse lo era... O forse no.
    Poggiai Turtwig a terra. << Riposa quì... >> gli sussurrai. Mi ersi e guardai il Gyarados. Strinsi i pugni. La mano infetta dagli Ariados espresse il suo disappunto; digrignai i denti dal dolore.
    Un'altra volta, scattai verso quel pokémon maledetto. Cacciai un urlo furioso mentre mi lanciavo verso di lui, pronto a colpire con una tecnica ninja... Ma fui troppo lento.
    Come un fulmine a ciel sereno, il pokémon ira mi si scagliò contro, le fauci spalancate, pronte a divorarmi. << Non importa se riesci a divorarmi! >> gli gridai, << squarcerò il tuo addome, mi libererò e tornerò a lottare, qualunque cosa accada! >>
    Fu allora che accadde: una grossa creatura quadrupede, alta almeno la metà di me, colpì la parte sinistra della mascella del Gyarados con la propria inerzia, deformandolo in una maschera di puro dolore. Il colpo riuscì a lanciare via il pokémon acqua, togliendolo dal proprio habitat e sospendendolo in aria. Ebbi un'idea.
    Scattai in avanti appena in tempo, lì afferrai la punta della coda del maledetta, dunque decollai in volo. Il Piplup di Lucinda, quando stava lottando con Riolu, non riusciva a reagire quando si trovava in aria. L'idea era esattamente la stessa.
    << In volo non sei così pesante, eh?! >> all'improvviso mi fermai, per poi volare giù in picchiata, impugnando il Gyarados come se fosse stato una gigantesca e scarlatta frusta. Vidi la creatura che mi aveva aiutato: somigliava parecchio a Turtwig, era molto più alta, aveva un guscio giallo e all'apparenza estremamente durevole. A decorarlo vi era una coppia di minuscoli cespugli di foglie. Sorrisi, compiaciuto: sapevo bene cosa era accaduto.
    Scagliai il pokémon ira verso la spiaggia, a velocità intangibile. << Grotle, Azione! >> ordinai, e la forma evoluta di Turtwig colpì nuovamente il suo bersaglio con il proprio corpo, scagliandolo via metri e metri al largo dell'oceano...

    ***



    << Quel Gyarados era una femmina? >> mi chiese Lucinda stupita mentre ci dirigevamo in direzione nord da Sabbiafine. << Esatto! >> risposi; << la sua aura era indubbiamente femminile >>, << ma... >> mi interruppe lei, << perchè ha attaccato la spiaggia? >>, sorrisi. Avevo la risposta pronta. << Mi sono informato! >> annunciai, << questo periodo appartiene alla cova delle uova per i Gyarados, e i bagnanti hanno disturbato quella poveretta che voleva soltanto accudire i suoi piccoli! >>

    Arrivammo ad un bivio in mezzo ad una prateria. Un cartello indicava che ad est si trovava Giubilopoli. Mentre ad ovest Giardinfiorito. Lucinda sospirò, piuttosto triste. La guardai; << non farmi ripetere le cose! >> la avvertii. Lei sorrise, << non preoccuparti! Starò bene! >> tese la sua mano destra verso di me. << Ci vediamo per strada >> salutò piano, annuii. Strinsi il suo palmo. << Ci vediamo per strada... >> mi voltai, e mi avviai verso est. Verso Giubilopoli. Verso il mio destino. Strinsi i denti. Abbandonare quella giovane era difficile, ma le avevo promesso di proteggerla. E il modo migliore di farlo, era quello di non lasciarla venire con me...
     
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    CAPITOLO 10
    UN GIOVANE MOVIMENTATO


    Un leggerissimo vento fece frusciare le foglie degli alberi che mi circondavano. Non appena mi sentii scompigliare i capelli, mi fermai e volsi lo sguardo al cielo ; Riolu, che mi camminava accanto, mi imitò, godendosi la freschezza di quella brezzolina. Le rare nuvole candide coprivano, di tanto in tanto, la stella che scaldava e che non concedeva tregua a nessuno che entrasse a contatto con i suoi raggi.
    Sospirai. Non mancava molto per arrivare a Giubilopoli. Ciò, tuttavia, non mi impediva di sentirmi piuttosto stanco: le tossine non mi lasciavano in pace, lo stomaco gorgogliava con veemenza sempre crescente, gli arti cominciavano a farsi pesanti. Non dormivo o toccavo cibo da due giorni, poiché ero convinto di raggiungere la città parecchio prima. Ma mi ero sbagliato di grosso.
    Rifeci il nodo alla fascia e tentai di calcolare quanto esattamente mancasse, ma ben presto accesi il Pokékron per pura pigrizia. Un chilometro e mezzo… mi stiracchiai il braccio destro, la cui spalla non tardò a produrre uno schiocco secco. Tirai su col naso e ripresi a camminare, controvoglia.
    Il respiro, dopo un po’, cominciò ad appesantirmisi; anche le gambe stavano iniziando dolere. Il tutto contribuiva a peggiorare e rendere più scuro il mio umore, già poco contento. Mi fermai nuovamente e inspirai un paio di volte, a pieni polmoni, nel tentativo di accumulare fiato utile e non sentire una fatica così assillante. Se avesse funzionato, il discorso sarebbe stato completamente diverso. Ringhiai dalla rabbia; mi aggiustai lo zaino e la spada sulle spalle, strattonando le spalliere con fare parecchio spazientito. Quando la mano destra riprese con le sue solite, stradannate fitte, smisi di fare qualsiasi cosa, se non fissare il terreno e combinare smorfie di dolore con smorfie di furia. << Ma quanto diavolo manca?! >> sibilai cercando di non sbottare in grida ed abbai parecchio più coloriti. Uno stormo di uccelli volò via terrorizzato quando sferrai un calcio al tronco di un albero, facendolo tremare violentemente. Sbuffai un’ultima volta, dunque mi costrinsi a dirigermi verso la metropoli.

    ***



    Entrai nel Centro Pokémon con il cappuccio sulla testa. Non volevo dare a vedere quanto fossi pallido, nonché furibondo. Ignorai ogni singolo sguardo torvo rivoltomi contro e salii direttamente nelle stanze, dove mi misi subito a dormire.

    ***



    Aprii gli occhi. Finalmente, mi sentivo riposato. Sbadigliai rumorosamente e guardai a destra, senza alzarmi, dove si trovava il Pokékron poggiato alla piccola scrivania: segnava le dieci e venti minuti. Sospirai lentamente, molto lentamente; dunque, mi alzai, finendo per svegliare Riolu, che, curiosamente senza discutere, si stiracchiò e balzò fuori dal letto a castello.
    Mi misi in piedi. Sbadigliai un’altra volta, con gli occhi socchiusi. Finalmente a Giubilopoli. Mi ci vollero altre quattro ore per arrivarci, e, per quanto riguardava le mie reazioni lungo la strada, basta immaginarsi il numero spropositato di imprecazioni sia sibilate che urlate che mi ero lasciato sfuggire nel corso dell’intero viaggio. Strattonai la testa a destra e a manca, in modo da far scricchiolare il collo; mi guardai la mano infetta: le bende erano scarlatte e giallognole, segno che dovevano essere cambiate immediatamente. Schioccai la lingua. Un’altra seccatura. Entrai in bagno e cominciai a lavarmi, per poi medicare quelle ferite maledette.
    Scesi nella sala principale. Era già bella che piena di gente; il brusìo provocato da tutte quelle persone, mi generò un’emicranea quasi all’istante. Mantenendo la pazienza, io e Riolu ci dirigemmo verso il bancone, anch’esso inesorabilmente gremito. Era ovvio che anche un Centro Pokémon avesse una propria ora di punta. << Ehi, c’ero prima io! >> gridò qualcuno alle mie spalle, dopo qualche decina di minuti in cui mi misi in fila, << ma cosa credi di fare, a sorpassarci tutti così? >> fece una ragazza; voltai la testa leggermente all’indietro: un giovane biondo e considerevolmente alto stava sbraitando a gran voce contro un omone che lo stava trattenendo dal sorpassare qualcun altro. << Lasciami andare! >> abbaiò di nuovo, sferrando una sonora ed esilarante testata all’altro, che, immediatamente, si ritrasse, tenendosi il naso sanguinante. Il biondo scattò in direzione del bancone, a testa bassa, in modo da riuscire a sfollare tutti coloro che gli si paravano davanti. Proprio nell’istante in cui mi stava passando accanto, allungai il piede destro verso l’esterno; il ragazzo inciampò clamorosamente. Agitava le braccia per riuscire a riprendere l’equilibrio; lo anticipai e spazzai completamente le sue gambe, dunque lo afferrai per la collottola, senza fargli male, e lo sollevai con nulle difficoltà. La mano sinistra affondata nella tasca dei pantaloni, la destra che teneva l’adolescente vistosamente turbolento.
    << Ma dai! Un altro?! >> sbottò quello; tutti gli Allenatori riunitisi lì mi guardavano, chi a bocca aperta, chi con gli occhi spalancati. << Mollami! Subito! >> il mio prigioniero mi sferrò un calcio all’addome. Incassai il colpo, senza sentire assolutamente nulla. << Falla finita! >> gli sibilai; si zittì. << Ti rendi conto dell’orrenda figura che stai facendo? Datti una diavolo di calmata… o vuoi che ci pensi io stesso? >>; il giovane ringhiò, spazientito. << E va bene! >> si rassegnò; annuii e feci per lasciarlo andare, ma, appena quello sentì le mie dita schiudersi dalla presa, scattò nuovamente verso il bancone. Lo riacciuffai e mi rivolsi verso i presenti: << chiedo perdono a nome suo! Vi assicuro che non vi disturberà più, nella giornata di oggi! >>, e mi diressi all’uscita. Il turbolento che mi inveiva contro e Riolu che mi seguiva zampettando.
    Non appena usciti dall’edificio, lo lasciai andare e rimettersi in piedi. << Amico, ma chi cavolo sei? E come fai ad avere questa forza mostruosa? >> mi chiese, mentre si massaggiava il collo arrossato. << Io sono Silvio Shine da Duefoglie >> risposi, << e come faccio ad avere questa forza non sono affari che ti riguardano >> aggrottai le sopracciglia in modo da apparire più severo. << Bella figura che hai fatto! Complimenti! >> lo canzonai, << sorpassare persone che, molto probabilmente, hanno pokémon messi peggio dei tuoi, indica soltanto che sei un maleducato e che non hai rispetto per coloro che ti stanno intorno! >> l’altro mi scoccò un’occhiata torva. Si rimise in piedi, dunque battè delicatamente i suoi vestiti con le mani per liberarli dalla polvere; << come ti permetti?! >> sbraitò, << non vedi che sono più grosso di te? Non provocarmi, o finirai per beccarti uno dei miei pugni! >> e mostrò la sua intera statura, provando la veridicità del suo dire: mi superava di quasi una testa e mezza. Sbuffai, sarcastico. << Più sono grossi… >> dissi a media voce, << … e più fanno rumore quando cadono! >> lo spintonai, facendolo cadere un’altra volta, esattamente sullo stesso punto di prima. << D’accordo! Va bene! >> fece, stancamente, << non ho speranza con te nel corpo a corpo! >> guardò Riolu e ghignò, << ascolta… >> si rimise in equilibrio sulle gambe, << io sono Barry Sparx e diventerò l’Allenatore più forte del mondo! >> agitò il pugno in aria, dando maggiore enfasi alla sua affermazione, senza riuscire a provocare alcuna reazione in me; << e allora…? >> gli chiesi, << lottiamo per vedere chi è il migliore tra noi due! >> il suo sorriso si allargò di molto, << ma ormai so che ti spaccherò in mille pezzi! >> mi grattai la testa ed abbassai lo sguardo, << sei un po’ troppo sicuro di te… >> gli scoccai un’occhiata di sfida, << e io non sopporto gli spacconi… >>, Barry mi guardò dall’alto in basso, con un’espressione di chi è sicuro di avere la vittoria in tasca.

    ***



    Il campo lotta del Centro Pokémon era sgombro, fortunatamente.
    Barry, dall’altra parte, stava saltellando sul posto per sciogliersi. Riolu, che aveva chiesto espressamente di combattere, stava a sua volta facendo delle flessioni all’interno della sua metà. << Bene! >> il movimentato battè le sue mani, << è ora di incomincia…! >>, << aspetta! >> lo interruppi, << non mi va di perdere troppo tempo, perciò questa sarà una lotta uno contro uno, chiaro? >>; << sei un codardo? >> mi canzonò, scossi la testa, accigliandomi per l’insulto, << no, è solo che ho parecchie cose da fare, e una lotta tra ragazzini mi sembra alquanto inutile! >> Barry si arrabbiò vistosamente, << ragazzino io?! Ma come ti permetti?! >>, << potremmo muoverci? >> sibilai a denti stretti.
    << Te la sei voluta… >> mugugnò in risposta, trasse una pokéball dalla sua cintura, << Prinplup, fa vedere a questo perdente come si combatte! >> scagliò la sfera. Dall’oggetto si liberò un grosso pinguino di colore celeste, con quelli che sembravano bottoni bianchi sulla pancia. Aveva il becco di una forma strana: infatti, dalla punta, si formavano due grossi anelli che si separavano diagonalmente, sormontavano la testa, ed andavano a riunirsi sulla collottola. Era la forma evoluta del mio Piplup. << “Perdente”, hai detto? >> mi massaggiai il polso sinistro in un impeto di rabbia, dunque sbottai: << Riolu, facciamo casino! >> il pokémon aura, con un balzo degno di nota, si parò a pochi metri dal suo avversario e lo guardò negli occhi. Eravamo pronti; << avanti! >> mi disse Barry, << fa tu la prima mossa, perdente! >> strinsi i denti, << Riolu, Attacco Rapido! >> e come un fulmine, il mio compagno, si slanciò con rapidità immensa e colpì Prinplup dritto allo stomaco. Per tutto quel tempo, il pokémon avversario non si era mosso di un centimetro. Riolu rimbalzò contro l’addome del pinguino, e finì per fare un volo a cupola di diversi metri. Il mio pokémon atterrò in piedi, una mano per terra, incolume, proprio come lo era quello di Barry. Mi accigliai mentre rimuginavo. E’ parecchio resistente… pensai, forse, non sarà facile come pensavo. Il turbolento sghignazzò, tutto divertito; << Prinplup, vai con Beccata! >> il pinguino si piegò in avanti, per diversi secondi. Che sta facendo…? Ma non feci minimamente in tempo a pensarci sul serio che, subito, il pokémon acqua era già addosso al nemico e lo colpiva con un devastante affondo di becco. << Maledizione! Riolu! >> vidi il piccolo indietreggiare piano, tenendosi il petto dolorante. La sua gabbia toracica sussultava ad ogni suo respiro; strinsi i denti: doveva fare davvero molto male, soprattutto se quello che ha subito era un attacco superefficace. Riolu gemette e crollò in ginocchio. Spalancai gli occhi nel realizzare che stava già cedendo. << Alzati! >> sbottai, il pokémon mi guardò di rimando, torvo. Sto esagerando…? Non appena quella domanda riflessiva mi si generò in testa, mi sentii mancare. Fino ad allora, mi ero curato soltanto di vincere le lotte che ingaggiavo, senza curarmi delle ferite riportate dai miei compagni, limitandomi semplicemente a consegnarli all’infermiera del Centro Pokémon. Strinsi i pugni. Ero un idiota.
    << Senti dolore, Riolu? >> gli chiesi piano, il piccolo sospirò ed annuì piano. << Vuoi arrenderti? >> si accigliò, questa volta, e scosse il capo mentre scopriva i denti in un ringhio arrabbiato; << sei disposto a stare al mio fianco, fino alla fine? >> chiuse gli occhi e, dopo un istante di puro silenzio, annuì in un gesto solenne. Chinai il capo, compiaciuto. Rialzai lo sguardo, questa volta rosso di ira. << Riolu! >> chiamai. Il pokémon si rialzò, in tutta la sua statura, più sicuro che mai; << siamo pronti! >> il tipo lotta si mise in posizione di guardia. Barry scoppiò in una risata di scherno; << davvero pensi che a questo punto riuscirai a rimontare? >> mi chiese, << non hai idea di ciò che… >>, << è esattamente quel che penso! >> sibilai zittendolo all’istante, ma sembrò scomporsi. << La metti così, eh? Prinplup, Pistolacqua! >> dal becco del suo pokémon fuoriuscì un proiettile di liquido perfettamente trasparente, direzionato contro il mio piccolo. << Non ancora… >> sussurrai a Riolu che tese i muscoli; l’acqua era ancora a due metri di distanza. << Aspetta… >> poi, quando il dardo era a cinquanta centimetri dal viso del pokémon aura: << ora! Palmoforza! >> con dei riflessi che avrebbero fatto impallidire un praticante di scherma olimpionico, Riolu mise la sua mano destra proprio sulla punta del Pistolacqua, lì fece esplodere la sua aura in quel classico abbaglio di luce dorata. L’acqua venne respinta e deviata, creando un’onda di goccioline che, a quell’altezza, se cadute nel punto giusto, sarebbero riuscite a stordire il nemico. Prinplup serrò le palpebre non appena tre di quelle schegge liquide gli ebbero colpito i bulbi oculari. << Ma che…?! >> inveì Barry, agitandosi non poco. Ghignai; << perfetto! E ora Spaccaroccia! >> Riolu si elevò, ritrovandosi in men che non si dica proprio sopra il capo del pinguino. Allora, lo colpì con un gancio destro dritto allo zigomo sinistro, scagliandolo via di una decina di metri. Il tipo acqua riuscì ad atterrare prima di andare a sbattere contro il muro del Centro Pokémon e a recuperare la vista, scuotendo il becco a destra e a manca. << Usa di nuovo Beccata! >> ordinò Barry, con una notevolissima nota di rabbia nella voce. Come prima, Prinplup si piegò. Realizzai cosa stesse facendo: era uno slancio iniziale. << Riolu, devi intercettarlo! Vai con un uppercut con Spaccaroccia! >> ribattei. Il mio pokèmon riuscì a piazzarsi proprio davanti al pinguino, mentre quest’ultimo stava rialzandosi per catapultarsi contro colui che lo alzò in aria con un sonorosissimo cazzotto. << NO! >> sbraitò l’Allenatore; << Attacco Rapido! >> mentre era ancora in aria, Prinplup venne colpito dalla spallata di Riolu, finendo a zampe all’aria e molto più in la’; << ancora una volta! Attacco Rapido! >> un’altra spallata stava per essere assestata, ma le mie intenzioni erano tutt’altre. Proprio mentre si trovava a venti centimetri dal suo bersaglio, ordinai al pokémon aura: << Palmoforza! >> allora poggiò il suo palmo destro sul ventre dell’avversario mentre erano entrambi ancora in volo. Il lampo dorato fu molto più luminoso di quanto mi aspettassi e il povero Prinplup, dopo il balzo a cupola che gli toccò affrontare, crollò a terra, esausto.

    ***



    Barry sbadigliò mentre camminava accanto a me. Lo guardai, inarcando un sopracciglio: se uno come lui comincia a sbadigliare o sta per svenire dalla stanchezza o è profondamente annoiato. << Diamine, mi piacerebbe fare un’altra lotta! >> appunto. << Abbiamo lottato due ore fa! >> gli rammentai, << e non tornare con questo discorso! >> era ancora pomeriggio presto e, in modo da impedire al giovine di combinare altro caos, decisi di accompagnarlo a fare una passeggiata per la grossa città di Giubilopoli, dove, a quanto pareva, non si dormiva mai. In quel momento stavamo oltrepassando la sede di Giubilo TV, con un bel cono gelato in pugno; sbadigliai anch’io: avevo ancora sonno. << Dimmi un po’, Silvio! >> mi fece Barry, << cosa? >>, << hai lo stesso cognome della Campionessa. Sei un suo parente, per caso? >>annuii; << sono suo fratello >> il ragazzo diede un’abbondante leccata al suo gelato, dunque riprese. << Non ha mai detto di avere altri parenti, durante le conferenze stampa oppure le interviste che ha rilasciato… >>, fece spallucce, << suppongo che volesse tenere il segreto per se’! >> assentii.
    Ci fermammo di colpo davanti un negozio di video ludica, dove Barry spiaccicò il naso contro la prima vetrina che ebbe individuato. << Ti piacciono i videogiochi? >> mi chiese, ancora con la faccia quasi fusa al vetro. I suoi occhi schizzavano da una parte all’altra, nel tentativo di individuare i titoli più interessanti. Ridacchiai, << sì, mi piacciono molto, ma non li trovo esattamente il re dei passatempi. Preferisco leggere, oppure allenarmi nelle arti marziali >> risposi, ottenendo un’occhiataccia da parte dell’altro, << amico, hai diciotto anni, sei ancora giovane! Non perdere tempo con quella robaccia da vecchi! >> sbraitò poi; sospirai pazientemente, << sarà forse che sono leggermente più maturo di te! >> Barry si rialzò di scatto e mi guardò fisso negli occhi, tutto serio all’improvviso. << Mi stai dando del bimbetto? >> sibilò, << non ho detto questo! >> gli schioccai le dita davanti agli occhi per fargli distogliere lo sguardo, << dico semplicemente che hai bisogno di essere un po’ più responsabile, e non lanciarti a testa bassa verso le situazioni più difficili >> gli diedi un pacca sulla spalla mentre lo sorpassavo, << dai, andiamo! Non mi va di rimanere qui impalato! >> il giovine si rianimò e tornò a seguirmi.
    << Guarda lassù! >> mi fermò Barry, nuovamente, mentre indicava in alto. Seguii il suo dito puntato: una minuscola mongolfiera di colore bianco sorvolava i palazzi ad un’altezza ridicola; tre aure vi erano passeggere, una delle quali era particolarmente minuta. D’istinto, mi massaggiai il polso sinistro. Qualcosa non andava. << Non mi piace. Andiamo via… >> misi la mano sulla spalla del ragazzo accanto a me e tentai di tirarlo via da dove si trovava, ma lui non volle sentire ragioni; << sei scemo? Guarda quanto è figo! >> abbaiò a voce ancora più alta, attirandosi parecchi sguardi curiosi. Sibilai un’imprecazione. << Barry, dobbiamo… >> qualcosa mi colpì violentemente alla testa. Crollai in ginocchio, sentendomi intorpidito; vidi una donna parecchio alta accingersi a colpire anche il mio compagno. Tentai di allarmarlo, ma un altro colpo mi costrinse a stendermi e a farmi avvolgere da una fitta tenebra…

    ***



    Rumori di passi vicini, leggermente attutiti da un tappeto d’erba. Voci confuse. Qualcuno toccò il mio zigomo sinistro, una, due, tre volte. Sentii solleticarmi la mano. Un insetto…? Un insetto! spalancai gli occhi di botto e presi a scuotere violentemente il palmo incriminato. Con orrore, scoprii che quella era la destra e solo più tardi mi resi conto delle gigantesche ondate di dolore che mi si generavano. Inspirai profondamente, seduto su quel praticello. Alzai gli occhi: ero in un boschetto particolarmente fitto. La luce solare veniva filtrata a malapena da quelle foglie. Il sangue prese a pulsarmi violentemente nelle orecchie, manifestando la scarica di adrenalina. Mi alzai lentamente; riuscii a fatica a rimanere in equilibrio. Mi grattai la testa con la sinistra, mentre socchiudevo gli occhi. Ma quando li riaprii, una miriade di imprecazioni mi esplose nella mente: il Pokékron e, di conseguenza, tutti i pokémon erano scomparsi. << No, no, no… >> controllai dappertutto in quell’area, senza successo. Non riuscii a trovare né il Pokékron, né lo zaino, né la spada. << MALEDIZIONE! >> gridai a tutta gola. Ringhiai furibondo. Un gemito lì vicino mi riscosse; sentii quale aura fosse: Barry. Barcollai verso il cespuglio che mi stava davanti; lo oltrepassai e lì vidi il giovine steso a terra, senza sensi. Mi inginocchiai accanto a lui e presi a scuoterlo, nel tentativo di svegliarlo; sfortunatamente, non voleva saperne di riaprire quelle stramaledette palpebre. << E svegliati, porca miseria! >> gli sferrai un ceffone, a quel punto si decise a rialzarsi in un sussulto. << Ma… >> balbettò poi, << ma dove siamo…? >>, << non ne ho idea >> sussurrai. << E DOVE DIAVOLO SONO TUTTI I MIEI POKE’MON?! >> si guardò attorno, preoccupato, << E IL MIO ZAINO? E IL MIO POKE’KRON NUOVISSIMO?! >>, << calmati! >> latrai e quello si risedette, mugugnando qualcosa ogni due secondi. Presi un po’ di fiato. La testa pulsava ancora. Dunque, chiusi gli occhi e mi immersi completamente in me stesso; in quel modo, sarei riuscito ad amplificare il raggio d’azione della mia abilità di percezione della forza spirituale. I ladri, perché ero sicuro che di ladri si trattasse, non potevano essere riusciti a fuggire lontano. Avrei potuto individuare anche l’aura di Riolu, nonostante fosse contenuto nella sua pokéball. Barry continuava a parlare a voce molto alta, minacciando di distrarmi; comunque, mi sforzai per riuscire a mantenere la mente lucida.
    Passarono due minuti… E la trovai. Spalancai gli occhi e mi alzai in piedi di scatto. << Che succede? >> sbottò il biondo; ringhiai. << So dove si trovano i ladri! Andiamo! >> presi a correre in direzione sud, ignorando ogni singola puntura che andava a lacerarmi il corpo. Barry, dal canto suo, sembrava sul punto di scoppiare di energia, lo provava il fatto che continuava a mitragliarmi di domande e richiami. Mi dovetti trattenere dal girarmi e sferrargli un pugno dritto sui denti.
    << Guarda un po’ che bel bottino! >> sentii esclamare; d’istinto scivolai dietro un cespuglio e tesi l’orecchio in ascolto. Il giovine che mi si accompagnava si avvicinò e stava per prendere fiato in modo da urlare un’altra delle sue inutili domande, ma io lo interruppi tirandolo per il colletto della sua camicia e finendo per costringerlo a mettersi in ginocchio a sua volta. La voce che avevo sentito era decisamente quella di un uomo sulla trentina. << Credo proprio che Giovanni ci darà una bella ricompensa, per tutti questi bei pokémon! >> questa volta, fu una donna a parlare; << in ogni caso, è piuttosto bizzarro che un bamboccio come quello si portasse questo gioiellino di spada, non credete? >> quella… non fui esattamente sicuro a chi appartenesse, ma appariva maschile.
    << Sono loro? >> sibilò Barry nel mio orecchio sinistro. Annuii; allora quello si alzò, battendosi il pugno destro sulla mano sinistra. << Bene! Allora… >> non fece in tempo a terminare la frase che lo tiravo di nuovo giù. << Ricordi cosa ti ho detto di fronte a quel negozio? >> gli chiesi a bassa voce; il ragazzo si accigliò. << Sì, che sono un bambino… >> rispose, sdegnato. << Ti ricordo che non volevo dire questo! Ti ho detto che devi assumerti le tue responsabilità, ora che sei un Allenatore, e lanciarsi a testa bassa contro quelli là non è esattamente un’azione responsabile, bensì stupida… >>, << ma non me ne…! >> stava sbottando. Allora gli sferrai un pugno dritto alla fronte, stordendolo all’istante. Si accasciò a terra, beatamente addormentato. << Perdonami… >> mi alzai, per poi attraversare quell’ammasso di foglie.
    Messi lì a discutere animatamente, ci erano difatti un uomo dai capelli quasi grigi e vestito con una divisa bianco latte, una donna dagli oblunghi capelli rossi e vestita allo stesso modo ed un pokémon minuto, rassomigliante ad un gatto. Un Meowth…? Mi feci avanti. << Ehi, voi! >> li richiamai; tutt’e tre si volsero nella mia direzione. Un istante dopo sussultarono vistosamente nel vedermi lì, già ripresomi da quei due dolorosi colpi. << Tu sei il bamboccio! >> esclamò lui; una smorfia di disgusto deformò il mio viso. Mi feci schioccare le nocche. << Sono sicuro che riusciremo ad arrivare ad una soluzione diplomatica… >> sibilai, << oppure preferite che ci pensi io stesso? >> il pokémon mi guardò storto. << Chi ti credi di essere? >> esclamò il Meowth; parla, addirittura? Inutile continuare a parlarne. Ghignai. Concentrai una piccola parte della mia aura sul palmo sinistro, dunque scagliai contro di loro una sfera invisibile. La donna stava per scoppiare a ridere, ma sono sicuro che impallidì quando percepì l’onda d’urto che avevo creato scagliarli via lontano decine e decine di metri. << Silvio Shine >> dissi poi, << un nome che fareste meglio a ricordare… >>


    ***



    << Ti ringrazio molto per aver recuperato anche la mia roba! >> esclamò Barry mentre lo riaccompagnavo al Centro Pokémon, << ma dovrei malmenarti per questo! >> e si indicò la fronte arrossata e gonfia nei punti in cui era entrata in impatto con le mie nocche. << Sai che non avresti speranze! >> gli rammentai; ridacchiò. << Sì, hai ragione… >> si grattò il capo. << Spero di incontrarti ancora! >> mi disse, stranamente umile. Sorrisi. << Ci vediamo! >> lo salutai dandogli una pacca sulla spalla.
    Mi incamminai verso est, a partire da Giubilopoli. Il prossimo obiettivo era la Miniera Braccioferro.

    Edited by SilvioShine - 26/7/2015, 15:00
     
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    CAPITOLO 11
    GUERRIERO AUREO

    Abbassai lo sguardo mentre strizzavo gli occhi, in modo da riuscire a vedere qualcosa in più oltre le tenebre, debolmente diradate dalla torcia elettrica tascabile che stringevo nella mano sinistra: un enorme crepaccio largo sedici metri si estendeva per l’intera lunghezza della caverna; espirai lentamente ed una nuvoletta di condensa non tardò a prendere forma dinanzi al mio viso. Rialzai gli occhi mentre sollevavo anche la torcia, in modo da illuminare il tetto: oltre a qualche pipistrello addormentato ed una stalattite, non vi era altro di interessante. Quel buio, tuttavia, era davvero opprimente. In lontananza si potevano sentire chiaramente i picconi al lavoro e qualche sporadica imprecazione dei minatori indaffarati. La miniera Braccioferro era vibrante di attività, nonostante le ripetute pause silenziose facessero presagire l’esatto contrario; avevo preferito evitare gli affaticati lavoratori in modo da non venire intralciato durante il tragitto verso MIneropoli, anche perché ero intenzionato a verificare in quale modo mi sarei potuto allenare, lì. Ripresi a camminare in direzione nord, verso l’uscita del cunicolo; i miei passi risuonavano sinistri, tra quelle mura naturali, facendomi sentire ancor più isolato. Mi agitai un po’: con i sensi talmente limitati ero indifeso in ogni momento, vulnerabile all’attacco di un qualsiasi nemico ammantato nell’oscurità. << Maledizione…!>> sibilai quando il mio piede destro inciampò in una roccia, mandandomi quasi a sbattere contro una grossa stalagmite; sbuffai violentemente mentre mi scansavo dall’ostacolo e recuperavo i passi, più cauto di prima, verso destra, quando sentii della sabbia cadere alle mie spalle, seguita da alcune pietruzze. In un impeto di adrenalina, mi voltai, sguainando la spada ed assumendo un’improvvisa posizione di guardia. Sollevai la torcia e scrutai tutte le ore dodici: nessuno. Con ancora il cuore in gola, rinfoderai lentamente l’arma bianca. Perché sono così nervoso? Mi chiesi; mi avviai nuovamente, e questo buio non aiuta di certo…
    Assestai un paio di manate alla lampadina, che stava già cominciando a lampeggiare indebolita. << No, non mi sono portato altre pile…! >> agitai la torcia un’ultima volta e, fortunatamente, illuminò di nuovo la parete di fondo. Schiarii la gola, subito dopo aver soffocato uno starnuto causato dalla polvere liberatasi dal soffitto.
    Per diverso tempo l’unico suono percettibile fu l’eco dei miei passi, che andava a pari ritmo con il mio cuore, il quale battito era udibile come un minuscolo tamburo in lontananza.
    Un cupo boato scosse l’intera miniera; mancò poco che perdessi l’equilibrio, tanto che mi inginocchiai, poggiano anche una mano a terra, al fine di non cadere e ferirmi inutilmente. I miei occhi schizzarono d’istinto verso l’alto: non vi era alcuna stalattite, tuttavia, l’intera struttura naturale, a causa dei violenti tremiti, sembrava prossima al venir giù. Urla si generarono dalle viscere della caverna. Che razza di carica hanno fatto saltare?! Mi chiesi, mentre, con estrema lentezza, mi rimettevo in piedi; fu allora che percepii una grossa aura alla mia sinistra. Puntai di scatto la torcia in quella direzione, nel tentativo di illuminare il nemico: non vi era nessuno che possedesse una tale energia spirituale. Una gocciolina di sudore mista a polvere mi scivolò per l’intera lunghezza del viso; espirai lentamente. Mi sentivo tremare con violenza, per quanto ero teso. Imprecai a denti stretti. Lì sotto era fin troppo pericoloso – era evidente -, perfino per dei minatori forzuti e temprati come quelli che erano, ancora una volta, piombati nel silenzio più assoluto, lasciando ai picconi il compito di sfogare la loro frustrazione. Strinsi la presa sulla torcia e le nocche scricchiolarono; l’eco prodotta risuonò come ciottoli caduti sulla pietra. Imprecai ancora. Quanto diavolo manca, ancora? Tastai il terreno con la punta del piede, insicuro sul proseguire. Strizzai gli occhi un paio di volte, per pulirli dal sudore. Mi passai le dita fra i capelli, nervoso, e controllai il Pokékron, il cui schermo mi abbagliò all’istante. Le undici e venti minuti… era trascorsa un’altra ora di inconcludenti ricerche, con il sottoscritto totalmente disorientato. Mi fermai, la schiena dolorante; feci vagare le pupille per le tenebre, sentendomi pervadere da un lontano senso di panico. Addentrarsi nelle parti più profonde di una caverna non meglio esplorata non era stato esattamente un colpo di genio. Chiusi le palpebre e strinsi i denti non appena mi sentii salire alle tempie una sgradevole fitta di dolore. Abbandonai il braccio lungo il fianco; ero fin troppo agitato, impaurito, ma non a causa del buio, delle esplosioni improvvise o del rischio di perdermi lì, bensì per la sensazione di essere osservato e in qualche modo minacciato da una creatura famelica, che squadrava attentamente ogni mio spostamento, pronta a colpire, uccidere e…
    … divorare…
    Un brivido gelido mi percorse la schiena, nel constatare quella possibilità; la mano infetta, però, non era d’accordo ed espresse il suo disappunto con l’ennesimo, insopportabile accesso di dolore, questa volta in modo decisamente più acuto del solito. Mi sfuggì un ringhio di inutile sopportazione e caddi in ginocchio, tenendomi il polso destro. Le palpebre serrate, proprio come i denti, nel tentativo di non cedere a quell’orribile sensazione e al desiderio di sguainare la spada per mozzarmi l’intero arto. Trattenni il fiato, in attesa.
    Passò un minuto…
    Buttai fuori l’aria e ne tirai dentro altra…
    Passarono altri sessanta secondi…
    Non riuscii più a trattenermi e buttai un urlo assordante, caddi con le spalle per terra. La spina dorsale che si inarcava in ogni direzione, con violenza inaudita, come a volersi liberare dalla propria prigione di carne e fuggire da quello squallido dolore. La mia aura si liberò dal vincolo dello spirito e avvolse il mio corpo; sentivo quella fiamma sulla pelle solamente quando mi apprestavo ad affrontare un combattimento particolarmente arduo, su mio ordine e volere. Quell’evento, tuttavia, era del tutto involontario, causato dalla reazione della mia mente, che ha ceduto alla sofferenza.
    Mi sforzai di trattenermi; era impossibile. Urlai ancor più forte, per quanto improbabile, liberando altra energia spirituale. Sentii il suolo tremare sotto le mie spalle; grida di panico provennero dall’altra parte della miniera, ma giunsero lievemente alle mie orecchie.
    Dopo ulteriori minuti – oppure ore, non ne ho idea -, mi ritrovai lì, steso a terra, a fissare le tenebre; il braccio formicolante abbandonato lungo il fianco, completamente immobile, tanto da sembrare quello di un manichino di plastica. Mossi le gambe, mentre gemevo a mezza voce; ne ho veramente abbastanza, di ‘sto veleno… mi lamentai tra me e me, dunque tentai di rimettermi in piedi. Puntai i talloni in terra, le mani anche, in modo da mantenere l’equilibrio, e spinsi con tutte le mie forze. Con estrema lentezza, riuscii a sollevare tutto il mio peso e a rimetterlo in equilibrio sugli arti inferiori; subito la testa pulsò ed un capogiro mi fece oscillare. Poggiai le spalle al muro, tenendomi il capo tra le mani. Socchiusi un occhio; respiravo pesantemente, in attesa. << D’accordo, riproviamoci… >> raddrizzai la schiena e rimasi immobile per un po’. Annuii, sollevato: stavo meglio.
    Ma una cosa non era cambiata, in quel frangente: il buio. Sospirai; era davvero noioso. Mi guardai attorno, convinto di aver abbandonato la torcia a terra, lì, nei dintorni. Insomma, non poteva essersi mica allontanata da sola, no? Continuai a far balzare lo sguardo di qua e di là, finchè non scorsi un curioso lampeggìo alla mia sinistra; mi avvicinai, attento a non inciampare, per poi raccogliere la quasi defunta fonte di luce. Voltai lo strumento, cercando la lampadina, ma, non appena l’ebbi girata in direzione del mio viso, questa esplose con uno scoppio vitreo, lasciandomi, una volta per tutte, nell’oscurità di quel luogo. Sorrisi ironicamente; feci scattare l’interruttore un paio di volte, pur sapendo che ormai l’utilità di quell’oggetto era ascesa. Ovviamente, non ci fu reazione alcuna. Espirai a denti stretti. << Ottimo! >> sbottai, << e ora come diavolo faccio ad uscire da qui?! >> scagliai la torcia dritto dinanzi a me, a tutta potenza. Presi un respiro profondo e mi massaggiai le tempie con movimenti impazienti. << Forse >> sussurrai, più per consolarmi, << potrei usare l’aura per fare un po’ di luce… oppure… >>
    Poi lo sentii: un cupo ringhio minaccioso si generò a pochi centimetri dal mio naso. Il sangue mi si gelò quando riconobbi la gigantesca aura di poco prima avvampare di pura furia omicida. Non feci in tempo a capire come avrei dovuto reagire, che, con un urlo devastante, la creatura che avevo avuto la sfortuna di incontrare mi sferrò un colpo dritto all’addome, scagliandomi all’indietro, contro la parete; questa si ridusse immediatamente in briciole, ma non fu sufficiente a fermare l’impatto. Di botto, spalancai gli occhi serrati; concentrai tutta la mia aura al centro del corpo. Questo fu sufficiente a fermarmi a mezz’aria, letteralmente in volo. Guardai in direzione del nemico, che non sembrava essere troppo lontano. Aspetta, questo è calore… guardai verso l’alto: ero all’aperto e il sole mattutino non aveva tardato a cominciare a scaldarmi le membra. Accolsi la luce con un ampio sorriso, che però si spense presto al pensiero di un avversario pericoloso in avvicinamento. Tornai a guardare in basso, a terra, mentre scendevo di quota, fino a toccare il prato di soffice erba. Il terreno venne scosso da quelli che sembravano enormi passi. Un suono ritmico quanto preoccupante; si limitava soltanto a far presagire le dimensioni del predatore che andava approcciandomisi. Venti secondi passarono, dunque una figura alta quattro metri apparve dalla breccia aperta poco prima. Nonostante la considerevole distanza tra noi, potevo esaminarlo perfettamente e con tutta calma: sorvolando l’altezza, le dimensioni dei suoi arti tradivano l’enorme potenza contenuta in essi; dalla forma, somigliava molto ad una sorta di tirannosauro coperto di una corazza metallica dalla testa fino alla punta della coda. Non esistevano mostri simili in natura, ne ero sicuro. Digrignai i denti, nel prepararmi all’inevitabile scontro. Quando strinsi i pugni per caricarmi di determinazione, una voce squillante proveniente dalla mia sinistra mi fece sobbalzare. << Pokédex: dati Pokémon numero trecentosei. Analisi completata con successo. Aggron, il Pokémon Corazza! E’ la forma evolutiva definitiva di Aron. Estremamente aggressivi e territoriali, gli Aggron tendono a dominare intere aree montuose, che difendono da qualsiasi tipo di intruso, anche con la vita, se necessario! >>
    Era il Pokédex. Nonostante non ricordassi affatto di averlo avviato, almeno mi aveva rivelato dettagli importanti sul mio prossimo avversario. Allora è un Pokémon… pensai, lo squadrai meglio, allora sarà meglio non ucciderlo… qui mi serve aiuto! Tirai fuori la Pokéball che mi interessava, ma alla fine esitai: quello che stavo per usare era un Pokémon abbastanza potente? E se così non fosse, il mio piano di salvaguardare la vita dell’Aggron sarebbe andato in frantumi? Strinsi la sfera, combattuto.
    Non ho scelta… perdonami…
    << Riolu, andiamo! >> scagliai la ball, che liberò istantaneamente il Pokémon in essa contenuto. Riolu atterrò, per poi schizzare alla mia destra, pronto a supportarmi. << Ehi! >> lo richiamai, mi guardò, << sicuro di farcela? >> annuì e tornò a guardare il Pokémon d’acciaio.
    Liberai tutta l’aria contenuta nei miei polmoni, dunque assunsi una posizione di guardia. << Va bene! >> caricai lo slancio iniziale, << facciamo casino! >> entrambi ci scagliammo contro il Corazza, pronti a lanciare attacchi quanto più potenti che potevamo. Mi elevai fino all’altezza del cranio dell’Aggron e lì sferrai un diretto destro accompagnato dall’inerzia del mio corpo; il Pokémon ghignò alla faccia mia, quando si fu reso conto che non riuscivo a fare di meglio. Sbuffai, gli occhi spalancati, i denti scoperti in un ringhio furibondo. Un improvviso spostamento d’aria da destra mi costrinse a inarcare d’istinto la schiena all’indietro, riuscendo così ad evitare un pericoloso colpo d’artiglio. Poggiai violentemente le mani a terra, eseguii una ruota e tornai velocemente in piedi, pronto a riprendere l’appena iniziata lotta; Riolu, invece, tentava di sfruttare le braccia della sua controparte in tutti i modi, al fine di proiettarlo. Tuttavia, la differenza di stazza era enorme, perciò non era assolutamente fattibile, soprattutto per un Pokémon poco esperto come l’Aura. Con un grido di battaglia, assaltai nuovamente Aggron, questa volta direttamente, con un calcio al ventre. Scartai verso sinistra, per evitare un altro fendente, mi arrampicai sul braccio e, come una trottola impazzita, sferrai altri due colpi di gambe alla sua mascella; in un istante scesi a terra, per poi sferrare una gomitata al petto del Pokémon Acciaio, subito dopo gli falciai la zampa sinistra, senza però riuscire a smuoverla; deviai debolmente un pugno, solo per scatenare un manrovescio sinistro in giravolta dritto al punto dove ero convinto si trovasse lo stomaco. La bocca dell’Aggron si schiuse in un rumoroso gemito; non riuscii a fare a meno di ghignare. << Oh, questo l’hai sentito, eh?! >> lo canzonai, dunque eseguii una giravolta, per colpirlo con un calcio sinistro nello stesso punto, costringendolo a piegarsi ancor di più per il dolore.
    Convinto di avere ormai la vittoria in tasca, tornai all’attacco, più energico di prima, abbassando consecutivamente la guardia. Grosso errore.
    Sentii un violento colpo alla nuca che mi costrinse ad eseguire un mezzo salto mortale in avanti, voltando la schiena all’avversario. Non passò altro che una mera frazione di secondo prima che qualcosa di estremamente pesante si abbattesse sulla mia schiena, scagliandomi via. Ma non riuscii a sorvolare quaranta centimetri, che mi sentii venir tirato indietro, ritrovandomi poi sotto un gigantesco pugno di metallo. Il tempo quasi rallentò, secondo le mie percezioni. Quando le dita finalmente mi toccarono all’addome, l’impatto fu dolorosamente forte. Immediatamente, i miei polmoni si svuotarono, le ossa gemettero, e la mia schiena e muscoli si inarcarono, si tesero e quasi si strapparono, in risposta all’improvvisa reazione scaturita dal colpo. Non era ancora finita. Infatti, un altro violentissimo impatto mi scagliò via di una quindicina di metri di distanza. Rimbalzai diverse volte sul suolo, come una bambola di pezza; non appena mi fui ripreso, piantai i piedi a terra, interrompendo totalmente la traiettoria ed annullando la forza cinetica impressami. Caddi su un ginocchio. Il petto, l’addome, ma soprattutto le ossa, mi facevano malissimo. Mi toccai la spalla sinistra con la mano destra, ma quando il mio palmo si poggiò sulla carne, un’enorme fitta si propagò da quel punto fino al resto del corpo. Imprecai: avevo la scapola sinistra e diverse costole incrinate. Fissai il terreno, il respiro pesante; Riolu stava ancora combattendo, lo sapevo, nonostante non lo stessi guardando. Strinsi i pugni, e la mano infetta rispose prontamente, costringendomi subito dopo a stringere i denti.
    Mi tirai su a fatica, per poi alzare lo sguardo. Un enorme schizzo di liquido scarlatto mi insozzò la parte sinistra del viso. Sangue? Lentamente, volsi lo sguardo in quella direzione: dalla spalla, spuntava quella che sembrava essere una sorta di lancia di pietra lunga sessanta centimetri, e, a giudicare dalla profondità della ferita, mi aveva trapassato da parte a parte, anche se di poco. Afferrai l’oggetto con la destra, ancora incapace di concepire quel che stava accadendo allora, per poi muoverlo appena. Un gemito soffocato mi sfuggì di bocca non appena il materiale della lancia ebbe graffiato le carni, l’equivalente di tentare di pulirsi un taglio infetto con della carta vetrata. Mi piegai in avanti; sentivo le forze venirmi meno, a causa della perdita di sangue. Scoccai un’occhiata ad Aggron. Stava puntando il braccio destro verso di me, con un ghigno malevolo stampato in volto. Ringhiai debolmente; sei stato tu…
    Una figura minuta indistinta colpì il PoKémon alla mascella, attirandone l’attenzione, il quale, furibondo, cominciò a mulinare gli arti superiori, nel tentativo di colpire a morte lo sciocco avversario che aveva osato distrarlo dalla sua preda. Riolu scattò alle spalle del nemico, dunque vi si scagliò contro, pronto a scatenare un attacco Spaccaroccia. Ma Aggron lo aveva previsto; dunque si girò di scatto all’ultimo istante, un montante destro pronto a schiantarsi con il bersaglio… e lo fece. Il Pokémon Aura incassò il colpo e finì per decollare di almeno una decina di metri; il Corazza sollevò entrambe le braccia fin sopra la testa e, quando il piccolo gli fu proprio davanti al naso, le abbatté con potenza inaudita, scagliando via il mio indifeso compagno, il quale si era accasciato a terra e non si muoveva più.
    << Riolu…? >> sussurrai. Aggron si avvicinò con lentezza straziante al povero Pokémon azzurro. Lì, sollevò la zampa posteriore destra, al fine di calpestarne la minuscola testa.
    I miei occhi si spalancarono, l’adrenalina entrò in circolo, ridandomi nuova energia. Spezzai la lancia con un unico movimento della mano destra, per poi scagliarmi disperatamente contro il gigante di metallo, nel tentativo di salvare il povero Riolu, uno degli unici amici che avessi mai avuto, nonché uno dei più fidati di sempre. Cacciai un gigantesco grido di battaglia mentre volavo in direzione dei due, sfruttando la mano destra per preparare la più potente Tecnica Ninja presente nel mio repertorio… Ma accadde qualcosa.
    Una luce gigantesca prese vita, esattamente nel punto in cui si trovava il Pokémon Aura. Mi fermai di colpo, gli occhi coperti dal braccio sinistro; non è vero… se stava accadendo quello che mi stavo immaginando in quel momento, allora le carte in tavola erano totalmente cambiate. Ghignai. Era finita.
    Quando la luce si fu finalmente diradata, si rivelò alla vista: una creatura canina antropomorfa bipede, di colore prevalentemente azzurro e nero; a partire dal collo fino al limitare del bacino, era coperto da una sottile e soffice pelliccia bionda; sul petto era possibile notare un grosso pungiglione di metallo, proprio come sul dorso delle mani; gli occhi erano diventati molto più determinati, ma non avevano cambiato colore dal loro consueto rosso; i pantaloncini erano un altro fattore totalmente immutato dalla sua forma precedente, mentre la sua altezza era considerevolmente aumentata.
    Prontamente, il Pokédex strillò: << Pokédex: dati Pokémon numero quattrocentoquarantotto. Analisi completata con successe. Lucario, il PoKèmon Aura! E’ la forma evolutiva definitiva di Riolu. Sono creature molto orgogliose e fedeli al proprio Allenatore. Inoltre, la loro capacità di percezione dell’Aura, rispetto ai Riolu, è decuplicata! >>
    Lucario era in ginocchio, lo sguardo a terra, imperterrito. Aggron, tuttavia, non si era lasciato intimidire dall’evoluzione improvvisa ed abbattè il piede dritto sul viso del malcapitato. Il Pokémon Aura alzò la testa di scatto e bloccò l’attacco con il braccio destro, senza alcuno sforzo. Ghignò nel vedere il suo collega di Tipo Acciaio rimaneva totalmente sconcertato dall’enorme cambiamento nel suo minuscolo avversario, che poco prima aveva sottomesso come una nullità. Ora, Lucario aveva il coltello dalla parte del manico… e non aveva alcuna intenzione di trattenersi dal pugnalare. Si alzò in piedi, tenendo sempre l’arto dell’Aggron, e, con un unico grugnito di sforzo, lo mandò a gambe all’aria; in un millesimo di secondo, si proiettò proprio sull’addome del poveraccio. Lì, sollevò la mano destra fin sopra il capo: il palmo cominciò a brillare dell’aura del Pokémon, fino a formare una trasparente sfera azzurra vibrante di pura energia. Sempre in aria, scagliò la Forzasfera contro Aggron, colpendolo in pieno, infliggendogli danni a dir poco letali.
    Lucario sfruttò l’onda d’urto generata dalla propria mossa per farsi sospingere e atterrare proprio alla mia destra. Lo guardai e lui ricambiò lo sguardo. Ci sorridemmo a vicenda, dunque volgemmo entrambi gli occhi verso il Pokémon d’acciaio che stava rialzandosi ancora una volta. << Sei pronto? >> gli chiesi piano. Lucario ringhiò, agguerrito. << Allora >> sollevai la mano destra, mostrando il palmo al cielo, dunque la abbassai fino all’altezza della vita, chiudendola ad artiglio, << facciamola finita! >> cominciai a concentrare tutto il mio Chakra nello stesso. Una grossa ondata d’aura si propagò dal mio Pokémon ed invase il mio corpo, in modo da donarmi rinnovata forza.
    Comprimi e… trattieni… comprimi e… trattieni… comprimi…
    << … E TRATTIENI! >> gridai. Nella mia mano destra si era formata una sfera color acqua, dal diametro di sei centimetri. Piccole onde concentriche al suo interno ne testimoniavano la potentissima rotazione. << Heh, e io che credevo di essermi arrugginito! >> caricai le gambe e cominciai a correre verso l’Aggron; il Pokémon non sembrava mostrare segni di vita, nonostante fosse in piedi e mi stesse fissando. Non sembrava possedere neanche un’aura…
    << BECCATI QUESTO! RASENGAN! >> lo colpii con la tecnica della sfera spiraleggiante; trattenendolo, sollevai bruscamente il malcapitato, finendo per squartarlo brutalmente.
    Disfeci il Rasengan ed osservai il macello che mi si presentava davanti. Non c’era sangue. Non c’erano organi sventrati. << Ma che diavolo era? >> mi chiesi quando Lucario mi ebbe raggiunto; quello che riuscivo a scorgere era un ammasso di circuiti e cavi, non un organismo di un essere vivente. << Era una specie di automa… Forse è per questo che era così potente… >> poggiai un ginocchio a terra, in modo da esaminare meglio i resti del costrutto… All’improvviso, sentii come un pugno allo stomaco e mi accasciai su un fianco. Lucario accorse in mio aiuto, senza però sapere cosa fare. Ho usato tutto il Chakra… Non devo addormentarmi… Non devo addormentarmi… Non devo… Non… No… Gli occhi mi si chiusero e persi i sensi…

    ~~~



    La ragazza incaricata di sorvegliare Shine sbuffò, ironica e canzonaria, mentre osservava la fine dello scontro tra il Ragazzo Leggendario e quell’inutile ammasso di ferraglia. Forse, alla fine, era davvero lui, proprio come diceva Cyrus; o magari, quella sottospecie di caffettiera era talmente inutile da poter venir distrutta da lei stessa, che era una semplice umana.
    Si eresse in tutta la sua statura e deviò lo sguardo dal mirino del suo fucile di precisione. Si trovava a più di duecento metri da dove si era consumato il combattimento. Da lì, sarebbe riuscita a colpire la testa di una formica, grazie al rigido addestramento che aveva sostenuto. Rinfoderò il lungo fucile sulle spalle, mentre un forte vento le scompigliava i capelli rossi e la divisa da tiratore scelto. Frugò nelle tasche della giubba e ne trasse il cellulare, dal momento che da lì la radio non riusciva a ricevere, tantomeno a trasmettere.
    << E rispondi! >> sbraitò. Finalmente, chi stava cercando si degnò di sollevare la cornetta. << Aspettavo la tua chiamata… Com’è andata? >> dall’altra parte del filo, squillò la voce di un vecchio. << Il Leggendario è riuscito ad abbattere il tuo inutile Aggron sperimentale! >>, << cosa?! >> la cecchina allontanò l’apparecchio dal timpano, per non farsi assordare dall’urlo di quel pazzo che Cyrus aveva avuto il coraggio di assumere come scienziato. Pessima scelta, si ripeteva sempre. << E’ impossibile! Quell’esemplare era invincibile! Era… >> lei sbuffò ancora, << non rifilarmi le tue stronzate da piccolo chimico, idiota che non sei altro, e riferisci al capo! >>, << almeno sei riuscita ad eseguire una scansione facciale? >> le chiese. Sospirò, << no… >> lui ridacchiò di gusto, << allora, non sono l’unico ad aver fallito, Kadan! >>, << ora che si fa? >>, << e se lo facessimo seguire dalla nostra recluta? Ha detto di aver visto in faccia il Leggendario e di avergli addirittura parlato! >>
    Kadan ci pensò un attimo. << Sì, è una buona idea… >> e si voltò per andarsene.
     
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    CAPITOLO 12
    FELIX D. WOLFE

    Non ero solo. Nonostante il buio fosse pressoché totale, non ero l’unico essere vivente presente in quel luogo. Mi dava sui nervi. Se c’è qualcuno, che si faccia vedere! Tentai di gridare, ma la voce si rifiutava di generarsi; cosa stava succedendo? Quel senso di tetro isolamento era onnipresente, qualunque cosa potessi fare o pensare. D’accordo, cos’è successo, fino ad ora? Ero a Sinnoh, mi ero appena messo in viaggio verso Mineropoli e stavo attraversando… La miniera Braccioferro… e ho ucciso quell’automa che pretendeva di essere un Aggron… Annuii. Tutto tornava. Avevo usato troppo Chakra con l’ultima tecnica, di conseguenza, ero svenuto, probabilmente. Ma la sensazione di essere osservato non era ancora scomparsa del tutto. Dovrò aspettare di svegliarmi, suppongo…
    Aprii gli occhi. La prima cosa che vidi proprio davanti al naso fu una curiosa figura geometrica argentata, con un grosso foro nella parte superiore, che era anche la più grande. Inclinai la testa di lato, ancora semicosciente, senza capire; « ed eccolo di ritorno nel mondo dei vivi! » squillò una voce giovanile, di una ragazza. Guardai oltre l’oggetto non identificato, per incontrare gli occhi di una bionda vent’enne. I lineamenti del suo viso erano affilati, quasi a sembrare quelli di un gatto: il naso piccolo, il mento quasi appuntito, gli occhi grandi e leggermente socchiusi. I capelli biondi le ricadevano morbidamente sulle spalle, nonostante non fossero eccessivamente lunghi. A prima occhiata, era una vera bellezza. Ottimo, e se qualcuno di mia conoscenza mi vedesse a fare certi pensieri, mi ridurrebbe in cenere. Letteralmente, mi sa. Fu solo allora che la lucidità mi tornò in corpo e mi resi conto di quello che stava succedendo. Quella che avevo puntata al setto nasale era una bella Colt 1911 personalizzata, ed avere una quarantacinque in faccia di prima mattina non era esattamente piacevole. Mi accigliai leggermente. Perché diavolo mi stava minacciando con un’arma? Le davo davvero così tanto fastidio?
    « Mettila giù » le consigliai, « sarà meglio per entrambi »; lei rise, sfacciata, « mi dai ordini? Dovresti ringraziarmi, dal momento che mio padre ti ha salvato quell’inutile culo! »
    Sbirciai alla mia sinistra: non molto lontano, su un comodino, vi era poggiata la mia spada. Tuttavia, non valeva la pena di ferirla vanamente. Tornai a fissarla e sospirai lentamente; una sola mossa e la disarmo senza farle male… e in un istante come delle serpi impazzite, feci scattare le braccia in avanti: la mano destra afferrò il carrello della pistola, spingendolo in direzione della proprietaria e facendole perdere il colpo in canna, mentre la sinistra agguantò il suo polso destro, pronta a far leva. Mi gettai a destra, senza perdere la presa, e misi al tappeto la giovane donna con una tecnica non pericolosa; lei, d’altro canto, lasciò andare l’arma immediatamente, mentre mi inveiva contro un fiume di imprecazioni. Rotolai all’indietro e mi rimisi in piedi, la Colt in pugno. Tirai nuovamente il carrello, per poi spingerlo via, smontandolo dalla struttura principale e, non appena quello ebbe abbandonato le altre componenti, il resto si sbriciolò tra le mie mani. Lasciai cadere i pezzi, mentre fissavo la bionda aprire un comodino di tutta fretta e tirarne fuori qualcosa; si girò di scatto verso di me, puntò il braccio per poi sprigionare un lampo infuocato; non sapendo cosa fare, mi coprii gli occhi, in attesa dell’impatto… Cosa che non accadde.
    « Ma come cazzo hai fatto?! » sbottò colei che aveva fatto fuoco. Levai il braccio da dinanzi le pupille, ma subito dopo mi chiesi se avessi preso una botta in testa: il proiettile scagliatomi contro stava fluttuando a mezz’aria, totalmente immobilizzato da una sorta di fiammata azzurra. Ma cosa… è la mia aura, questa? Strinsi il pezzo di piombo in mano e lo rigirai tra le dita, affascinato da quella reazione. Brutto idiota, non mi avevi detto che l’aura può avere funzioni simili, quando mi insegnavi le arti marziali… mi sfuggì un sorrisetto divertito.

    « Che razza di mostro sei…? » fece la ragazza, ancora scioccata.

    Un mostro. Da quanto tempo non mi chiamavano così? Certo, i primi avvenimenti a Konoha, le origini reali dei miei inferi, erano ormai un ricordo abbastanza lontano, essendo succedutisi cinque anni prima, ma erano rimasti impressi a fuoco nella mia mente e non si stancavano mai di tormentarmi. E pensare che recentemente ero riuscito ad abbandonarle, quelle memorie. Il sorriso si fece amaro; un momento dopo, con gesto falsamente stizzito, lanciai il proiettile alla testa della ragazza, colpendola sonoramente e costringendola a lasciarsi sfuggire uno stridulo ahi!, « mostro? » le voltai le spalle, « è così che mi tratti dopo esserti presa cura di me? » la mia voce assunse una nota rabbiosa, inconsciamente, « non è molto educato, sai? » per qualche secondo il silenzio fu totale. Sospirai pazientemente. « Fa’ pure » le dissi poi, « tanto ci sono abituato… »; aggirai il letto sul quale ero sdraiato e presi la spada dal comodino, « ringrazia tuo padre da parte mia per aver salvato questo inutile culo » feci per andarmene.
    « Aspetta! » sbottò lei, dopo un istante di esitazione; sembrava imbarazzata dal suo comportamento. Mi fermai, la sentii nascondere la pistola dove l’ha presa, per poi riprendere il discorso, « mio padre ha detto ti tenerti a riposo per almeno un altro giorno »; scrollai il capo, « sorvolando il fatto che io stia bene, sarebbe per questo che mi stavi minacciando con una pistola? O due, per meglio dire » girai la testa di lato e osservai la bionda oltre la spalla sinistra: ora sembrava preoccupata. Ma è la stessa persona che mi ha dato dell’ingrato, cinque minuti fa? Mi chiesi. « No, è solo che… dei bastardi maledetti ci stanno minacciando, ultimamente, perciò mi sono spaventata quando Papi ti ha portato qui… » sospirò, « e comunque, no, non stai affatto bene! » ed indicò la mia spalla sinistra. Seguii il suo dito con lo sguardo: tutta la parte sinistra del mio corpo – a partire dalla spalla, fino al limitare della gabbia toracica – era strettamente fasciato con delle bende mediche, leggermente macchiate di sangue nella parte più alta. Tastai delicatamente il punto arrossato. Niente dolore o sanguinamento. Annuii, come a complimentarmi con il medico; chiunque avesse svolto quelle medicazioni, aveva compiuto un lavoro splendido. Mi voltai, « è opera tua? » lei scosse la testa, « non sarei capace di disinfettare un taglio senza aiuto, figuriamoci suturare una ferita da parte a parte o aggiustare una scapola e delle costole incrinate. No, mio padre ha pensato a tutto, essendo lui un soldato veterano e specializzato in pronto soccorso »; una smorfia compiaciuta mi deformò il viso per un istante. Mi piacerebbe conoscerlo.
    « Dunque, come ti chiami? » mi chiese, ritrovata una maggiore allegria. Sorrisi; « da gentiluomo quale sono, dovrei rivolgere a lei questa domanda, donzella » accennai un comico inchino, scatenando immediatamente l’ilarità della mia compagna. Gonfiò orgogliosamente il petto prosperoso e si presentò, con enorme spavalderia: « io sono Jessica Wolfe, figlia di Felix Wolfe e Campionessa Internazionale di Duel Monsters da cinque anni di fila! » sollevai entrambe le sopracciglia, Duel Monsters, eh? « Attualmente frequento il terzo anno presso l’Accademia del Duellante, rigorosissimamente Obelik Blu, intendiamoci, eh! » fu allora che un’unica definizione mi si generò nel cervello e dovetti trattenermi al fine di non dirla in faccia a Jessica: figlia di papà!
    Mi schiarii la gola, pur di non ridere. « Tu sai duellare? », « com’è che una Duellante di vent’anni come te non è ancora riuscita a laurearsi? » la Wolfe rimase di stucco a sentire la domanda, subito dopo arrossì vistosamente; « come hai capito che ho venti anni? » sussurrò piano, feci spallucce, come bella risposta. Jessica distolse lo sguardo per un attimo, sdegnata, e, dopo diversi secondi, tornò a parlare lentamente: « sai duellare, allora? ». Sorrisi. « Andiamo con ordine… » mi feci scricchiolare il collo al rumore del quale, la ragazza sussultò; « il mio nome è Silvio Shine da Duefoglie. Sono un artista marziale, un ninja ed uno scrittore in erba » mi misi le mani sui fianchi, « e per informazione, con Duel Monsters intendi quel gioco di carte in cui due Duellanti si affrontano con un Deck di almeno quaranta carte ciascuno e il loro obiettivo è quello di azzerare i Life Points dell’avversario? » ovviamente la stavo prendendo in giro, tuttavia ella non l’aveva capito e stava annuendo ad ogni sillaba dell’ultima frase, con fare tutto serio. « Precisamente! » esclamò e mi puntò contro l’indice, « sei un principiante? Non c’è problema, ti insegno io! » risi di gusto. « Sai, anch’io sono stato al’Accademia, come studente! » i suoi occhi si illuminarono, « a che età?! Quale classe?! Fino a quale anno?!?! », « sono stato assegnato agli Obelisk appena superato l’esame di ammissione. Uh, ho studiato fino alla fine del primo anno e… se ti dicessi a che età mi sono iscritto non mi crederesti! » Jessica ghignò, « dai, quando? Quattordici? Quindici? », « sette! », spalancò gli occhi, incredula, non te l’aspettavi, eh?
    « Tu ti saresti iscritto all’Accademia a sette anni? » annuii, « e perché? », « secondo mia madre, ero un Duellante di grande talento, quindi, per farmi un regalo, mi iscrisse e mi accompagnò agli esami di ammissione » Jessica si massaggiò il mento, poco convinta. Prese fiato, molto probabilmente per fare un’altra domanda, ma si riscosse, cambiò idea e tornò a pensare. Sorrisi, divertito, e mi guardai attorno: la stanza nella quale mi trovavo era decisamente una delle più lussuose che avessi mai visto. A partire dal letto dalle coperte e federe di seta, le sole pareti erano decorate con delicata carta da parati di colore verde oliva e, sulle stesse, vi erano fissati quadri rappresentanti paesaggi spettacolari, quali una foresta vista dall’alto, oppure l’oceano aperto. Era evidente che quella fosse una stanza costruita al fine di permettere agli ospiti di casa Wolfe di riposare. Presi un respiro profondo, nonostante l’acuto dolore che sentivo alle costole, e tornai a guardare Jessica; « ma allora » riprese finalmente, « perché te ne sei andato? » strinsi i denti per un istante, prima di rispondere, attento a non dire cose di cui mi sarei pentito. Deglutii. « Temo che questa… sia una cosa che deve rimanere segreta, fidati » mi voltai nuovamente, aprii la porta, ed uscii nel salone principale, dove sembrava trovarsi l’uscita. « Ti ho detto che devi rimanere a riposo! » Jessica mi fermò un’altra volta, le scoccai un’occhiataccia quando sentii le sue unghie graffiarmi il braccio sinistro, nel tentativo di afferrarmi; « mio padre si infurierà a morte se non ti vede, quando torna! », « e con ciò? » le feci, il sopracciglio destro inarcato, « e con ciò… » mi spinse lontano dalla porta, « saresti veramente uno stronzo, se mi cacciassi nei guai a causa tua. E oltre a questo, girare in città a torso nudo mi sembra un po’ inopportuno! »
    « Città? Siamo a Mineropoli? » tentai di sbirciare fuori dal vetro della porta d’ingresso, ma la Wolfe mi sbraitò contro: « certo che siamo a Mineropoli, dove credevi che fossimo? » mi prese la spada dalle mani, mi costrinse sotto braccio – dal momento che era alta esattamente quanto me – e cominciò a camminare verso un altro corridoio, forzandomi a seguirla. « Avanti, ti mostro la casa! » mi invitò; i bracciali che indossava al polso sinistro sfregavano nel punto in cui la lancia dell’Aggron mi aveva colpito, facendo apparire costantemente una smorfia di sopportazione sul mio viso, già pallido di suo. In ogni caso, mi stupii di come il comportamento di Jessica fosse mutato di punto in bianco: prima voleva uccidermi perché mi credeva un criminale fine al ricattare lei e suo padre, ora, invece, una volta scoperto che ero un duellante come lei, chiacchierava con me come se nulla fosse accaduto. Attitudine un po’ infantile, a tutto dire. E pensare che era più vecchia di me di due anni.

    « Di qua! » Jessica mi guidò in una sala illuminata dalla dorata luce solare; i muri erano lunghissimi e, lungo di essi, vi erano disposte enormi teche colme alcune di trofei scintillanti, altre di armi da fuoco dall’aspetto estremamente vecchio. « Questa è la nostra Sala dei Trofei! » annunciò la giovane donna, « qui è dove conservo tutti i trofei che ho vinto nella mia carriera! Vieni a vedere! » mi trascinò verso la bacheca che stava proprio davanti a noi. Indicò una piccola medaglia d’oro lì appesa e prese a parlare: « quella risale a cinque anni fa! L’ho vinta al torneo regionale di Sinnoh semi-professionistico per minorenni » ridacchiò, « mai affrontato un duello più semplice! »
    Fui costretto ad ascoltare la giovane Wolfe vantarsi di tutte le sue vittorie per altre due interminabili ore. La noia, ormai, regnava sovrana e, tra uno sbadiglio nascosto ed uno strattone di troppo, seguii la ragazza di qua e di la, tentando di pazientare il più possibile. Ti si squagliassero in testa, tutti ‘sti trofei la maledissi, senza però osare esprimermi a parole, convinto che sarebbe stato equivalente al firmare la propria condanna a morte.
    Sospirai per l’ennesima volta. « Questo qui l’ho vinto… » stava raccontando Jessica, ma venne interrotta da una voce maschile proveniente dall’ingresso: « Jessica! Sono tornato! Il nostro paziente non è ancora morto? » delicatissimo dissi tra me e me, nell’osservare la ragazza lasciarmi andare, uscire dalla stanza e correre da suo padre; la seguii, camminando più adagio, a causa dei dolori che andavano generandomisi dalla spalla sinistra. Quando fui entrato nel salone principale, ebbi finalmente la possibilità di vedere in faccia questo fantomatico Felix Wolfe. In quel momento stava abbracciando amorevolmente la figlia. Mi fermai di colpo, quasi invidioso. Ne era passato di tempo da quando mia madre mi aveva abbracciato così… Incrociai le braccia e poggiai le spalle al muro, in attesa. « Silvio Shine! » alzai lo sguardo, « Jessica mi ha raccontato del vostro malinteso. Ti prego di perdonarla, ma come ti ha detto, ultimamente siamo vittime delle angherie di alcuni ladri che hanno tentato di introdursi in casa nostra » poggiò a terra il sacco di tela che stava trasportando. Era proprio da quest’ultimo che non riuscivo a staccare gli occhi di dosso; sembrava parecchio pesante. Wolfe lo indicò, mentre frugava nella tasca interna del proprio giubbotto di pelle, « piombo », disse, « ci faccio le munizioni per le mie piccole, e la miniera Braccioferro ne contiene parecchio, perciò ci passo, di tanto in tanto, per comprare delle scorte » finalmente, riuscì ad estrarre uno schiacciatissimo pacco di sigarette, « ed è così… » ne tirò fuori una e se la infilò tra i denti, « …che ti ho trovato », « papà! » lo richiamò la figlia, la guardammo entrambi, che stava seduta su uno dei due divani lì presenti: guardava il padre in cagnesco. Indicò la sigaretta con un gesto del mento; « hai ritrovato il coraggio di fumare in casa? Ricordi cos’è successo l’ultima volta? », aggrottò le sopracciglia, minacciosa. Felix non ci pensò due volte e in un’unica mossa della sinistra, nascose la nicotina nelle tasche, arrossendo leggermente subito dopo. Gli diedi una rapida occhiata: aveva quarant’anni, a giudicare dall’aura, ma se li portava splendidamente, dimostrandone almeno otto in meno; portava i capelli neri corti, in una acconciatura a spazzola; gli occhi erano neri come la pece, freddi, eppure vistosamente esperti del mondo, tuttavia, la gloria più grande del suo viso era la barba incolta, curata meglio di quanto un cavallerizzo potesse fare con il suo cavallo vincente. Era parecchio alto e snello, ma le braccia tradivano una gran forza, a furia di imbracciare armi e fucili, molto probabilmente. Era vestito alla moda, con un paio di pantaloni scuri, scarponi, una camicia blu e una giubba di pelle. Storsi il naso. Secondo me, un cappotto a lunghezza di ginocchia gli sarebbe stato meglio.
    « Silvio Shine » mi chiamò di nuovo, « era davvero da… tanto, tanto tempo che non sentivo pronunciare il tuo cognome.. io sono Felix Darius Wolfe, è un onore incontrarti », « mi conosce? » gli chiesi d’istinto; Felix scosse la testa con fare calmo, « no » mi sorrise, mentre si sedeva sul bracciolo del divano accanto alla figlia, « ma conoscevo tuo padre » quella rivelazione mi colpì come uno schiaffo improvviso. Mio padre…? Guardai l’uomo, incredulo ma allo stesso tempo piacevolmente sorpreso. Lui annuì; « qualunque militare, a quei tempi, conosceva il brillante Generale Robert Shine. Tanto furbo, quanto letale in battaglia » rise sommessamente, nel ricordare certe memorie, « non disdegnava le armi da fuoco, ma preferiva sempre buttarsi nella mischia a fare a pezzi i nemici con la spada che si è fatto forgiare quando venne fatto soldato semplice » sospirò, « era uno dei migliori amici che avessi mai avuto, e ora, suo figlio è proprio qui, davanti a me, nelle stesse identiche condizioni in cui si trovava lui la prima volta che lo incontrai » scoppiò in una sonora risata e, quando si interruppe, concluse il discorso, « eh, mi manca l’Erede delle Valchirie… Un burbero bastardo che non apprezzava la bellezza del cecchinaggio. “Non è eccitante!” diceva lui! »
    Si accarezzò la barba, pensieroso. Io, invece, non sapevo quali nella mia mente erano i dubbi e quali erano le certezze. Mio padre adorava combattere con le armi bianche, nonostante gli enormi progressi nelle tecnologia bellica, proprio come me. Eppure, era proprio quel soprannome a divorarmi dall’interno: non sembrava un nome glorioso che si assegna di norma a un combattente abile a casaccio. Sembrava quasi meritato.
    « Beh, tale padre, tale figlio, oserei dire, e non soltanto nell’aspetto o nelle mentalità, se è per questo » mi riscossi dai miei pensieri quando Wolfe si fu battuto una mano sul ginocchio. « Vieni con me. Ho qualcosa da mostrarti » si scostò dal divano e si avviò verso il corridoio in cui si trovava la sala dei trofei; « se vuoi scusarci, Jessy… » chiese venia il quarant’enne, Jessica fece spallucce, « fate pure con comodo, io devo controllare una cosa » e si alzò a sua volta. Seguii Felix nella stessa stanza in cui si era consumata la mia noia infinita; il veterano si avvicinò alla bacheca più in fondo della sala. Si fermò e io lo imitai. Indicò una minuscola coppa di bronzo, sul quarto scaffale; « il primo torneo di Jessica… » raccontò, « faticò giorno e notte per completare il suo Deck. Arrivò terza. Era così delusa… ma io ero il padre più fiero al mondo » sorrise, « da allora è stata una discesa. Mentre le sue vittorie aumentavano, il suo amore per il Duel Monsters diveniva perverso, votato solo alla soddisfazione di vedere il suo avversario umiliato dinanzi a lei… », « sì, capisco cosa vuole dire » risposi piano. Una ragazza che avevo conosciuto pochi anni prima aveva più o meno lo stesso problema: duellare e ferire duellando era il suo unico obiettivo nella vita, poiché aveva perso tutto, proprio come me. Akiza… mi toccai il centro del petto, che stava curiosamente emanando calore. « Ti ha sfidato a duello? » mi chiese Felix, « non ancora », « allora lo farà presto. E quando accadrà, ti prego di sconfiggerla e insegnarle un po’ di umiltà » si poteva benissimo notare una nota di disperazione, nella sua voce. Era veramente preoccupato. E poi, dovevo vendicarmi per quello sparo. Annuii; « lo farò, signor Wolfe! » egli sorrise, compiaciuto, e mi diede una generosa pacca sulla spalla destra, « grazie. Oh, e se mi dai ancora del “lei”, ti conficco un bel calibro cinquanta su per il naso, eh! » rise della battuta, io, invece, non riuscii a non rimanere di stucco alla minaccia.
    Di colpo, Wolfe afferrò la coppa di bronzo e la piegò verso di sé, dunque la rimise delicatamente a posto. Un meccanismo entrò in funzione, dietro la bacheca. Come in automatico, feci un passo indietro. Alla fine, uno scatto metallico e l’intera struttura in legno di noce si aprì verso l’interno, rivelando una scala a chiocciola ascendente. Piegai la testa all’indietro nel tentativo di capire dove terminasse. « Andiamo, saliamo nel mio ufficio! » disse Felix e cominciò la scalata. Piano piano, lo seguii anch’io.
    Quando arrivammo in cima, rimasi senza fiato; eravamo ad almeno trenta metri da terra e, dall’enorme finestra dell’ufficio di Felix, si poteva godere di un panorama splendido, che si estendeva per tutta Mineropoli e dintorni. Mi avvicinai all’elegante scrivania in mogano al centro della stanza, dove Wolfe stava armeggiando con una scatola molto lunga. Guardai il resto delle pareti: appeso di tutta carriera, proprio alla destra del piano d’appoggio, vi era un enorme fucile di precisione di colorazione bianca. Il caricatore, che supponevo contenesse colpi calibro cinquanta, era stato ampliato a regola d’arte, il calcio personalizzato in modo da attutire ulteriormente il rinculo, la canna allungata ancor di più per incrementare la precisione. Tuttavia, mancava qualcosa. « Perché non c’è il mirino? » chiesi ad alta voce; « tu cosa ci vedi in un mirino, giovane Shine? » mi incalzò Felix, ancora rovistando tra le sue cose; scrollai le spalle, « beh, un mirino permette di eseguire tiri più precisi, no? » l’uomo sospirò. « Proprio come tuo padre » si voltò verso la scrivania e vi poggiò un’altra scatola lunga e pesante, « ignorante fino all’ultimo! » a quel punto mi accigliai sul serio; « se vuoi continuare a vivere, vecchio, ti conviene smettere di insultare il ricordo che ho della mia famiglia! E dal momento che conoscevi mio padre, probabilmente saprai che non era rinomato per la sua pazienza. Beh, neanch’io! »
    « Con quella spalla non riusciresti ad uccidere una mosca » mi canzonò. Strinsi i denti; « e non mettermi alla prova » mi feci schioccare le nocche, « potrei stupirti »; l’altro mi guardò per un lungo attimo. « Aspetta » sussurrò, « Catherine è… »
    « …morta. Davanti ai miei occhi. Esattamente otto anni, quattro mesi, tre settimane e due giorni fa… » mi sentivo uno schifo. Quella notte era il ricordo più vivido che fosse mai risieduto nella mia mente. Mi venne quasi da vomitare.
    « Silvio, mi dispiace molto… », « falla finita », mi girai verso la finestra, fingendo di ammirare il panorama; « ne ho fin sopra i capelli delle condoglianze… »; « hai ragione… » Wolfe si schiarì la gola. « In ogni caso, io, in un mirino, non vedo un mero strumento che serve a sparare meglio » tamburellò con le dita sul legno della scrivania, « bensì un limite ». In un fluido movimento, aprì la scatola che aveva appena trovato e ne sguainò uno spadone a una mano e mezza, che mi puntò subito alla nuca. « Vedi un fucile come una spada. Una spada, se poco affilata, non taglia, se è affilata troppo, si spezza. Ecco, un fucile di precisione è lo stesso: se non ne conosci le potenzialità è totalmente inutile, mentre se lo conosci fin troppo bene, vai nel panico se le tue competenze si rivelano totalmente vane. Io non uso il mirino al fine di trovare nuove vie per uccidere da lontano, senza perdere tempo ad analizzare l’ambiente circostante. Lo sparo dev’essere una cosa radicale: punti, spari. Nulla di più, nulla di meno >> sorrise, e mi offrì l’elsa dell’arma bianca. Impugnai la lama e la soppesai per bene. Il metallo era molto scuro, quasi nero. Però quella non era la sola particolarità di quest’arma. Infatti era a filo singolo e la parte non affilata era completamente dentellata, facendola sembrare quasi un coltello militare troppo cresciuto. La guardia crociata era molto grossa e pesante, in modo da appianare lo squilibrio di peso della lama. Provai ad impugnarla con la sinistra; roteai l’arma una, due, tre volte e menai un unico fendente dritto davanti a me. Mi rimisi bene in piedi e guardai l’arma più attentamente. Era splendida. Magari l’avrei potuta usare assieme all’altra mia spada e… « quella è la temibile Fenrir » mi riscosse Felix, « è la spada con cui Robert portava il terrore sul campo di battaglia. E’ l’arma dell’Erede delle Valchirie » la spada di papà… « perché me l’hai mostrata? » gli chiesi, dubbioso, « mi ha chiesto di darla a te, due giorni prima di morire… Oh, e ci sarebbe anche un’altra cosa! » aprì un cassetto della scrivania e ne tirò fuori una minuscola scatolina di pelle. Mi fece cenno di avvicinarmi. « Questo era il suo ciondolo » aprì, rivelando alla vista un pendente di metallo bianco, con dentro incastonato uno zaffiro scolpito a forma di fiamma. Un’opera d’arte. « Gli venne offerto in dono quando si fu diplomato in un piccolo villaggio di un paesino chiamato “Fuoco”, o forse sono io che ho capito male… Prendilo e indossalo »
    Con dita delicate, afferrai la catenina che teneva insieme il ciondolo e me la buttai al collo. Agganciai il laccetto, per poi ammirare il gioiello scintillare sul mio petto. Non riuscii a trattenere un gran sorriso. Fenrir e il ciondolo di zaffiro, nonostante fossero oggetti senza apparente valore, erano molto importanti, dal momento che erano i ricordi più importanti che avessi di Robert.
    « Sai, Fenrir ha una gemella » disse Felix mentre rimetteva a posto il macello che aveva combinato, « una gemella? » gli feci eco; indicò la parete con il fucile, « il mio Absolution e la Fenrir di tuo padre sono le armi che hanno donato a entrambi noi quando abbiamo ricevuto la nostra ultima promozione. Lui a Generale, io a Luogotenente. Gran bel giorno, e che sbronza mi son preso! » scoppiò a ridere.
    « Coraggio, ora! » fece, mentre mi prendeva sotto braccio, « andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, eh! »
    Annuii.
     
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    CAPITOLO 13
    ABBI PAURA

    Prima di scendere per la scala a chiocciola, Felix corse un’altra volta alla sua scrivania, per poi tornare con in mano un fodero di cuoio lavorato, della stessa lunghezza della spada di mio padre; « il fodero di Fenrir » sorrise, « non vorrai certo portarla sempre in mano! » ridacchiai e presi il fodero nella mano destra: quasi lo lasciai cadere. Era pesantissimo, molto più dell’arma stessa. Afferrai nuovamente l’enorme pezzo di cuoio nero, per poi rinfoderare Fenrir. « Forza, scendiamo, ora! »
    Tornammo alla sala dei trofei; Wolfe richiuse l’ingresso con la bacheca truccata, dunque mi fece cenno di seguirlo all’ingresso. « Gli hai dato la spada! » sbottò Jessica, quando ci vide arrivare. Era seduta sullo stesso divano di prima ed aveva un Deck tra le mani, intenta ad esaminarlo. « Si, era ora, eh? » Felix ridacchiò, mentre mi dava una gentile pacca sulla spalla, « era l’ultimo desiderio di Robert e io l’ho esaudito! », la ragazza sorrise a sua volta. Posò il Deck sul tavolino che le stava davanti, poi mi lanciò qualcosa di informe e nero. Afferrai l’oggetto al volo, solo per scoprire che era molto soffice. « La tua maglietta » disse, « lavata e ricucita. Indossala e subito » obbedii, non volendo subire un’altra predica da parte della Wolfe. La maglia era come nuova, il foro causato dalla lancia dell’automa era stato riparato alla perfezione e il tessuto profumava divinamente. Tirai il bordo dell’indumento in modo da farlo aderire meglio.
    « Bene, ora che sei vestito… » prese a dire Felix, « …possiamo andare » e si avviò verso la porta d’ingresso. « Andare dove? » lo interrogai, « al fast-food, ovviamente! » sembrava stizzito, « credevi davvero che io o Jessica fossimo capaci di cucinare? »; sì, a dirla tutta… mi massaggiai la fronte con le dita, paziente. Con un profondo sospiro, decisi di ribattere: « no! ». Padre e figlia mi scoccarono un’occhiata interrogativa. Indicai entrambi con il pomolo di Fenrir, « da quant’è che non mangiate un pasto fatto in casa, eh? » rimasero scioccati dalla domanda e, quando non arrivò alcuna risposta, sbuffai. « Mangiare al fast-food sarà anche piacevole, ma è tutt’altro che salutare! » li guardai con occhi di fuoco, « e ora in sala da pranzo, tutt’e due! Cucino io! », « sai cucinare? » mi fulminò Jessica. Scrollai le spalle, « prova a passare sette anni da sola e scoprirai che puoi finire per imparare le cose più bizzarre. Muoversi! » battei le mani, provocando la fuga dei padroni di casa, direttisi immediatamente alla stanza nella quale avevo ordinato loro di andare. Sogghignai. Poggiai Fenrir al divano, per poi dirigermi in cucina.

    ***



    Aprii il frigorifero. Ogni genere di pietanza e ingrediente conosciuti erano stipati in quei due metri di refrigeratore: verdure di ogni tipo, frutta, carni e dolciumi. Rimasi a bocca aperta, dinanzi a quello spettacolo. Cosa potrei preparare, con tutta questa roba? Mi chiesi, tentando di inventare qualcosa di adeguato ed altrettanto gustoso. Era più complicato di quanto mi aspettassi. Ma, allo stesso tempo, era una gran bella sfida. Mi rimboccai le maniche e mi lavai le mani con cura; il mio sguardo indugiò per un attimo sulle ferite infette della mano destra. Erano ancora leggermente gonfie e di colore verdognolo, anche se erano state adeguatamente medicate e suturate. Strinsi piano le dita e una leggera fitta di dolore non tardò a generarsi per l’intero arto. Strinsi i denti, mentre lasciavo defluire l’aria dai polmoni. Alla fine, mi costrinsi a levare gli occhi dal lavabo e a passare ai fornelli. Indossai un guanto sulla mano destra, dunque presi un tagliere e un bel coltello. Raccolsi alcune verdure dal frigo e incominciai a preparare il tutto per il pranzo.

    ***



    « Arte Magica » pronunciai, mentre incrociavo indici e medi di entrambe le mani, attingendo al contempo ad un po’ di Chakra, « Tecnica della Moltiplicazione del Corpo! » in un’esplosione di fumo bianco, tre cloni perfetti di me stesso apparvero dinanzi a me. « Va bene, prendete i piatti e portateli in sala da pranzo. Io arrivo tra poco » i miei gemelli annuirono e presero subito a trasportare le portate da Felix e Jessica.
    Mi spazzolai le mani e la maglia dai resti del cibo, ripulii i piani della cucina e mi affrettai verso la sala da pranzo. Arrivato, i due ad attendere mi guardarono di scatto. « E con questo sono quattro… » fece Jessica e tornò a fissare lo schermo del suo cellulare acceso, « ora arriva… » la tranquillizzò il padre. « Ehi, sono l’originale! » alzai le mani e schioccai le dita, disfacendo la tecnica di replicazione: i cloni, raggruppatisi dall’altra parte del tavolo, svanirono in un’esplosione di fumo bianco, proprio come erano comparsi.
    « Finalmente, cazzo! » esclamò la ragazza, ma il padre la richiamò immediatamente: « Jessy, il linguaggio! » lei arrossì e distolse lo sguardo, offesa. « Silvio, ti prego, accomodati e goditi assieme a noi il pasto che tu stesso hai preparato » Felix mi fece cenno di sedermi dinanzi a lui; obbedii educatamente. « Non ho mai mangiato il curry… » affermò la Duellante, mentre osservava con grande attenzione il piatto di pollo al curry che avevo preparato per tutti e tre, « com’è? », sorrisi, « assaggialo, e vedrai che ti piacerà » presi la forchetta alla mia destra, « ho cotto il pollo al forno, in modo che la carne fosse soffice e facile da masticare. La salsa, invece, è stata bollita su fuoco lento per oltre un’ora, quindi tutti i sapori delle verdure che ho usato, specialmente quello del peperoncino, si saranno mescolati assieme alla perfezione »
    « Va bene, va bene, ho capito! » e finalmente, per volere di Sua Testardaggine, potemmo iniziare a mangiare. « Racconta, Silvio! » mi esortò il tiratore, mentre si puliva i baffi con un tovagliolo, « cos’hai fatto, quando Catherine se n’è andata? », sopportai per l’ennesima volta il ricordo e iniziai a parlare: « non avevo molta scelta, se non quella di lasciare Wine Hill. Viaggiai a lungo, ma ero senza un soldo, senza cibo o un rifugio. Una mattina vidi questo manifesto appeso praticamente dappertutto » bevvi un po’ d’acqua, mi asciugai la bocca e continuai, « “Torneo Internazionale di Arti Marziali. Primo premio: un milione di zeny. Ammessi artisti minorenni” » ridacchiai, « era l’occasione perfetta per riuscire a riempirmi le tasche e lo stomaco. Dal momento che avevo scoperto quei poteri, ero pressoché invincibile, o almeno così credevo… » finii il cosciotto di pollo che stavo mangiando, dunque mi pulii lentamente, « durante il torneo, è scoppiato il casino più assoluto: a un concorrente, durante un combattimento, era stato torto il collo a tal punto che poteva benissimo guardare il pubblico che gli stava alle spalle », « che fchifo! » sbottò Jessica, con la bocca piena di carne, « occhio, non ho mica finito! Questo tizio, con tutta la calma del mondo, si afferra la testa con le sue stesse mani… e se la rimette a posto! Ma questo poco importa. Un altro poveraccio era stato attaccato e pugnalato con una strana arma, quasi mortalmente e una specie di mago nanerottolo aveva sterminato mezzo pubblico avvalendosi dei suoi due seguaci. Un bagno di sangue! », « che bastardo! » ridacchiò Felix. « In ogni caso, durante questo torneo, conobbi uno, di nome Son Goku, che per un paio d’anni mi ha allenato e insegnato le arti marziali, oltre ad altre utili cosine. Nonostante io continui ad impararne per conto mio! »
    Wolfe annuì soddisfatto, una volta finito anche il dolce. « Complimenti allo Chef! » si accarezzò la barba, con fare molto compiaciuto, « concordo! » si intromise Jessica con un gran sorriso sul volto. Chinai il capo, in segno di gratitudine. « Ve l’avevo detto che mangiare così è decisamente meglio! » mi stiracchiai, le vertebre assentirono con il loro classico scricchiolìo, « ora ci starebbe una bella canzone… », « no, no, no, niente musica, dopo pranzo! » Felix mi agitò l’indice contro, « ora ci sono solo pace e quiete, capito? » scrollai le spalle. « Scusatemi un attimo, ragazzi, torno subito » Jessica si alzò ed uscì dalla stanza. Sospirai. Stavo cominciando ad annoiarmi. Presi a canticchiare, mentre mi lasciavo andare ai ricordi. Nel frattempo, il cecchino si accese una sigaretta, afferrò il sacco che si teneva accanto e ne tirò fuori qualcosa, per poi metterselo in grembo, osservandolo con grande attenzione. Strizzò gli occhi e sollevò l’oggetto, per metterlo in controluce: a prima vista, sembrava una pietra ovoidale di colore azzurro. Era meravigliosa, scintillante. Ma non erano il colore o le dimensioni quello che mi colpirono, bensì la cura con cui era stata lavorata: sembrava quasi che il gioielliere avesse riversato la sua stessa anima, in quel lavoro. Strinsi il ciondolo in mano. Lo zaffiro incastonatovi impallidiva dinanzi alla bellezza di quella pietra. « Gioiello impressionante, Felix! » mi complimentai, lui, invece, per tutta risposta, mi sbuffò in faccia un po’ di fumo. Non potei trattenere un accesso di tosse. « L’ho trovata nella miniera, quando stavo comprando quel piombo » rigirò lo zaffiro e prese a squadrarlo da un’altra angolazione; « eppure non sembra affatto uno zaffiro grezzo » sventolai una mano, in modo da diradare la nube maleodorante che mi svolazzava attorno, « lo credo bene! » grugnì, « non si trovano gemme simili in natura. Non che io sappia, almeno… »; non lo stavo neanche ascoltando. Continuavo a fissare la pietra. Era stranamente familiare; dove ho già visto, una cosa simile…?
    « Credo che ci farò un bel gruzzoletto e lo spenderò tutto in modifiche per la mia bambina! » indicò la gemma con il mento, « ce ne sono di collezionisti rimbecilliti abbastanza da comprare una cosa così a prezzi che ti farebbero girare la testa, fidati! » rise, allungai le mani e lui lasciò che esaminassi l’oggetto per conto mio. Era parecchio pesante. La avvicinai al viso e la osservai per bene; così da vicino, riuscivo a percepire una minuscola aura ardere al suo interno. Scoccai un’occhiata furtiva a Felix che ricambiò lo sguardo. Piano, molto piano, colpii la pietra con le nocche della mano destra: un curioso riverbero risuonò per tutta la gemma. Quasi come se fosse vuota, all’interno. « Ehi, basta così! » Wolfe mi strappò l’oggetto dalle mani e lo nascose nel sacco, « non vorrai distruggere le mie modifiche, vero? » sbuffai, scuotendo il capo. E’ proprio fissato… « non credo che uno zaffiro sia così delicato! » gli feci notare, ma Felix aveva la battuta pronta: « se hai davvero la forza di tuo padre, allora sei un pericolo perfino per un soldato rivestito di adamantio! » lo guardai per un lungo istante, poi feci spallucce e tornai ai miei pensieri.
    Sbadigliai sonoramente. Mi sarebbe piaciuto allenarmi un po’, ma Felix mi aveva gridato: “se ti perdi il braccio per strada, saranno problemi tuoi!”; di conseguenza, ero incatenato fino alla fine della giornata. Ordini del dottore. Mi asciugai l’occhio con il dorso della mano. All’improvviso, un curioso movimento alla mia destra fece scattare i miei riflessi e, d’istinto, alzai la mano destra, bloccando un grosso proiettile scagliatomi contro. Tirai giù l’oggetto incriminato, fino all’altezza degli occhi: il corpo principale era una sorta di disco rosso, con uno schermo elettronico sulla cima; sulla destra dello stesso, vi era uno scomparto cubico, adatto a contenere un certo tipo di oggetto, lo stesso per la parte frontale – sempre se era la parte frontale -. Due piccole piattaforme che presentavano un totale di cinque piastre di forma quadrata erano divise e posizionate parallelamente, l’una rispetto all’altra, tuttavia, erano fissate ad un avanzato sistema di trasporto, fine ad unirle quando lo strumento veniva acceso. Sogghignai nel capire cosa tenevo in mano. « Un Duel Disk di produzione di massa, gentilmente offerto dalla Kaiba Corporation » annunciai, « è il modello uscito quest’anno, tra l’altro. Non pensavo fossero già in commercio! », « beh, ho degli agganci nella fabbrica e me ne sono fatti dare un paio » confessò Wolfe, mentre sua figlia mi si approcciava, con un’aria selvaggia. « Silvio Shine da Duefoglie » mi indicò, « io ti sfido a duello! » indossava già il sue Duel Disk e il Deck che aveva scelto risiedeva nell’alloggiamento ad esso destinato. La previsione di Felix era estremamente azzeccata, e ora dovevo tenere fede alla promessa. Ma non prima di aver preso in giro Jessica – non riuscii a resistere -. « Mi rifiuto… » posai il Disk sul tavolo, « non ho voglia di duellare con te. Non alcun motivo per farlo… », « la metti così, eh? » la guardai di sottecchi, « va bene, se mi batti, potrai avere la mia carta più potente! » mi sforzai per non ridere: ci stava cascando con tutte le scarpe. « Nah, non mi va! » la ragazza si stava vistosamente infuriando; « allora mio padre farà per te una bella pistola, che ne dici? », « non coinvolgermi nei tuoi deliri, Jessy » l’uomo spense la sigaretta, ormai ridottasi ad un mozzicone, « …ma papà! » sbottò la figlia, « “ma papà!” » la canzonai, « è davvero necessario ricorrere a trucchetti simili per avere un duello? Ti stavo prendendo in giro, Jessica, e avrei accettato volentieri ma non ho il mio Deck… » un oggetto particolarmente duro mi colpì alla testa. Tenendomi il punto dolorante, guardai a terra, in cerca del proiettile. Una scatolina di colore rosso sangue stava riposava sul pavimento, poco oltre la sedia sulla quale avevo preso posto. Agguantai il contenitore e lo aprii: era zeppo di carte da Duel Monsters. Il mio Deck. « Ma come hai…? » stavo chiedendo, ma la Duellante mi fulminò: « mi sono permessa di dare un’occhiata nel tuo zaino. Oltre a un sacco di cianfrusaglie, medicine, cibo stantìo e coltellini, sono riuscita a trovare le tue carte! » spalancò un sorriso a trentadue denti, « niente male, eh? »
    Perfetto, ora non ho scelta! Mi lamentai tra me e me. Sospirai. « Va bene, accetto la sfida… » mi alzai e presi in mano il Duel Disk, con l’intento di indossarlo. « Ti farò pentire di essere nato! » la sentii sibilare, mi voltai di scatto nella sua direzione, ma lei evitò il mio sguardo. « Andiamo in giardino, sarà più divertente! » ed aprì le doppie porte di vetro che davano sulla veranda e il retro della residenza Wolfe. Scossi il capo. Infilai l’avambraccio sinistro nella polsiera sotto il disco e la strinsi con cura, assicurandomi che non sarebbe scivolata via nel corso del duello. Presi le mie carte e le assicurai all’attrezzo. Ero pronto.
    Non devo evocarlo… Non devo evocarlo, qualunque cosa accada… ! Uscii, seguito a ruota da Felix che subito si accomodò in veranda, ad assistere. Il lezzo di un’altra sigaretta accesa mi arrivò alle narici.
    Il sole pomeridiano non conosceva pietà ed infieriva contro chiunque osasse avventurarsi nel suo regno. Il giardino, invece, era lontanamente diverso da quello che mi aspettavo. Un campo da duello in marmo era stato costruito sull’erba, molto probabilmente su ordine della padrona di casa. Figlia di papà…
    Jessica era già in posizione su un’estremità e mi incitava a sbrigarmi. Obbedii; mi ersi dinanzi a lei, a circa dodici metri di distanza. « Pronto a perdere? » urlò la mia avversaria; chiusi gli occhi per un momento, in meditazione, finchè non sarò costretto a usare quella combinazione di carte, andrà tutto bene. Tutto bene.

    Nota dell’autore: ora seguirà un duello di Duel Monsters (Yu-Gi-Oh! Per intenderci meglio). Alcune carte, sia di Shine che di Jessica, non esistono nella realtà poiché sono state create dal sottoscritto. Non sono tantissime, non temete. Ogni carta creata sarà evidenziata con il grassetto. So bene che non accadrà, ma vi prego di non rubare l’idea e il concept delle mie creazioni. Buon proseguimento!

    Accesi il Duel Disk, che subito riunì le due piattaforme, per poi segnare i miei ottomila Life Points iniziali sullo schermo di cui era appositamente equipaggiato. Pescai le cinque carte che rappresentavano la prima mano. Jessica mi imitò. « Iniziamo? » annuii; « combattiamo!! » gridammo all’unisono.
    Silvio Shine – 8000 LP
    Jessica Mary Wolfe – 8000 LP

    « Inizio io, se non ti dispiace! Pesco! » la ragazza posò indice e medio della mano destra sulla cima del suo Deck e tirò con tutta la propria forza, estraendo una carta. Sogghignò, nel guardare l’immagine di quest’ultima; dunque rivolse lo sguardo alla mano sinistra, dove teneva le altre cinque. Posò la carta che aveva pescato, se prese un’altra e la posò su una delle piastre del Duel Disk; « Evoco il Demone Kraken in posizione d’attacco! » sul terreno, grazie all’avanzata tecnologia olografica della Kaiba Corporation, apparve un enorme calamaro, alto almeno due metri, con lunghi e innumerevoli tentacoli pronti a colpire.

    Kraken il Demone = 1200 ATK

    « Posiziono due carte coperte e ti passo la mano! » infilò due delle proprie carte in appositi fori situati sotto le suddette piastre, e lì il suo turno ebbe fine. Toccava a me. « Pesco dal Deck! » estrassi una carta, che si rivelò essere “Distruzione Schiacciante”, un ottimo inizio. Se uso questa Carta Magia quando sul mio Terreno è presente un Mostro di Tipo Drago, potrò distruggere una di quelle carte coperte ed infliggere un totale di cinquecento punti di danno alla sua proprietaria, esaminai le altre in mio possesso: Drago Avido, Koryu, il Domina-Tempeste, Drago Notte Bianca, Cilindro Magico e Prigione Dimensionale. Aggrottai le sopracciglia, poi presi una di quelle che tenevo nella sinistra. « Chiamo sul Terreno Drago Avido in posizione d’attacco! » un drago alto come un uomo e coperto di zaffiro dalla testa fino alla punta delle ali comparve sulla mia parte del campo.

    Drago Avido = 1900 ATK

    « Dunque attivo la Carta Magia “Distruzione Schiacciante”, in virtù alla quale posso distruggere una qualsiasi delle Carte Magia o Trappola presenti in gioco ed infliggere danno pari a cinquecento unità al suo proprietario! » scelsi rapidamente la sfortunata, « Drago Avido, calpesta la carta alla tua destra! » il drago si alzò in volo, si avvicinò a Jessica e si calò precipitosamente sull’ologramma della Carta Coperta che gli avevo ordinato di distruggere, mandandola in frantumi. Come cocci di vetro, i frammenti colpirono Jessica, riducendo così i suoi Life Points di cinquecento.

    Silvio Shine – 8000 LP
    Jessica Mary Wolfe – 7500 LP

    « E ora, Drago Avido, attacca Kraken! » dalla bocca del mio drago partì un devastante getto di energia, prossimo a colpire il bersaglio tentacolare. « Attivo la mia Trappola! Vittoria Assoluta! » non l’ho mai sentita nominare… !
    « Sembri sorpreso! Ma il bello viene adesso! Vedi, se attivo questa carta mentre uno dei tuoi mostri sta attaccando uno dei miei, non solo l’attacco viene annullato e tu subisci danno pari al potere del tuo martire, ma sei anche costretto a scartare tutte le carte Mostro che hai in mano in questo momento! » Jessica rise ad alta voce, « cosa?! » sbottai, mentre guardavo il raggio di Drago Avido deviare bruscamente la sua traiettoria e colpirmi in pieno petto.

    Silvio Shine – 6100 LP
    Jessica Mary Wolfe – 7500 LP

    « E ora i Mostri devono andare a nanna! » ringhiai sommessamente, presi le uniche due carte Mostro che avevo in mano e le mandai al Cimitero. Sospirai. « Posiziono due Carte Coperte e termino il turno! »
    « Tocca a me, allora! Ha! » pescò. « Perfetto! Offro come Tributo Kraken il Demone per Evocare sul Terreno “Bestia Anfibia” in posizione d’attacco! » il calamaro scomparve in una tempesta di polvere dorata, mentre, alle spalle della ragazza, compariva un gigantesco mostro di colore verde scuro. Proprio come diceva il nome, era anfibio, perciò il suo corpo era adatto sia ai combattimenti sulla terraferma che in acqua, con zampe palmate e branchie pulsanti. I suoi enormi artigli incutevano timore.

    Bestia Anfibia = 2400 ATK

    « E dove diavolo lo mette, tutto quel potere d’attacco… ? » ma non mi scomposi: dopotutto, sul Terreno avevo due belle Trappole pronte a scattare al minimo cenno di pericolo. « Oh, giusto! Attivo “Tempesta Potente”! In questo modo quelle carte non saranno più un problema! » mi sentii impallidire quando un potentissimo vento immateriale spazzava via tutte le mie carte coperte. No!
    « Bestia Anfibia, spazza via quell’inutile drago! » i giganteschi artigli si abbatterono su Drago Avido, squartandolo all’istante ed io persi altri cinquecento Life Points.

    Silvio Shine – 5600 LP
    Jessica Mary Wolfe – 7500 LP

    Strinsi i denti: stava andando male. Era veramente brava. In due turni era riuscita a bloccarmi e a recuperare lo svantaggio. « Tocca a te! Vediamo come riesci a cavarti fuori da questa situazione! »; presi un respiro profondo. Non era ancora finita. Posi indice e medio destri sulla cima del Deck e, lentamente, tirai fuori la carta. “ Forza Riflessa”. Sì, poteva tornarmi utile.
    « Posiziono una Carta Coperta e termino il mio turno! », « patetico! » sbottò Jessica, « alla faccia del Duellante, non riesci a mettermi minimamente in difficoltà! Mettiti un po’ d’impegno! » tentava di provocarmi in tutti i modi. Stava funzionando. Quasi pregai che la prossima fosse proprio la carta che non volevo pescare. Scossi la testa. Riprenditi!
    « Allora pesco! » guardò la carta, subito dopo ghignò, malevola. « Oh, questo non ti piacerà! » strizzai gli occhi, nel tentativo di capire cosa stesse tramando. « Evoco “Reice, Sfruttatore dei Proiettili Ghiacciati”! » un guerriero serpentino dalla strana armatura apparve sul Terreno della Wolfe. Non era potente, ma…

    Reice, Sfruttatore dei Proiettili Ghiacciati = 800 ATK/TUNER

    Ma certo! E’ un Tuner! E per esperienza diretta, in una situazione così non si evoca mai un Tuner a casaccio. « E ora, abbino Bestia Anfibia di Livello cinque a Reice di Livello due! » i due mostri si scomposero in minuscole luci che presero ad inseguirsi l’un l’altra. Dopo qualche secondo di turbinìo, si unirono in una stella sola. Da essa, fuoriuscì un oggetto sferico, che emanava luce rosetta; esso si posò sul palmo aperto di Jessica, che lo accolse con un sorriso trionfante. Dopo un momento, chiuse le dita di scatto, infrangendo la sfera, dalla quale si generò un sigillo mistico. La ragazza lo scagliò in aria mentre annunciava: « i tuoi venti burrascosi porteranno nuova speranza nei nostri cuori infranti! Evocazione Synchro! » mi guardò dritto negli occhi, « spazzali via, “Drago Bianco – Vento di Venere”! » un’abbagliante luce si generò alle spalle della Duellante. Questa, poco dopo, rivelò alla vista un maestoso drago bianco a quattro zampe, in volo, in quel momento. La splendida creatura atterrò e ruggì, fiera.

    Drago Bianco – Vento di Venere = 2400 ATK/1800 DEF\ACQUA\DRAGO\SYNCHRO\EFFETTO

    Di punto in bianco, il petto cominciò a bruciarmi selvaggiamente. Caddi in ginocchio, la mano premuta sullo sterno. Un ringhio feroce stampato in volto; poi, una luce scarlatta reclamò di uscire da sotto il mio palmo. E’ ricomparso… ! Spalancai gli occhi. Era da più di un anno che lo Stigma non compariva sul mio corpo, anche perché avevo perduto il Drago necessario a fare in modo da far avvenire quell’evento. Levai il braccio: uno Stigma linea forme rappresentante la testa di una creatura draconica scintillava insistentemente in quel punto esatto, attraverso le bende e i vestiti. Bruciava.
    « Ce l’hai anche tu?! » Jessica urlò dall’altra parte del campo, mentre si teneva la parte destra del collo, rilucente di una familiare luce verde. « Sei una Guardiana?! » ribattei, tirandomi in piedi; « che cazzo è una Guardiana?! » tolse la mano dal collo ed indicò il proprio drago, « è proprio quando viene evocato, che il Potere Speciale di Drago Bianco si attiva! Mi è permesso scartare tutte le carte dalla mia mano e pagare un totale di cinquecento Life Points per Evocare tramite Evocazione Speciale tanti mostri di Attributo Acqua quante le carte che ho scartato grazie a questo effetto! » le carte che scartò erano tre, di conseguenza poteva evocare tutti i mostri che l’avevano soccorsa nel Duello fino all’evocazione del drago. « Ecco di ritorno Kraken il Demone, Bestia Anfibia e Reice! » con addirittura quattro Mostri nella sua parte di Terreno, la Wolfe sembrava pronta a chiudere i conti. « Drago Bianco, attaccalo direttamente con Tormenta di Venere! » la creatura si alzò in volo, pronta a colpire. Fendetti l’aria col braccio, « attivo la Trappola “Forza Riflessa”! Se non ricordi i suoi effetti, lascia che te li rammenti: qualora uno dei tuoi Mostri dichiara un attacco, questa piccolina distrugge tutte le creature sul tuo Terreno che in quel momento si trovano in posizione d’attacco! » quando il drago di Jessica sventolò le ali per creare una potente tempesta, uno scudo energetico mi avvolse, rendendomi immune, e al contempo ritorcendo l’attacco contro il mittente. Bestia Anfibia, Kraken il Demone e Reice, lo Sfruttatore vennero distrutti e mandati al Cimitero, tuttavia, il Vento di Venere era ancora in piedi. « Oh, non te l’ho detto? Il mio cucciolo è immune alle Trappole! » il mio cuore saltò un battito. Il vento mi colpì in pieno, causando pesanti danni.

    Silvio Shine – 3200 LP
    Jessica Mary Wolfe – 7500 LP

    Fissai la donna, frustrato. Come diavolo potevo fare per sormontare uno svantaggio simile? Per tutta risposta ai miei occhi, Jessica rise, crudele. « Non ho ancora finito! » schioccò le dita, « ogni volta che il mio piccolo ti colpisce direttamente, ho il diritto di pescare una bella carta! » estrasse e sorrise. « Molto bene! Attivo la Magia “Coppa di Assi”! Ora dobbiamo solo lanciare una moneta… », « la lancio io! » si intromise Felix e tirò fuori dal taschino una bella moneta d’argento. La mise su pollice e indice chiusi, poi, con uno scatto, riaprì il pollice, facendola decollare; la afferrò al volo, dunque osservò con attenzione la faccia che gli si mostrava. « Croce! » annunciò ad alta voce. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo: voleva dire che avevo diritto di pescare due carte. Posai la mano sulla cima del Deck, il petto che ancora riluceva a causa dello Stigma. Tirai. Drago Lanciere e Drago Metallico Oscuro Occhi Rossi! Il mio battito cardiaco accelerò bruscamente nel momento in cui, nella mia mente, stava cominciando a delinearsi una delle mie combinazioni chiave. « Forza, ora tocca a te! » la ragazza scoccò un’occhiataccia al padre, come se l’avesse delusa il fatto che fosse uscita croce anziché testa.
    « Pesco dal Deck! » latrai. La carta era… Specchio del Drago!
    Non sapevo cosa pensare. Quella era esattamente la carta che non volevo assolutamente pescare. Distolsi lo sguardo con disgusto. Era come se il mio stesso Deck fosse disperato a tal punto da farmi arrivare la carta più crudele che conteneva. Mi accigliai; non ti evocherò, F.G.D.! Non voglio spaventarla! Posai Specchio del Drago nella mano sinistra. Oltre a quello avrei potuto… no, sarebbe stato come scavarsi la tomba con le proprie mani. Mi inumidii le labbra; « termino il mio turno! »
    « Coooome?! Non evochi nessuno?! Ma dove vuoi andare a parare con questa strategia merdosa? » Jessica stava veramente cominciando a darmi sui nervi. Il desiderio di evocare quel mostro cominciò a solleticarmi sul serio. Strinsi i denti.
    « Allora tocca a me! » la ragazza pescò. Subito dopo chiuse un occhio, tentando di sopportare il dolore causatole dallo Stigma che aveva sul collo. « Che fortuna! Attivo un’altra Coppa di Assi! » indicò Felix, « papi, se non ti dispiace! » il padre annuì e lanciò un’altra volta la moneta… « croce! », « MI PRENDI IN GIRO?! » sbottò lei, furibonda; ma in un istante si calmò. « Avanti, pesca pure » obbedii. Drago Bianco Occhi Blu e Soffio Esplosivo di Distruzione!
    Era perfetto. Una delle mie combinazioni più potenti era lì, nella mia mano, in attesa di essere utilizzata. Tuttavia, il turno di Jessy non era ancora finito. « Avanti, Drago Bianco – Vento di Venere! Tormenta! » il vento mi investì ancora. I danni si facevano sentire e non poco. Digrignai i denti: era insopportabile, il dover perdere contro qualcuno di così insopportabilmente presuntuoso.

    Silvio Shine – 800 LP
    Jessica Mary Wolfe – 7500 LP

    « Fai schifo! » sollevai gli occhi, prima fissati sulla prima carta del mio Deck. « Non vali un cazzo! Mi aspettavo una sfida considerevolmente maggiore, da parte tua! » la giovane fece spallucce, « mi sono sbagliata! Non sei degno del cognome che porti, Falso Shine! E tuo padre, probabilmente, si starà rivoltando nella tomba… » sbuffò, « papà mi ha sempre raccontato come gli Shine fossero una famiglia dall’animo potente… Tutte stronzate! » strinsi il pugno destro, ignorando totalmente il dolore del veleno. Ne avevo abbastanza, dei suoi insulti. E avrebbe pagato per le sue parole.
    « Sai una cosa, Jessica? » le chiesi, freddo, lo sguardo a terra. « Fino ad ora mi sono trattenuto, in modo da non farti perdere il desiderio di duellare. Ma… » alzai le pupille, fino a ritrovarmelo proprio davanti a quelli della Duellante, « ora che hai osato insultare non solo me, ma anche la memoria dei miei cari… » alzai la mano fino all’altezza del viso, le dita aperte, « ti distruggerò! » chiusi il pugno, con fare minaccioso. Jessica ghignò, sfacciata. Vediamo quanto ci metto a trasformare quel sorrisetto in un’espressione terrorizzata… sorrisi a mia volta e mi preparai ad iniziare il turno.
    « Pesco un’altra carta, grazie al Potere di Drago Bianco! » sospirò, « niente di utile… tocca a te! »
    « Perfetto, pesco! » lentamente, avvicinai la carta agli occhi. Megamorph! Quella carta avrebbe chiuso la questione, una volta per tutte. Per il momento, rimisi la rimisi al sicuro in mano. « Prima di tutto » iniziai, con voce glaciale, « evoco sul Terreno Drago Lanciere, in posizione d’attacco » una creatura draconica, rassomigliante ad una viverna azzurra e dal becco lunghissimo, apparve alla mia sinistra. Ma non ci sarebbe rimasta a lungo. « Però dovrà dirci addio, dal momento che lo rimuovo dal gioco, in modo da Evocare tramite Evocazione Speciale, Drago Metallico Oscuro Occhi Rossi! » questa volta, fu una scura viverna robotica a comparire, « attivo il Potere Speciale di Drago Metallico, in virtù al quale posso liberamente evocare uno qualsiasi dei miei Draghi, a patto che risiedano nel mio Cimitero oppure nella mia Mano! » presi la carta che volevo dalla sinistra e sbottai: « chiamo sul Terreno una delle più grandi leggende del Duel Monsters! Evoco Drago Bianco Occhi Blu in posizione d’attacco! » alle mie spalle, sorse dal terreno un altro dragone robotico, rivestito, però, da una corazza bianco latte. I suoi occhi azzurri scrutarono i poveri sfortunati che avrebbe dovuto annientare. Jessica non sembrava troppo preoccupata. Lo sarà ben presto!
    « Attivo la Carta Magia “Soffio Esplosivo di Distruzione”! Grazie a questa, a patto che abbia un Occhi Blu dalla mia parte, posso distruggere tutti i Mostri che ti si accompagnano! » Drago Bianco Occhi Blu inspirò, per poi emettere un potente alito distruttivo, che colpì in pieno Drago Bianco – Vento di Venere e lo distrusse senza problemi. A quel punto la sicurezza della Wolfe vacillò. « Ma così il tuo draghetto non può attaccare! » rise, nervosa, « ti sei fregato da solo! »
    « Sì, continua pure a pensarlo! » mi feci scricchiolare il collo, « pensaci mentre osservi la mia prossima e ultima mossa! » afferrai quella carta tra le dita. « E’ il momento! Attivo la Magia “Specchio del Drago”! » un gigantesco specchio ovale e dal vetro violetto apparve alle mie spalle. Ridacchiai. Era finita. « Se non sai quali sono i suoi effetti, te li spiego volentieri! Quando attivo questa piccola, posso rimuovere dal gioco, dal Terreno o dal Cimitero, i mostri necessari ad una particolare evocazione » Jessica inclinò la testa da un lato, senza capire. Quella vista mi diede i brividi. « I Mostri che seleziono sono: Drago Bianco Occhi Blu, Drago Metallico Oscuro Occhi Rossi, Drago Avido, Drago Notte Bianca e Koryu, il Domina-Tempeste! » le anime dei cinque draghi fuggirono dal Cimitero e dal Terreno e vennero assorbite dal vetro dello specchio. « Sacrifico queste cinque creature per eseguire un’Evocazione per Fusione! » un turbinìo di luci cominciò a mulinarmi attorno. Alzai il braccio, il palmo rivolto al cielo sereno. « E ora, vieni avanti, “Drago a Cinque Teste – F.G.D.! » un’abbagliante colonna di energia piovve dalle stelle, mentre pronunciavo quelle parole; « abbi paura! » sibilai a Jessica che, nel vedere il drago dalle cinque teste ardenti e alto venti metri, impallidì come un cadavere.

    Drago a Cinque Teste – F.G.D. = 5000 ATK/5000 DEF\OSCURITA’\DRAGO\FUSIONE\EFFETTO

    La ragazza tentò di ricomporsi, « nonostante quell’affare abbia cinquemila punti d’attacco » disse con voce tremante, « non saranno comunque sufficienti a sconfiggermi! », « ah, ripensaci! » la zittii, « ho ancora una carta da giocare! Attivo la Magia Equipaggiamento “Megamorph”! » un anello runico avvolse il corpo del grande drago, facendolo crescere del doppio; « questa bellezza potenzia il Mostro equipaggiato del doppio dell’attacco originale in suo possesso, a patto che i miei Life Points siano inferiori ai tuoi! »

    Drago a Cinque Teste – F.G.D. = 10000 ATK/5000 DEF\OSCURITA’\DRAGO\FUSIONE\EFFETTO

    « Oh, no… » sussurrò Jessica al vento, le sue pupille si erano dilatate dal terrore. « F.G.D. » chiamai, « finiscila… » le teste del drago scattarono in avanti, azzannando il voracemente le membra della mia avversaria.

    Silvio Shine - 800 LP
    Jessica Mary Wolfe - 0 LP

    Lei crollò in ginocchio, la testa penzoloni. Spensi il mio Duel Disk, di conseguenza le proiezioni olografiche dell’enorme mostro svanirono così come erano comparse. « Ehi… » la richiamai e le poggiai dolcemente la mano sulla spalla. Gli Stigmi erano a loro volta spariti. Non ricevetti risposta; allora, presi la donna sotto braccio e la accompagnai in veranda, dove Felix stava attendendoci. « Un Duello davvero interessante, Jessy » mi complimentai, lei, invece, mi guardò debolmente; « anche dopo tutto quello che ti ho detto…? » mi sussurrò all’orecchio. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere. « Devo ammettere che mi sono lasciato provocare » confessai, leggermente imbarazzato. « Tuttavia, hai dimostrato che sei una grande Duellante. Non dubito che riuscirai a laurearti all’Accademia senza problemi » mi grattai il cappo con la mano libera, « e ti chiedo scusa se il mio “cucciolo” ti ha spaventata, ma non sono riuscito a trattenermi… » mi interruppi di colpo quando la sentii premere le labbra contro la mia guancia destra. « Non preoccuparti! Mi sono divertita. Spero che duelleremo ancora, o, magari… che usciremo insieme! » avvampai alle sue parole; non avevo idea se mi stesse prendendo in giro o meno, e non ebbi l’opportunità di capirlo dal momento che la ragazza fuggì dentro casa. Ero rimasto solo in veranda con Felix e il mio enorme imbarazzo. Ino mi farà a pezzi, se viene a saperlo… pensai, anche se avevo i miei dubbi a riguardo.
    Uno scatto metallico dietro la mia nuca mi gelò sul posto. « Non azzardarti a farti strane idee sulla mia bambina, ragazzino… » mi minacciò Felix. Avevo una pistola puntata alla testa, era poco ma sicuro; deglutii, « non preoccuparti, tanto è più vecchia di me di due anni ed inoltre sono già impegnato » parlai piano e con cautela, ma la risata di Wolfe mi costrinse a voltarmi verso di lui. « Parlavo della pistola! » fece fuoriuscire il tamburo della sua Single Action Army e me lo mostrò: era completamente vuoto. « Come vedi non è neanche carica! » e tornò a ridere di gusto. « E non ti preoccupare per Jessica! Chissà, forse, in futuro, ti concederò un appuntamento con lei, se sarò abbastanza misericordioso » dopo aver detto ciò, mi diede una bella pacca sulla spalla, « in ogni caso, è evidente che le piaci » arrossii di nuovo, scatenando un altro attacco di ilarità del veterano. Felix si avviò, ma si fermò di botto e prese ad indicarmi con piccoli gesti dell’indice; « sai » disse, « quando Jessy mi ha chiesto di lanciare quella moneta… » inarcai un sopracciglio. Non lo seguivo. « Era uscita testa entrambe le volte! » strizzò un occhiolino in mia direzione, « ma credo che sia meglio se questa cosa rimane tra me e te, eh? »
    Mi fece cenno di seguirlo. Allentai la fascetta del Duel Disk e lo sfilai, non prima di aver recuperato il mio Deck; dunque mi affrettai dietro Wolfe. Che altro poteva volere da me, dopo quella scenata?

    CAPITOLO 14
    IL POTERE DELLA ROCCIA

    « Come ti senti, Lucario? » chiesi al Pokémon Aura, il quale annuì con un gran sorriso e scalpitava al pensiero di combattere, quel giorno. Grotle, Chimchar e Piplup erano in gran forma, senza mostrare alcun segno di stanchezza o indebolimento causati dal lungo viaggio. Feci rientrare i miei quattro compagni nelle loro Pokéball ed uscii dalla stanza degli ospiti. Erano passati già due giorni da quando avevo invaso casa Wolfe, con una spalla da buttar via e delle costole che avrebbero svolto un lavoro migliore come stuzzicadenti. « ‘Giorno! » mi salutò Jessica, quando uscì dalla sua camera, lavata e vestita di fresco. Stava ancora accarezzandosi i capelli chiari con un asciugamano blu notte. « Buongiorno a te. Dormito bene? » ricambiai, grattandomi la cicatrice lasciatami dal grosso foro sanguinolento chiusosi da poco; « come un sasso! » la ragazza sorrise, « che si mangia, per colazione?», schioccai le dita: sapevo che la discussione mattutina sarebbe andata a finire lì. Con pazienza, mi massaggiai le tempie, meditabondo, con Jessy che pendeva dalle mie labbra. Forse avevo un’idea. « Starei pensando a cucinare delle crêpes al cacao e frutti di bosco… » mi posi una mano davanti al volto, in modo da fermare la Wolfe che stava per avvinghiarmi le braccia al collo; « non con quei capelli! » sbottai, al pensiero di farmi mettere a mollo dalla sua fradicia chioma, « vai a metterti sotto un asciugacapelli, per carità! Io vado a preparare le “cibarie” » Jessica, scoccandomi un’ultima occhiata sdegnata, tornò nel suo bagno privato, dal quale si generò subito il suono prodotto dal motore di un asciugatore elettrico. Sospirai, dunque trascinai i piedi fino in cucina. Tuttavia, poco prima di attraversare il corridoio fino a destinazione, un potente rombo mi fece sobbalzare. Mi guardai attorno in fretta e furia, cercando di capire da che parte sarebbe partito l’attacco. Ascoltai meglio: della musica rock risuonava, da qualche parte nella residenza, a tutto volume. Inarcai un sopracciglio, senza capire. Feci schizzare a destra e a manca le pupille ancora un paio di volte, dunque mi decisi a seguire quel suono così maledettamente confuso.

    ***



    Aprii la porta segreta della sala dei trofei. Avevo la sensazione che il chiasso provenisse da lì. Strizzai gli occhi e li puntai verso l’alto, verso la cima della scaletta. E’ in ufficio, magari? Subito dopo scossi la testa, si? E come lo spieghi quel ruggito assordante? Sospirai; abbassai lo sguardo. Un altro rombo si generò, seguito poco dopo dalla distinta risata di Felix Wolfe. D’istinto, mi abbassai, fino a poggiare l’orecchio a terra. Era possibile sentire ancora quella musica, oltre a qualche altro sporadico ruggito più cupo e dei curiosi scatti metallici. Tastai il pavimento nel punto in cui stavo origliando e, in pochi secondi, i miei polpastrelli toccarono quella che sembrava essere una maniglia d’acciaio. Avvicinai il viso a terra. Era buio, in quell’angoletto angusto; tuttavia, riuscii a trovare la piccola maledetta. Afferrai l’oggetto con entrambe le mani e diedi un bello strattone: la botola si aprì senza fatica o rumore, rivelando una scala a pioli discendente. Sogghignai, nel constatare che la passione di Wolfe per i passaggi segreti non avrebbe mai smesso di stupirmi. Con un unico balzo, mi calai nel buco, senza usufruire della scaletta.
    Quando atterrai, notai che lì il buio era assoluto. L’impatto con il suolo mi fece poggiare una mano e un ginocchio a terra; guardai dinanzi a me. Un altro rombo mi raggiunse, molto più forte di prima, accompagnato dall’onnipresente musica. Mi rimisi in piedi ed avanzai di qualche passo, lentamente, attento a non cadere in qualche trappola. E via con la paranoia! Andiamo bene! Lasciai defluire l’aria dal naso. I denti stretti. Arrivai alla parete di fondo, lì ricominciai a cercare con il tatto. Appena toccai una maniglia, la girai prontamente. La luce di un saldatore mi abbagliò nell’istante stesso in cui mi affacciai all’uscio; la musica era ad un volume ben più alto di quanto mi fossi aspettato. Bloccai la luce con la sinistra e presi ad osservare che diavolo era quel posto: alla mia sinistra vi era un lungo bancone di ferro, zeppo di cassetti e ricoperto di quelle che sembravano essere parti per automobile; dinanzi a me vi era un altro bancone uguale, questo, però, sembrava essere coperto di grossi fogli di carta. E questi ultimi erano davvero tanti. Per un attimo, la luce si spense e riuscii a capire chi era il responsabile di tutto quello scompiglio: Felix, con la testa totalmente nascosta sotto un’auto due posti, verniciata di un bel rosso sangue. Un’unica striscia nera partiva da circa metà cofano ed andava a disperdersi all’indietro, fino alla fine della vettura; i finestrini erano oscurati, donando un tocco di classe al tutto. Notai anche un’altra cosa: sulla parte scura della carrozzeria, vi era dipinto con parsimonia il numero “novecentodiciotto” in caratteri cubitali con stile “squarciato” e di colore bianco. Sogghignai. Quello lì era un gran bel pezzo di veicolo.
    « Felix! » chiamai a gran voce, senza però riuscire a sovrastare lo sforzo delle enormi casse fissate agli angoli del garage. La cosa peggiore era il rimbombo. Infatti, la stanza non era fatta per contenere una vettura sola, bensì almeno una ventina; un gigantesco pezzo di cemento e acciaio privato grande più di venti metri per venti dove riporre i propri giocattoli. « Felix! » ritentai. Non mi sentivo io, figuriamoci lui. Mi accigliai, per poi cercare qualcosa che mi permettesse di attirare l’attenzione del cecchino. Trovai una chiave da bulloni, lunga otto pollici, poggiata sul primo bancone che avevo avvistato; la presi in mano e la soppesai un paio di volte. Presi bene la mira, sollevai l’arma con la mano destra, mi assicurai che non avrei mancato il bersaglio, quindi lanciai. La chiave andò ad infilarsi dritto in mezzo alle gambe di Wolfe, colpendolo al suo punto più sensibile. Tempestivamente, le mani di Felix scattarono verso l’apertura delle gambe, mentre lui batteva la testa contro la sua amata automobile. In un impeto di rabbia, l’uomo uscì dalla propria trappola e scattò in piedi, in cerca del colpevole. Quando incontrò il mio sguardo, gli feci cenno di staccare la musica.
    Il silenzio tornò a regnare alla pressione di Felix di uno dei tasti del minuscolo telecomando che teneva in tasca. « Ma dico, sei impazzito, porca troia?! » imprecò, per poi stringersi l’inguine tra le mani sporche di olio per motori, per non parlare del naso con letteralmente una sgommata nera sulla parte che collegava la punta alle sopracciglia. L’uomo batté violentemente i talloni a terra, in modo da far dissipare il dolore. « Non potevi semplicemente chiamarmi?! », non riuscii a trattenere una risatina ironica, « no, non ci avevo affatto pensato. Già, come se un qualsiasi suono esterno ti sarebbe arrivato, vecchio! » mi avvicinai alla macchina, « ci pensi mai all’udito? », « a cosa? » mi fece eco Felix. Sbuffai, « appunto… »
    « E questa? » indicai il giochino del tiratore, « oh, questa è una delle mie creazioni più recenti! » mi raggiunse, « è ispirata alla Camaro Zeta – Ventotto, per quanto riguarda il design. Tuttavia… » aprì la portiera del conducente e si accomodò sul sedile, lì girò la chiave nel vano motore, dando vita al mostro; « …quel che questo bestione ha dentro è totalmente personalizzato. In poche parole, l’ho costruita io! » scoprì i denti in un sorriso compiaciuto, dall’altra parte del parabrezza. Intrecciai le braccia e rivolsi al creatore un piccolo inchino del capo, per complimentarmici. « Questa è… » uscì e chiuse la portiera con un unico suono secco, « la “Novecentodiciotto – Personal Intelligence Breaker”, per gl amici “P.I.B” » ridacchiò, lasciando la mano destra insozzargli la barba di olio. Non si vedeva, però. « Volevi qualcosa, comunque? » Felix prese a rovistare tra i fogli che avevo adocchiato prima; scrollai le spalle e lo raggiunsi alla sua destra, « mi stavo solo chiedendo da dove arrivasse tutto ‘sto casino » risposi, poggiai le mani sul bancone, mentre tentavo di capire cosa fossero tutte quelle scartoffie: a una rapida occhiata, sembravano progetti di armi da fuoco. Allora non mentiva, riguardo la carriera da armaiolo.
    « Aspetta un attimo » disse, poi si rivolse a me, « non dovresti cucinare, tu? », in effetti, me ne ero totalmente dimenticato. « Meglio se vai » mi consigliò il saggio, « sai cosa succede se Jessica non vede la tavola imbandita, specialmente se sei tu il cuoco! » annuii e mi affrettai in cucina.

    ***



    Jessica si stiracchiò, un’espressione di beata contentezza sul volto, quando l’ultimo pezzo di crêpe ebbe attraversato il suo esofago, raggiungendo così i compagni caduti. Felix leggeva il giornale dall’altra parte del tavolo, uno stuzzicadenti che gli ballava in bocca. Mi accasciai allo schienale della sedia, con un gran sospiro. « Erano buonissime! » si complimentò la ragazza, rivolgendomi un sorriso; « quando vuoi » le risposi. Mi grattai ancora la spalla, che prudeva più di prima. « Giusto! Vediamo quelle bende! » Jessica si alzò e, senza nessun preavviso, mi sfilò la maglietta. Arrossii all’istante, impotente. La situazione peggiorò ancora, quando sentii la pressione delle bende allentarsi sempre più, fino a lasciarmi a torso nudo. « E’ una gran bella cicatrice… cazzo, che schifo! », « linguaggio! » Felix si alzò a sua volta, gettò il giornale ripiegato sul tavolo e mi raggiunse. Sentii i suoi polpastrelli toccare delicatamente il punto in cui ero ferito; si poteva percepire chiaramente il suo persistente succhiare e spostare con lo stuzzicadenti. Poi un grugnito di assenso. « Come senti le ossa? » mi chiese, « non fanno più male e posso respirare normalmente », « fa vedere il petto » obbedii e mi girai sulla sedia. Felix scrutò i resti della ferita con grande attenzione, tuttavia il suo sguardo schizzò verso la posizione del cuore. Indicò quel che lo attirava, con una scintilla interessata negli occhi. « Quello è… » stava dicendo, ma io lo interruppi: « un tatuaggio! »
    Wolfe, dal canto suo, non demorse e continuò quel che aveva iniziato a dire: « un Sigillo dalle Dodici Punte! » ci passò un dito sopra, facendomi il solletico. Rabbrividii. « Il cosiddetto “Neiru”, il “Chiodo”. Conoscevo un tizio, di nome Baku… Baku.. Qualcosa, che se ne andava in giro ad imprimerlo alle persone per dispetto. E questa è senz’altro opera sua », spalancai gli occhi, « conoscevi Baku?! » sbottai. Felix annuì, un po’ scuro in volto, « sì. Un ragazzo brillante. Era un ninja che si era arruolato nell’unita mia e di Robert » sbuffò, « solo che venne congedato con disonore dopo che lo beccarono a fare esperimenti con un liquido esplosivo di sua invenzione. Poi, qualche anno più tardi – si parla di dieci anni dopo, eh! – sono venuto a sapere che si è unito a un gruppo terroristico… come si chiamava… ? » si grattò la testa, « aka… tsu… » fece un gesto poco paziente. « In ogni caso, sembra che sfruttasse una specie di “demone” che aveva catturato attraverso il Chiodo per maledire ed uccidere delle persone che gli sembravano adatte a lasciare questo mondo » sputò a terra, disgustato, « che pezzo di merda! E suppongo tu l’abbia incontrato! » annuii, « mi ha “inchiodato” dentro un demone di nome Unmei, pensando che mi avrebbe ucciso » indossai nuovamente la maglietta mentre continuavo a spiegare, « ma la cosa gli si è ritorta contro: Unmei mi disse, in sogno, che non era mai stata sua intenzione togliere la vita a tutti quegli innocenti, ma il potere delle Dodici Punte era troppo persino per lui. Allora, una notte, decidemmo di ribellarci a Baku e ad ammazzarlo. Ci riuscimmo, solo che, da allora, Unmei è assopito » mi toccai il cuore, « e lo è tutt’ora. Gli promisi che lo avrei liberato, in qualche modo » Felix mi ascoltava con aria grave. Forse la storia di Unmei gli era sembrata veritiera? Forse sì, dal momento che le parole arrivavano direttamente dalla fonte. « Il Cercoterio Rinnegato…? » sentii Jessica sussurrare a sé stessa, la guardai per un momento, mentre tentavo di interpretare quel che ero riuscito a cogliere. « Non è così semplice spezzare un Chiodo » mi avvertì Wolfe, « ho sentito dire che l’Ospite deve desiderare con tutto il proprio essere la liberazione di quel che era stato intrappolato. Dovrà essere la tua unica ragione e desiderio di sopravvivenza. La tua ultima speranza » tornò a sedersi ed accavallò le gambe.
    In un istante, mi ricordai cosa dovevo dirgli. « Prima di tutto » iniziai, « vorrei ringraziarvi per avermi ospitato in casa vostra, durante questi giorni », Wolfe aprì le braccia, orgoglioso, « sei il benvenuto! », sventolai una mano per permettermi i continuare, « in ogni caso, credo proprio che sia ora che io riparta », « sei sicuro? » fece Jessica; annuii, « sì, queste ferite mi hanno messo fuori gioco per troppo tempo », « nonostante tu sia guarito da un sanguinamento mortale in soli tre giorni » mi rammentò il tiratore scelto, feci spallucce. « Son fatto così! » mi alzai, « devo andare alla Palestra di Mineropoli e… », « la Palestra, eh? » mi interruppe di nuovo il vecchio, « allora lascia che ti dia uno strappo con P.I.B. », « l’hai finita?! » sbottò la Duellante, eccitata, il padre annuì con il petto gonfio d’orgoglio. « Puoi scommetterci! E il nostro Silvio ha avuto modo di sentirne il motore dall’altra parte della casa! » rise sonoramente, con lo stuzzicadenti stretto tra pollice e indice, quasi fosse stato un sigaro. Sorrisi dinanzi alla sua ilarità, ma Jessica sembrava offesa dal suo comportamento, « come sarebbe a dire “nostro”…? » farfugliò, le sopracciglia aggrottatissime e il muso lungo. Sembrava quasi una bambina alla quale si era detto di no.
    « Quand’è che vuoi partire? » mi fece Felix; « tra un’ora » risposi prontamente, « una volta vinta la Medaglia, vorrei incamminarmi immediatamente e macinare quanti più chilometri possibile in direzione di Giardinfiorito. Da lì, mi dirigerò ad Evopoli, dove so esserci un’altra Palestra », « mmh! » esclamò Wolfe a labbra serrate dalla veranda, mentre dava un tiro alla sigaretta che aveva appena acceso, « quando arrivi lì, sta all’erta! Ho sentito dire che certi bastardi stanno facendo scoppiare casini su casini, laggiù! », Jessica poggiò il mento su una mano e si rivolse a me: « già, saresti veramente uno stronzo se ti cacciassi nei guai a causa loro! »; cos’è, una replica di qualche giorno fa? Felix stavolta non intervenne per raddrizzare il linguaggio volgare della figlia, dal momento che quest’ultima fu ben attenta dal farsi sentire da qualcun altro all’infuori di me. Sospirai pazientemente. « Allora lascia che mi prepari. Tu sei pronto? » il cecchino rientrò in casa. Il puzzo della sigaretta lo seguì a ruota, facendomi coprire il naso quasi subito. Annuii. « Devo solo riempire le borracce e cambiarmi », l’altro si spazzolò le mani, per poi dirmi di cominciare i preparativi. Feci per tornare nella stanza degli ospiti, quando sentii dire a Jessica: « mi preparo anch’io! »; mi fermai di colpo, per poi voltarmi di scatto. « Prepararti per cosa? » la interrogai, sembrava stizzita, « vengo anch’io, che domande! » si posò le mani sui fianchi, « non ti mollo così facilmente, “Cuore di Drago”! », ribattei subito: « come mi hai chiamato?! »; la ragazza rimase di stucco, nonostante non avessi alzato la voce. Era evidente che ero stato troppo freddo. « Io… » disse, timidamente, « ho fatto delle ricerche su un Duellante appassionato di Draghi molto giovane che si è iscritto all’Accademia… » arrossì, imbarazzata, « da lì sono finita a sbirciare nei tabelloni della Fortune Cup, tenutasi due anni fa, nella Nuova Città di Domino… e ho trovato un nome: Silvio Shine, alias il “Cuore di Drago”, conosciuto così fin dal giorno dopo il torneo… » mi voltai per andarmene, « ho visto il tuo Drago Guardiano! » mi fermò di nuovo, « era parecchio simile al mio Vento di Venere… Perché non l’hai evocato durante il nostro Duello? Dov’è adesso? »
    Seguì una lunga pausa.
    « Rubato »
    E mi congedai.

    ***



    Recuperai la felpa, anche questa rimessa in sesto in maniera perfetta, e la poggiai sul letto. Agguantai lo zaino e lo rivoltai, mostrandone il retro: vi era già fissato il fodero della spada donatami da Camilla. Presi Fenrir, mentre mi chiedevo come avrei potuto trasportarla. Naturalmente, volevo utilizzarla in battaglia e, da quanto ero riuscito a capire, quell’arma era adatta ed equilibrata per qualsiasi mano, sia sinistra che destra. Posso usarla con la sinistra, mentre con la destra… Il mio sguardo indugiò sulla guardia crociata dell’altra lama. Annuii. Era una buona idea. Posai il fodero della spada di mio padre su quello dell’altra, tentando di immaginarmela sulle mie spalle; la sua elsa avrebbe dovuto spuntarmi tra il collo e la spalla sinistra, in parallelo alla sua compagna d’arme; presi la sua cinghia di cuoio e, con cura e lentezza, cominciai ad avvinghiarla in modo da adattarla allo schienale della bisaccia, come avevo già fatto poco tempo prima. Strinsi bene le due estremità e sollevai lo zaino con una mano: le due sorelle rimanevano perfettamente unite l’una all’altra e al bagaglio, senza minacciare di cadere o scivolare. « Perfetto » commentai, dunque posai la bisaccia a terra ed indossai la felpa. Presi il Pokékron e lo infilai al polso, dopo averlo acceso; un istante dopo, però, quest’ultimo cominciò a vibrare insistentemente. Di scatto, guardai lo schermo del computer da polso, dove una scritta luminosa diceva: “chiamata da parte di: Camilla Shine, e due tasti, uno verde e uno rosso, erano apparsi sul vetro sensibile al tocco. Inarcando un sopracciglio, strusciai il polpastrello sulla parte colorata di verde. Subito dopo, la schermata precedente scomparve, lasciando tempestivamente il posto ad un’immagine di Camilla in tempo reale. Alle sue spalle c’era un’enorme quercia, ed era possibile sentire il frusciare delle foglie di quest’ultimo. A ritmo col vento, le ombre prodotte dai rami dell’albero andavano, di tanto in tanto, ad oscurare leggermente l’immagine della mia sorella maggiore, che, quel giorno, indossava una leggera camicia azzurra. Portava i lunghissimi capelli sciolti e liberi di farsi tormentare dalla brezza. Era evidente che aveva un po’ di tempo libero che aveva deciso di spendere a riposare all’ombra di quella pianta, in una giornata così splendida. « Finalmente! » sbottò, assordandomi, « sono giorni che ti chiamo e tu non rispondi! Si può sapere dove hai messo il Pokékron?! »; sospirai, « sono stato fuori combattimento per un po’», « hai combinato un’altra delle tue, eh?! » fece, furiosa. Si stava annoiando così tanto da volermi fare una predica? In quel momento? « Dove sei, ora? Mi sembra una casa abbastanza lussuosa! Cos’è, hai conquistato un’altra ragazza? » il mio sistema di autodifesa scattò sull’attenti, « rallenta un attimo! » le dissi, « sai bene che tengo molto a Ino! »
    Camilla rise, « sì, è la stessa cosa che mi hai detto quando mi hai raccontato di quello che è successo con Akiza! », il mio viso divenne rovente, « ti ho detto che abbiamo chiuso! » ripetei. Mia sorella attaccò un accesso di ilarità. Mi schiaffai una mano sulla fronte: mi stava prendendo in giro sin dal primo minuto della telefonata. Non riuscii a fare a meno di imprecare a denti stretti. La ragazza smise di ridere, dunque ricominciò a parlare: « come te la passi, fratellino? »; sorrisi, « ora sto meglio, grazie » le risposi. Lei aggrottò le sopracciglia, « meglio? » mi fece eco.
    « Si è rimarginata bene? » annuii, « beh, ti sei cacciato di nuovo nei guai, ma conoscendoti, avrai sicuramente fatto a pezzi quel robot senza troppi problemi! » mi elogiò, per tutta risposta mi grattai la testa. « Silvio, sei pronto ad andare? » la voce di Jessica squillò alle mie spalle, mentre sentivo richiudere la porta; « sì, arrivo tra poco » le comunicai. « Ma con chi stavi…? » la ragazza notò il mio Pokékron e la chiamata in corso; in un lampo, mi afferrò il polso e se lo portò sotto il naso. « Camilla?! », la venticinquenne spalancò gli occhi; « Jessy! » strillò. Si conoscono, ‘ste due? Mi chiesi, facendo schizzare gli occhi da una donna all’altra. « Come stai, smorfiosetta? » chiese l’ultima a parlare, « io sto alla grande e non molto tempo fa ho fatto uno dei Duelli più spettacolari della mia vita! E tu, stronza? »
    Le due continuarono a parlare senza sosta, con me appeso alla mano di Jessica dal polso. Sospirai. Quand’è che posso partire?
    « Presumo siate nella vostra residenza di Mineropoli! » disse Camilla. « Esatto! » ringhiai, e con uno strattone mi riappropriai del braccio sinistro; « quando mi hai chiamato, stavo giusto preparandomi per andare alla Palestra », « e io l’accompagno! » si intromise la Wolfe, « non lo mollo così facilmente, il tuo fratellino, Camy! » mia sorella mi scoccò un’occhiataccia, alla quale risposi con delle spallucce. Lentamente, indossai lo zaino sulle spalle; « aspettaspettaspetta! » mi fermò la Campionessa, « cos’è quella? » indicò l’elsa della lama appena aggiuntasi al mio arsenale. « Oh, è Fenrir! » le risposi, sorpreso dalla sua reazione, « la spada che usava papà! » Camilla rimase a bocca aperta. « Non aveva mai voluto farmela vedere » sussurrò, intimidita, « e ora capisco perché. E’ terrificante! » sembrò rabbrividire, « hai avuto altro, di lui? » annuii, « il suo ciondolo » abbassai il Pokékron all’altezza del petto, in modo da mostrarle il gioiello; « la “Fiamma di Dio”! » disse la bionda, « o, almeno, è così che la chiamava papà! » riportai il marchingegno agli occhi, « diceva sempre che non si era mai colorata di blu… Non ho mai capito cosa intendesse » si massaggiò il mento. Qualcuno sembrò avvicinarsi a lei, perché alzò lo sguardo dal suo computer. « Signorina Shine, i giornalisti con i quali aveva appuntamento sono arrivati » parlò l’uomo, perché di un uomo si trattava, senza ombra di dubbio. Camilla sospirò stancamente. « Dì loro che sto arrivando. Buona fortuna nel tuo incontro in Palestra, Silvio! » ricambiai il saluto, e lei interruppe la chiamata, lasciando che la schermata principale riprendesse il suo posto. « Sembra impegnatissima » constatò Jessica, alla mia sinistra. La sua appariscente maglietta blu notte e i suoi jeans scuri facevano un contrasto mostruoso con la colorazione della stanza in cui ci trovavamo. E certamente, risaltavano le sue forme, poiché erano molto stretti. Annuii alle sue parole; « è sempre stata così » affermai con aria grave, « da quando ha vinto alla Lega di Sinnoh, non ha mai avuto molto tempo libero. Ed è la Campionessa da dieci anni! » aggiustai la spalliera dello zaino sulla schiena. « Su, è ora di andare »

    ***



    Felix ululò al vento, mentre guidava il suo beneamato P.I.B. a tutta velocità lungo l’autostrada che attraversava la pianura fino al centro di Mineropoli. L’asfalto era deserto, perciò l’uomo poteva sfogare la sua sete di velocità e potenza fino ad essere soddisfatto. La musica proveniente dallo stereo modificato faceva rimbombare le casse, appositamente montate sul retro dell’auto. Io che stavo sul sedile del passeggero, potevo osservare con quale velocità impressionante i palazzi della città si avvicinavano e si ingrandivano dal mio punto di vista. Sul sedile posteriore, invece, Jessica cantava a squarciagola, stonatissima, la canzone che in quel momento veniva riprodotta. « P.I.B.! » gridò Wolfe, « sì, signore? » rispose la voce dell’intelligenza artificiale installata nel complicato sistema della vettura, « “Make It Bun Dem”, ora! », « subito, signore! » P.I.B. cambiò canzone, e Felix ululò a tutti polmoni, mentre sfrecciavamo verso Mineropoli.
    Aprii la portiera e scesi. Osservai la struttura che mi si presentava dinanzi. Vista così, somigliava parecchio all’ingresso della miniera Braccioferro. La testa ancora mi rimbombava a causa dell’elevatissimo volume dello stereo di Darius, che aveva opportunamente spento. C’era silenzio. Strano, mi dissi, nessuno che combatte? Espirai lentamente. Il luogo era deserto. Neanche un’aura nelle vicinanze. « Sarà andato a pranzare? » Jessica mi raggiunse, « non ne ho idea » risposi a bassa voce, come a voler rispettare il silenzio presente lì. « E’ probabile che Pedro stia ancora alla Braccioferro, a lavorare! » comunicò Felix, senza scendere dall’auto; mi grattai la nuca. « Silvio, ci si rivede! » una voce mi chiamò da destra. Mi voltai: Dimitri Rudra stava avvicinandosi, mentre mi salutava con la mano. « Dimitri, salve! » ricambiai; d’un tratto, percepii una curiosa pressione sulle spalle. Girai la testa: Jessica mi stava dietro e mi stringeva forte con le braccia, imbronciata. Sembrava quasi che non volesse farsi vedere da Rudra. O forse aveva paura di lui? « Jessy, è un amico, non ti devi preoccupare, sai » tentai di calmarla, ma lei scosse la testa, senza parlare; « ha ragione! » intervenne l’incolpato, « non hai nulla da temere… Jessy! » pronunciò il nome della ragazza con un curioso scintillìo negli occhi. Jessica strinse ancor di più la presa, svuotandomi leggermente i polmoni. « In ogni caso » Dimitri si rivolse a me, « ho sentito dire in giro che non trovi il Capopalestra. Sta tornando dal lavoro, quindi sarà qui tra un quarto d’ora! », inarcai un sopracciglio, a sentire quell’affermazione. « Sparisci » Felix puntò la pistola alla testa del giovane. Era riuscito a scivolargli alle spalle senza farsi notare, proprio come un vero tiratore scelto. « Le domando scusa, signor Wolfe » Rudra alzò leggermente le mani, per dimostrare che non aveva cattive intenzioni. « Devo ripetermi? » il quarantenne tirò il cane del proprio revolver, preparandosi a far fuoco. Ma che diavolo succede?! Afferrai dolcemente l’avambraccio di Jessica, pronto a fuggire in caso di pericolo. « D’accordo, non vi darò altri fastidi » disse l’altro, per poi fuggire velocemente. Felix, con una stilosa evoluzione acrobatica della pistola, posò l’arma nella fondina che portava alla cintura, sotto il cappotto che Jessy gli aveva consigliato di indossare. Nello stesso momento, la ragazza lasciò la presa e mi abbracciò, in preda alle lacrime. Risposi all’abbraccio, senza però capire cosa fosse appena accaduto. Mi rivolsi al cecchino: « si può sapere che ti prende? Ti metti a minacciare un innocente con un’arma? »; lui sbuffò e si accese una sigaretta, aspirò un po’ di fumo e lo buttò fuori. « Rispondimi! » sbottai, innervosito; « non ti sei chiesto come avesse fatto a sentire in giro che non trovavi Pedro, nonostante fossi qui… da quanto? Quaranta secondi? » rispose, la sigaretta fumante tra le dita. Abbassai lo sguardo; in effetti mi era sembrato abbastanza sospetto. « Ma non importa » diede un altro tiro alla piccola ciminiera, « ha detto che sarebbe arrivato tra poco, no? Allora pazientiamo ed aspettiamo il grande Capo… » si poggiò alla fiancata di P.I.B., dove tirò nuovamente il suo revolver e prese ad esaminarlo con foga, come un bambino con un giocattolo che gli piace molto. Jessica si sedette sul sedile dell’auto, ancora un po’ scossa, mentre io prendevo a fare un po’ di flessioni.

    ***



    « Ho visite, a quanto vedo! » sollevai le gambe ed eseguii uno scatto delle reni, ritrovandomi subito in piedi; chi aveva parlato stava avvicinandosi dall’altra parte di P.I.B., « buongiorno, Felix! Ti serve altro piombo, per caso? » finalmente si mostrò alla vista: aveva ventun’anni, era evidente. Il viso, attentamente rasato, era spigoloso in corrispondenza della mascella e molto appariscente. I lunghissimi capelli neri e lisci gli arrivavano fino alla base del collo. Portava degli occhiali da vista dalla montatura nera, che, in quel momento, stava insistentemente riposizionando sul naso sudato. La sua tuta da minatore scarlatta era sporca di polvere e residui scuri. In mano portava un grosso sacco, zeppo di pietre. Felix scosse la testa e posò la pistola. « No » rispose, « e tu, invece? Trovato un bel carico di fossili, eh? » Pedro rise, « purtroppo ne ho trovato solo una decina. Per il resto, erano tutti minerali interessanti! »
    Wolfe mi indicò, « Pedro, ho qui uno sfidante per te. Silvio Shine da Duefoglie, ti presento Pedro Roccialma! Capopalestra di Mineropoli e studioso appassionato di fossili di pokémon antichi! », « ma allora, tu sei il fratello della Campionessa! » esclamò Roccialma, « dopo aver affermato di avere ritrovato un parente perduto, in una delle sue interviste, sono sempre stato curioso di sapere chi fosse » ridacchiò, « e ora suo fratello è qui, davanti ai miei occhi! » cos’è, una specie di fan? Inarcai un sopracciglio.
    « Forza, andiamo dentro, così potremo parlare della sfida! » si mise il sacco in spalla e si incamminò verso l’interno della Palestra. Lo seguii, con Jessica e Felix alle spalle. Mi voltai, fermandomi. « Non dovevate tornare a casa, voi due? » chiesi loro, Wolfe generò un grugnito interrogativo; « non ho mai detto che saremmo tornati indietro, una volta che ti avremmo accompagnato! » disse, aprii bocca per ribattere, ma Jessica mi interruppe sul momento: « dai, voglio vedere come gli rompi il culo a suon di calci! »; il padre le scoccò subito un’occhiataccia, ma non inveì. « Infatti, piacerebbe anche a me assistere al tuo combattimento, giovane Shine » confessò il cecchino. Sospirai, poco paziente. « E va bene, andiamo! » dissi e mi incamminai dietro Pedro.
    « Questa Palestra è stata costruita all’interno di una miniera di carbone abbandonata negli anni novanta » raccontò il minatore mentre proseguivamo lungo un corridoio scavato nella roccia ed illuminato da alcune lampade al neon piazzate sul soffitto. Era claustrofobico. « Mio padre, il precedente Capopalestra, preferiva di gran lunga l’enorme edificio di cemento armato che si era fatto costruire dall’altra parte della città! », « allora, perché lei preferisce un luogo simile, signor Roccialma? » chiesi cortesemente, « dammi pure del tu, Silvio! » Pedro ridacchiò dinanzi al mio eccesso di educazione, « comunque, ho fatto spostare tutto quanto qui perché mi ci sento più vicino ai miei pokémon », annuii, « già, so che sei specializzato in Tipi Roccia, no? » domandò Jessica a sua volta. Roccialma sorrise, « esatto! » confermò, « e tu, Shine? Quante Medaglie hai vinto, finora? » Inspirai nervosamente, « nessuna, in verità » confessai, « questo sarà il mio primo incontro ufficiale, in effetti ».
    Il Capopalestra ghignò, « un principiante! Ma non aspettarti che ti tratti con i guanti! » battè le mani. « Bene! Eccoci! » arrivammo in un enorme spazio buio. Strizzai gli occhi d’istinto. L’opprimente sensazione di isolamento causata da quell’inevitabile cecità mi dava sempre sui nervi. Strinsi i pugni. « Scusatemi, ora accendo le luci… » sentii Pedro allontanarsi; qualcosa mi strinse il braccio sinistro. Sussultai nel sentire Jessica sibilarmi all’orecchio: « neanche tu sopporti il buio? »; « no » risposi assumendo lo stesso tono di voce, « perché? » mi sentii in imbarazzo, « mi fa sentire più solo di quanto non sia già… » strinsi i denti. Un grosso scoppio riecheggiò per tutta la Palestra e gli enormi riflettori illuminarono l’intero ambiente, rivelando così alla vista il Campo Lotta all’interno del quale si sarebbe svolto il fatidico incontro. « Mi sono perso qualcosa? » fece Roccialma, quando fu tornato, nel notare la Wolfe avvinghiata al mio arto. Lei mi lasciò andare, per poi rispondere: « forse… »; Felix ridacchiò alle nostre spalle. « Capopalestra, ho fatto il prima possibile! » una nuova voce intervenne nel discorso. Mi voltai: un uomo sulla prima trentina e dai capelli chiari stava camminando di tutta fretta nella nostra direzione. Indossava una maglietta a strisce bianche e nere, mentre in mano portava una coppia di bandierine, una gialla e una rossa. Un arbitro? « Ovviamente, ho chiamato questo gentiluomo, se proprio dobbiamo combattere! » mi informò Pedro quando mi vide interrogativo, « in questo modo nessuno dei due imbroglierà. Viva le regole, eh? » scoppiò a ridere. All’unisono, io e Jessica ci schiaffammo la mano destra sulla fronte, nel sentire la pessima battuta del minatore. « Vogliamo iniziare? » gli chiesi, ritrovata la pazienza; Roccialma annuì, « sì, ti abbiamo fatto già aspettare abbastanza. Devo solo recuperare i miei pokémon. Un minuto, per favore! » e si diresse verso una coppia di taglia-fuori, che subito oltrepassò e si chiuse alle spalle. Sospirai. « Vi prego di accomodarvi, in attesa del Capopalestra Pedro » ci esortò l’arbitro, indicando i piccoli spalti che circondavano il Campo Lotta. Annuimmo, dunque ci sedemmo sulla panca più alta, a due metri da terra, sulla parte destra del terreno.
    « I’ve become so numb, I can’t feel you there. I’ve become so tired, so much more aware… » canticchiavo, mezzo annoiato. Jessica continuava a tendere l’orecchio, cercando di capire di che canzone si trattasse; Felix, invece, discuteva con l’arbitro seduto accanto a lui circa le regole delle lotte in Palestra. Sembrava molto più interessato di quanto si volesse credere. Forse voleva intraprendere una carriera da Allenatore? Avrebbe fatto faville, a tutto dire.
    « Scusatemi! » la voce Pedro si levò dall’altra parte della Palestra. Sollevai gli occhi assonnati e lo vidi sventolare la mano per attirare la nostra attenzione; « vi ho fatto aspettare più del dovuto! »
    « Non preoccuparti! » gridò Felix in risposta, « è passata poco più di un’ora, che vuoi che sia? »; risi al pesante colpo di puro sarcasmo da parte di Wolfe. Roccialma, dal canto suo, non sembrò capire, e stava già avviandosi verso l’estremità del Campo Lotta che avrebbe occupato per il resto dell’incontro. « Ti sei deciso? » sbottai mentre mi stiracchiavo la schiena ormai intorpidita. « Sì, iniziamo questa lotta! » annuii, per poi alzarmi con tutta calma. Scesi i gradini degli spalti e controllai il Pokékron per un momento. Diamoci dentro, allora!
    Mi posizionai proprio davanti al Capopalestra, ad una distanza considerevole, all’interno di una piccola area disegnata con il gesso per terra. Eseguii dei saltelli per riuscire a concentrarmi sull’imminente combattimento; tuttavia, tutto ciò che riuscii a fare fu scaldarmi le gambe. Mi accigliai. Nel frattempo, l’arbitro raggiunse la metà campo, prese le bandierine con entrambe le mani ed iniziò finalmente a parlare: « quest’oggi assisteremo all’incontro ufficiale tra il Capopalestra di Mineropoli, Pedro Roccialma e lo sfidante, Silvio Shine da Duefoglie! » alzò la bandierina sinistra, indicandomi e guardando sempre dinanzi a lui, « quest’ultimo non ha ancora vinto nessuna Medaglia! Questa lotta potrebbe rappresentare il suo vero debutto nella Lega Pokémon! Tutto quello che possiamo fare, per il momento, è stare a vedere ed attendere il risultato! » indicò l’interno del campo, « questa sarà una lotta tre contro tre. Sarà considerato il vincitore l’Allenatore che sarà riuscito a mandare fuori combattimento tutti i Pokémon dell’avversario. Inoltre, solo ed esclusivamente lo sfidante avrà la possibilità di cambiare Pokémon in qualsiasi momento » riportò il braccio al fianco, « ora potete mandare in campo i vostri primi Pokémon! »
    Attivai il sistema di contenimento del Pokékron e ne tirai fuori la Pokéball di Piplup. Non voglio usare Lucario fin dall’inizio, mi dissi, meglio tenerlo per quando mi ritrovo nei guai…
    « Piplup, iniziamo! » scagliai la sfera, che subito liberò il minuscolo pinguino. Il Pokémon d’acqua atterrò sulla mia parte di campo, pronto a lottare. « Inizi subito con un Tipo avvantaggiato. Qualcuno ti ha consigliato? » urlò Pedro dalla sua postazione, « diciamo di sì! » risposi, ricordando gli avvertimenti di Rudra quando l’ebbi conosciuto. « Allora io scelgo questo! » lanciò la sua Ball, « vai, Onix! » la creatura che apparve era enorme, di forma serpentesca e fatta di rotonde rocce unite assieme. Misurava nove metri in lunghezza e la sua testa presentava un lungo corno piatto che puntava verso l’alto. I suoi grossi occhi si spostarono lentamente da Piplup a me, poi di nuovo su Piplup. Non aveva previsto di combattere contro qualcuno come noi… ansia cominciò ad invadermi piano la mente. Espirai e socchiusi gli occhi. L’ansia da prestazione non era un’opzione… toh, una rima! Mi battei il palmo sulla fronte; e concentrati!
    « La prima mossa spetterà allo sfidante. Che la lotta abbia inizio! »
    « Piplup, vai con Bollaraggio, subito! » ordinai tempestivamente e il mio compagno balzò in avanti, mentre scagliava contro l’Onix un gigantesco ammasso di bolle superefficaci; « Codacciaio! » ribattè Pedro. L’attacco di Piplup venne totalmente vanificato, quando il serpente petroso spazzò la propria coda, in quel momento illuminatasi di energia argentea. « E ora Stridio! » Onix aprì la propria bocca, dunque cacciò un urlo a dir poco assordante in direzione dell’avversario; quest’ultimo, si coprì le orecchie d’istinto. Non riuscii a biasimarlo: un’unica nota così acuta e prolungata avrebbe potuto lacerare i timpani di chiunque. Ed era esattamente questo il fine della mossa, ovvero assordare il nemico in modo da fargli abbassare drasticamente la guardia. E stava funzionando. « Piplup, levati di lì! » gridai a squarciagola, nel tentativo di sovrastare quell’insopportabile verso di gola. Il Pokémon, però, non riusciva a sentirmi, per quanto mi facessi sanguinare la trachea. Digrignai i denti. « Rocciotomba, ora! » lo stridio si interruppe di colpo e dalle fauci di Onix cominciarono a generarsi rocce grosse come frigoriferi. Con un unico movimento arcuato in avanti, il Pokémon scagliò il terrestri proiettili contro il Tipo Acqua. Questi, però, riuscì a rendersi conto della situazione appena in tempo, per poi evitare totalmente il colpo con un invidiabile salto mortale all’indietro; atterrò un po’ bruscamente, lì scosse la testa, tenendosela tra le pinne. « Sei ancora intero? » gli chiesi; annuì, rimettendosi sulle zampe. « Bene, riprova con Bollaraggio! » Piplup scattò e prese a correre con tutte le sue forze verso l’altra metà campo. Eseguì un salto lungo, mentre caricava la propria mossa; « atterralo! » fu l’unico altro ordine del maestro di Tipi Roccia, allora il serpente inarcò il corpo all’indietro, fino a ritrovarsi a guardare negli occhi il proprio Allenatore, poi, quasi fosse stato una pesante frusta fatta di pietra, abbattè la grossa testa proprio sulla cima del cranio del povero Piplup, ritrovatosi proprio nel punto meno opportuno in quel momento. Non appena il pinguino ebbe toccato terra, il pavimento lo accolse aprendo un cratere delle sue stesse dimensioni. L’impatto fu di una violenza inaudita, tanto da riuscire a stordire il poveretto in un unico colpo. « Piplup! » gridai, ma non si levò risposta da parte sua. Non riuscii a non spalancare gli occhi. Non ce la fa più…? Non mi sarei stupito, dopo un trauma simile.
    « Tutto qui? » chiese Pedro, lo guardai: era convinto di avere la vittoria in tasca, glielo leggevo in faccia. « Devo essere schietto, mi aspettavo che il fratello della grande Camilla Shine valesse qualcosa di più! » si scostò i capelli dagli occhi con la mano guantata, « tieni fede al tuo nome, Silvio! »
    Mi feci schioccare le nocche. Ero già stato provocato in quel modo, da una persona presente in quella stessa stanza e non troppo tempo prima. Aggrottai le sopracciglia, dunque controllai l’aura di Piplup: era un po’ indebolita, ma ardeva abbastanza da permettergli di continuare. Sogghignai, « ti consiglio… » il pinguino si alzò, quasi come se le mie parole lo facessero muovere, « …di non sottovalutarci! » lì, scattò in alto, dritto contro la testa che lo aveva appena atterrato. « Ancora una volta! Bollaraggio! » Piplup letteralmente inondò il nemico con le proprie bolle, come proiettili letali, fino a sollevarlo di un paio di metri. Di colpo, il Pokémon interruppe l’attacco, finendo per ripagare l’altro con la propria moneta. « Continua finchè non chiede pietà! » il Tipo Acqua insistette con l’ondata di sfere d’acqua, direzionandole in ogni punto del corpo di Onix che poteva essere colpito; « Codacciaio per respingerlo! » il serpente rotolò verso destra, dunque menò un fendente con la propria coda dall’alto verso il basso, scagliando via il suo minuscolo avversario. « Finiscilo con Sdoppiatore! » Onix si catapultò verso Piplup, ancora in aria, e lo colpì violentemente con la propria inerzia. Il poveretto volò dritto contro il mio addome; afferrai il Pokèmon appena in tempo, l’impatto, tuttavia, mi spinse all’indietro di parecchi piedi. Crollai su un ginocchio con un piccolo gemito di dolore. Piplup stava tra le mie braccia e non si muoveva, senza sensi. Ringhiai al vuoto, nel constatare che non era più capace di proseguire.
    « Piplup non è più in grado di continuare! » annunciò l’arbitro ed indicò Onix con la bandierina destra, « vince Onix! »
    Recuperai la Ball del mio Pokémon e lo feci rientrare. Mi rialzai piano. Pedro, dal canto suo, era tutto contento. Solo un’altra sfida di poco conto, ero sicuro che stesse pensando proprio questo. Riattivai il sistema di contenimento, sostituendo la sfera che avevo in mano con un’altra. Toccai il tasto al centro di quest’ultima per farle recuperare le dimensioni originali.
    « Grotle, andiamo! » la grossa tartaruga bicolore atterrò pesantemente sul Campo Lotta, ruggendo poi il suo desiderio di combattere. « Cominciamo a ragionare! » commentò il Capopalestra, mi fece cenno di iniziare. « Foglielama, subito! » Grotle scosse i cespugli che aveva sulle spalle, facendo così svolazzare delle foglie, le quali, una volta fermatesi a mezz’aria, schizzarono tutte insieme verso Onix che, in quel momento, sembrava già abbastanza indebolito. Roccialma non era d’accordo. « Non credere che il mio Pokémon sia così rammollito da non riuscire a schivare un attacco simile! » mi canzonò, e proprio come aveva detto, il serpente balzò in avanti mentre rendeva l’intero attacco totalmente inutile. Non riuscii a fare a meno di sorridere: l’avevo in pugno. « Grotle, aspetta! » il Boschetto molleggiò sulle zampe, in attesa. Onix si stava avvicinando sempre più all’avversario. « Ancora un po’! » poi, quando mancavano poco più di quaranta centimetri all’impatto, latrai: « Azione! » il mio Pokémon abbattè tutto il proprio peso contro il rapido serpente, tanto da respingerlo con gran forza e fargli fare un enorme volo a cupola, fino ad atterrare proprio alla sinistra di Pedro. Aveva gli occhi chiusi e respirava molto lentamente: aveva perso i sensi anche lui. « Onix non è più in grado di lottare! » questa volta, quello a venir puntato dalla bandierina fu il mio compagno, « vince Grotle! »
    Applaudii, con un’espressione soddisfatta in volto. « Splendido colpo! » mi complimentai con il Pokémon, il quale sorrise praticamente subito. Pedro, per tutta risposta, fece rientrare il proprio nella Pokéball, per poi risistemarsi gli occhiali con il pollice. « Molto bene » disse piano, « allora possiamo anche passare alle armi pesanti, no? » prese un’altra sfera e la lanciò; « Cranidos! Facciamogli vedere come si lotta per davvero! »
    La creatura in questione era totalmente diversa da tutte quelle che avevo visto fino a quel momento: somigliava vagamente ad un minuto tirannosauro. Minuto perché non superava il metro d’altezza. Era di colore grigio per la maggior parte del corpo. La cima del cranio e l’intera lunghezza della tozza cosa erano azzurre. Esattamente quattro corna gli spuntavano dalla nuca. Gli occhietti rossi non facevano altro che squadrare con grande attenzione il simile che si ritrovava davanti. « Finiamola subito! Cozzata Zen! » ordinò l’Allenatore e il Pokémon, prima piegatosi bene sulle zampe, partì alla carica come un fulmine, la parte azzurra della sua testa che riluceva di luminescenza mistica. « Grotle, scarta a destra! » il mio compagno obbedì, poco prima di essere colpito, ma l’attaccante, deviando bruscamente la traiettoria del suo colpo, riuscì ugualmente a collegare la mossa, spazzando letteralmente via la tartaruga, che, in quel momento, non aveva idea di cosa stesse accadendo. Una volta atterrato sulle proprie zampe senza troppi problemi, cominciò a guardarsi disperatamente attorno, come se non riuscisse a rendersi conto di nulla. « Grotle, Megassorbimento, forza! » questi, però, inclinò la testa da un lato, senza capire il comando. « Zuccata! » questa volta, Cranidos decollò di una decina di metri, si fermò per un attimo in aria mentre cambiava posizione, per poi ridiscendere in picchiata, la testa verso il basso, pronta a colpire proprio il punto in cui si trovava il Boschetto, ancora spaesato. « Oh, ca… » quando l’impatto avvenne, il terreno subì un poderoso scossone. Lo stesso doveva aver provato Grotle ad incassare quell’attacco: infatti i suoi occhi gli si rivoltarono subito nelle orbite e il suo collo minacciava di spezzarsi da un momento all’altro. Nonostante questo non avvenne, il danno era comunque considerevole e molto pesante. Il Boschetto barcollò pericolosamente, gli occhi ancora vitrei; un istante dopo, però, si riprese e cominciò a scuotere il capo, in modo da riprendersi dalla mancanza di lucidità che lo stava dominando. « Ancora Cozzata Zen! » l’altro approfittò di quel momento per sferrare l’ultimo attacco.
    « Grotle, abbassati! » con velocità sorprendente, la tartaruga si sdraiò sul ventre; questa volta, Cranidos aveva eseguito un salto troppo alto, durante la sua carica, dunque mancò il bersaglio clamorosamente. « Usa Morso e lancialo via! » subito Grotle si rialzò, per poi azzannare la coda del pokémon di roccia. Lì, si girò con forza fino a voltarsi e lasciò la presa, scagliando il malcapitato dritto dinanzi a sé. « Foglielama! » il Pokémon d’Erba mosse bruscamente il guscio da un lato all’altro, e subito le foglie affilate come rasoi presero ad inseguire il Cranidos in volo; « inseguilo e usa Azione! » la creatura non esitò e si gettò a sua volta a capofitto, fine al colpire il proprio avversario il più forte possibile con il suo stesso corpo. Non appena le lame verdi ebbero ferito il bersaglio, come un bufalo in carica, Grotle abbattè la sua infinita inerzia proprio sul fianco sinistro del minuto tirannosauro, per poi sollevare violentemente la testa, costringendolo a decollare di non pochi metri. « Atterra! » sbottò Pedro, vedendo subito il suo Pokémon sforzarsi per riuscire a posizionare il capo in basso, al fine di incrementare la velocità di discesa. Poi, poco prima di ritrovarsi a fissare negli occhi il mio compagno, tutto sembrò rallentare. Di botto, Roccialma ordinò: « Zuccata! »; Cranidos eseguì un piccolo salto mortale in avanti per accumulare energia cinetica, per poi colpire con un potente rimbombo. Grotle battè la testa a terra e svenne all’istante.
    « Grotle non è più in grado di combattere! » l’arbitro sventolò la bandiera, « vince Cranidos! »; sbuffai, ormai sul limite della rabbia. Due Pokémon andati al tappeto dopo uno sforzo immane, mentre Pedro ne aveva altri due belli che pronti, nonostante uno di essi avesse già subito gravi danni.
    Mi mordicchiai il labbro, fino a sentire fuoriuscire del sangue. Avevo intenzione di tenere Lucario per un momento di crisi, è vero, ma questo momento era arrivato fin troppo presto; mi aspettavo di tirarlo fuori quando avrei dovuto affrontare l’ultimo Pokémon, non appena il secondo. Ringhiai per un istante, poi feci rientrare Grotle.
    Lentamente, presi mano la sfera dell’Aura, pensoso. Se Lucario prende troppi danni, affrontare l’ultimo potrebbe rivelarsi impossibile… guardai distrattamente la capsula, e tanti saluti al debutto nella Lega… strinsi le dita. Ma questo non significa che mi tirerò indietro adesso!
    « Pronto a continuare? » mi fece l’arbitro; annuii. Allora l’uomo mi fece cenno di mandare in campo il prossimo Pokémon. Inspirai profondamente, dunque lasciai defluire l’aria. Mi sentivo addosso lo sguardo della coppia Wolfe, dagli spalti. « Lucario, facciamola finita! » con tutta la mia forza, scagliai la Pokéball in campo; nel suo classico lampo di luce che segnalava il rilascio della creatura contenuta, la sfera si aprì, facendo apparire il Pokémon Aura: stava dritto in piedi, le braccia incrociate, gli occhi chiusi e meditabondi.
    Pedro osservò il suo prossimo avversario per lunghi secondi. Aveva un sorrisetto sorpreso stampato in faccia; una vista a dir poco insopportabile. « Stavi nascondendo una potenza simile? » mi chiese con voce leggermente stridula, quasi fosse un bambino al quale si decide di regalare qualcosa che desiderava ardentemente. Poi scoppiò in una roboante risata; « e va bene! Non vedo l’ora di combattere con lui! Vai, Cranidos! Cozzata Zen! » lo pseudo-dinosauro annuì all’ordine del proprio Allenatore e si slanciò verso di noi. Lucario, tuttavia, non si mosse di un millimetro. Sogghignai; « ora! » abbaiai quando i due erano alla distanza giusta. Il Pokémon Aura spalancò gli occhi e, in un millesimo di secondo, assestò un poderoso montante destro dritto alla mandibola di Cranidos, che cacciò immediatamente un sofferente urlo di dolore, mentre veniva catapultato in aria per l’ennesima volta. Poco prima di lasciarlo atterrare, Lucario eseguì un piccolo salto sul posto, sollevò la gamba fin sopra la testa e colpì la schiena del nemico con una falciata discendente, lasciandolo subito senza sensi.
    L’Aura atterrò con stile, dunque si spazzolò le spalle con tutta calma e tornò con le braccia incrociate. Scoccò un’occhiata di sfida a Pedro ed attese il prossimo agnello da macello. « Cranidos non è più in grado di lottare! » annunciò l’arbitro, « vince Lucario! »
    Feci un gran sorriso e, curiosamente, io e Lucario eseguimmo con sincronia perfetta una piccola danza marziale, concludendo con una posizione di guardia. « Hai salvato la situazione! » dissi al Pokémon e lui, per tutta risposta, mi mostrò il pollice, sorridendomi da oltre la spalla sinistra. Pedro applaudì dopo aver fatto ritornare Cranidos nella sua Pokéball. « Avevo il sospetto che avessi un mostro simile con te, Shine! » disse; Lucario mi guardò, accigliandosi parecchio. Scossi la testa, « credo intendesse in senso buono! » lo rassicurai; il Capopalestra rise nuovamente, con rinnovata energia. « Siete un’accoppiata perfetta! Riuscite a capirvi subito! » battè un’ultima volta le mani, « va bene! Finiamo questa lotta! » prese la sua ultima sfera e la lanciò. Il Pokémon che si presentò dinanzi a noi, questa volta, era molto più grande dell’ultimo. Somigliava molto a Cranidos, ma era alto almeno il triplo, il cranio azzurro era considerevolmente più grande e le corna erano molte di più. La creatura scoprì i denti, minacciosa. Istintivamente, assunsi una posizione di guardia, stessa identica cosa che fece Lucario, entrambe le nostre aure ardevano di desiderio di combattere. « Vi presento Rampardos! » Roccialma alzò ancora la voce, « è la forma evoluta di Cranidos! E suppongo vi ricordiate quanti problemi vi ha dato, giusto? » ignorammo totalmente le sue farneticazioni. Piuttosto, stringemmo i pugni con maggiore forza. Pedro sorrise, questa volta di spavalderia; « Rampardos, Cozzata Zen! » con grande velocità, il Pokémon di Tipo Roccia caricò Lucario, la testa luminescente posta dinanzi a lui. Con movimento fluido, feci un passo a destra e il Pokémon Aura mi imitò alla perfezione, proprio al momento giusto, vanificando lo sforzo degli avversari. Tornammo entrambi in posizione, pronti a contrattaccare; « Spaccaroccia! » abbaiai e, con una falcata degna del più grande artista marziale, sferrai un gancio destro. Lucario eseguì i miei stessi movimenti e colpì Rampardos all’addome con un attacco superefficace. Eseguimmo tre saltelli all’indietro, dunque ci preparammo a contrastare la prossima mossa. Il Pokémon avversario era sdraiato a terra, in preda ad un violento attacco di tosse. Stava tenendosi lo stomaco dolorante per quanto le zampe anteriori glielo permettessero. Imperturbabili, continuammo ad osservarlo rialzarsi e ruggirci contro, furibondo. Socchiusi un occhio, in esame, e modificai leggermente la posizione, in silenzio religioso. Lucario, come se fosse stato legato a me da una sorta di filo invisibile, seguì le mie mosse alla lettera. Aspetta, un filo? Come se colto da un’idea improvvisa, controllai la mia aura: una parte si era allungata inconsciamente verso l’esterno fino a collegarsi… A quella di Lucario!
    Trattenni il fiato quando la scoperta ebbe invaso la mia mente. « Un’altra Cozzata Zen! Forza! » Rampardos riprese la carica; con un ghigno e una risatina, mi scostai come feci prima, l’Aura, però, non seguì i miei movimenti e venne colpito in pieno. Il cuore mi saltò un battito nel vedere Lucario venire proiettato all’indietro con forza inaudita. Ma che diavolo succede?! Per sicurezza, controllai l’aura: il legame si era sciolto. Il mio Pokémon si rialzò dolorante, scoccandomi un’occhiata interrogativa; forse, se tento di ristabilire il legame… Le ultime parole famose. Non avevo idea di come fare. Ringhiai, frustrato.
    « Vai con Pietrataglio! » il Pokémon avversario concentrò la propria energia e materializzò una miriade di pietre fluttuanti che subito scagliò contro il Tipo Lotta. Abbandonai il legame. « Al diavolo! Lucario, rotola a destra, veloce! » l’Aura si gettò a ore tre, rotolando via ed evitando l’attacco. Tuttavia, Pedro e Rampardos avevano capito che c’era qualcosa che non andava, dal momento che quest’ultimo aveva anticipato le nostre mosse e ora era pronto a schiantarsi contro Lucario. « Cozzata Zen! » lo sciacallo non fece in tempo a reagire, che subiva un altro attacco superefficace. Questa volta si accasciò a terra. Lo sentii digrignare rabbiosamente i denti; si tirò su, tremante, il fiato che cominciava ad appesantirglisi. Barcollai quando sentii la sua aura perdere drasticamente calore; cominciai seriamente a preoccuparmi. Aiutami…! Spalancai gli occhi; chi stava parlando? Tuttavia, quelle non erano parole. Bensì sensazioni, desideri. E provenivano da Lucario. Desiderava il mio aiuto, ma come avrei dovuto darglielo? I Lucario comunicano attraverso l’utilizzo dell’aura, pensai, e se da essa dipendesse in parte anche il loro sostentamento? Poteva essere un’idea. Presi subito a concentrare parte della mia aura all’esterno, in modo da lasciare che il mio Pokémon la assorbisse.
    Rampardos si avvicinò a Lucario, torreggiante. Quest’ultimo lo guardò, un senso di profondo indebolimento dipinto negli occhi. « Finiscilo con Cozzata Zen! » ordinò piano Pedro, come se stesse assistendo a un’esecuzione. Il suo Pokémon ghignò malevolo, guardando in basso. Il cranio che già gli si illuminava di energia. Ruggii mentre inviavo al mio martire un enorme ammasso di energia spirituale. Nello stesso istante, gli occhi di Lucario ripresero vita e lui, in un battito di ciglia, si proiettò dietro la schiena di Rampardos. Sogghignai, nonostante la stanchezza stesse cominciando a dominarmi le membra. « E ora… » presi fiato, « PRENDILO!! » l’Aura rispose con un sorriso a sua volta, dunque afferrò saldamente la coda di Rampardos e lo lanciò all’indietro. « Spaccaroccia, mandalo in alto! » Lucario si scagliò contro il nemico volante, sferrandogli poi un gran montante. Il Pokémon Roccia si ritrovò a sei metri da terra; strabuzzò gli occhi, senza capire. « Forzasfera! » il mio compagno si elevò a sua volta, mentre formava in mano la sua sfera aurea, dunque la schiaffò sul ventre dell’altra creatura causando un’esplosione che respinse entrambi i Pokémon. Lucario atterrò subito, ma Rampardos stava continuando il suo volo a cupola.
    « Usa Zuccata! » tentò di ordinare Pedro; « non lo farà! » lo interruppi. Un enorme dejà vu mi invase i pensieri. Sorrisi, subito dopo sbottai: « chiudiamo la faccenda con Palmoforza! » come una freccia, Lucario si proiettò nella stessa posizione dell’avversario. Lì, tenendo il Pokémon ancora in aria, poggiò il palmo destro sull’addome del poveraccio con violenza. L’esplosione luminosa abbagliò tutti i presenti.
    Quando i resti della mossa si furono diradati, tutti poterono vedere Rampardos inchiodato alla parete di fondo, svenuto. Solo allora mi resi conto di cosa fosse accaduto: quello era il terzo Pokémon a cadere, mentre Lucario era ancora in piedi. Ce l’abbiamo fatta…!

    ***



    « C’è poco da dire! » fece Pedro, « sono stato sconfitto da un Allenatore che non aveva neanche una Medaglia! » rise. All’esterno della Palestra tutto taceva ancora, ma presto la situazione sarebbe cambiata drasticamente, con l’ora di punta in rapido avvicinamento. « Beh, hai dimostrato di essere degno del nome che porti! », di nuovo! Sorrisi e strinsi la mano tesa del Capopalestra. L’arbitro gli si avvicinò e gli consegnò una curiosa custodia di metallo, che il maestro dei Tipi Roccia accettò con entrambe le mani. Si rivolse a me e mi mostrò il contenuto dell’oggetto: una placca di metallo lavorato della grandezza di una moneta stava beatamente sdraiata su un’imbottitura color rosso sangue. Il disegno ricordava vagamente il fronte di una Pokéball, solo che era totalmente colorata di grigio. « Silvio Shine da Duefoglie » annunciò con fierezza, « è per me un onore consegnarti la Medaglia che rappresenta il tuo debutto nella Lega di Sinnoh! Ecco a te la Medaglia Carbone! » delicatamente, presi l’attestato di valore tra le dita e lo misi nel Portamedaglie donatomi a Sabbiafine.
    « Cosa intendi fare, ora? » mi chiese poi, « mi incamminerò verso Evopoli, dove so si trova una Palestra Pokémon » lo informai. Pedro annuì; « intendi sfidare la mia amica d’infanzia, Gardenia Woods! E’ specializzata nell’utilizzo di Tipi Erba, quindi saranno parecchio veloci » lo ringraziai del consiglio, dunque mi congedai.
    Poco oltre l’ingresso, vi erano Felix e Jessica, entrambi poggiati alla fiancata di P.I.B. La ragazza si avvicinò, un sorriso amaro che le solcava il viso. « Dunque parti? » mi chiese con una punta di tristezza, annuii; « ho fatto tutto quel che dovevo, qui a Mineropoli » le sorrisi, « sai che non posso rimanere »; Jessica assentì, ma questo non contribuì a migliorare il suo umore, al contrario, divenne più cupo. So già che me ne pentirò… Tirai la ragazza in un caldo abbraccio; fu così improvviso che ella sobbalzò. « Questo non significa di certo che non ci rivedremo, eh! » le dissi all’orecchio; la sua aura si addolcì un po’. Con un’ultima pacca sulla spalla, mi rivolsi a Felix. « Grande lotta, ragazzo! » si complimentò, « ora bisogna andare avanti, giusto? » nonostante fingesse di essere così allegro, era evidente che in fondo fosse anche lui un po’ triste. « Mi mancheranno, i tuoi manicaretti! » affermò poi, « anche a me, e tanto! » si intromise Jessica; ridacchiai. Mi sentivo strano, però. Forse, mi stavo affezionando a loro?
    Battei le mani. « E’ ora che vada! » annunciai, i due annuirono, « Jessy, migliora le Evocazioni! » la ragazza arrossì e riuscii a vedere una lacrima generarsi dal suo occhio sinistro, prima che seppellisse il viso dietro le spalle del padre. « Ci vediamo, Felix! » strinsi la mano all’uomo, che sorrise, « distruggili tutti, tigre! » sibilò a mò di saluto. Entrò in auto e ne accese il motore, la figlia sul lato passeggero. Partirono, lasciandosi dietro solo un gran polverone e un potente rombo. Sospirai.

    Dunque mi voltai per lasciare la città.
     
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