[UNIVERSO OTAKU-VIDEOLUDICO]Infinite: L'alba del Ragazzo Leggendario

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    Qual è l'ultima cosa che un morto vede con gli occhi di un vivo? ...La luce...

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    - L'alba del Ragazzo Leggendario -



    INTRODUZIONE


    Un assassino


    Una famiglia devastata


    Un guerriero leggendario in cerca di vendetta


    Dicono che la solitudine non sia nulla, in confronto alla morte; che sia meglio vivere da soli per l'eternità, invece di morire e, possibilmente, rivedere le persone che più si hanno amato. Ma chi parla così non ha mai conosciuto la vera solitudine, e io, che l'ho provata sulla mia pelle, posso affermare che la solitudine non è soltanto una sensazione, bensì un vero e proprio male della carne che ti fa lottare con te stesso ogni giorno della tua sofferente esistenza e, nella tua mente, nutre un unico, crudele desiderio: farla finita, una volta per tutte...
    Mettetevi comodi, amici miei, poichè questa è la storia più lunga che io abbia mai potuto conoscere: la mia vita...


    GENERE


    Avventura puramente fantastica, talvolta possibilmente drammatica, che può assumere aspetti abbastanza violenti, se non splatter.


    COPPIE


    ND


    NOTE


    Questo mio racconto è ispirato ad OGNI SINGOLO MANGA, ANIME O VIDEOGIOCO che mi abbia dato l'idea per un possibile svolgimento della storia, ovviamente all'insegna anche dei Pokémon. Tenterò mi metterci tutta la mia abilità letteraria ed essa sarà la mia prima opera in assoluto, perciò vi prego di evitare di criticare con commenti del tipo "questa frase non ha senso" o "non c'entra niente" se prima non ha letto ciò che segue il punto fatidico.
    Detto questo, vi auguro buona lettura e spero di riuscire a coinvolgervi con le mie parole.
    KEEP IT UP!



    -SilvioShine

    Edited by SilvioShine - 12/5/2014, 14:37
     
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    CAPITOLO 1
    LADDOVE UN'ERA TERMINA...

    Chissà chi era mio padre, in realtà...
    Questa, ormai, era una domanda che mi facevo praticamente sempre da quando mia madre me ne aveva parlato. Ma la sua descrizione era stata talmente vaga che la quantità dei dubbi sormontava quella delle certezze, come una montagna sovrasta una collinetta.
    Mi sarebbe piaciuto conoscerlo...
    L'unica cosa che conoscevo di lui era il nome, ovvero Robert Shine e, da quello che mi era stato detto, egli era un importante e abile soldato che, nella sua ultima missione al fronte, era rimasto ucciso in seguito a un'imboscata nemica. Nonostante avessi solo dieci anni, mia madre era stata sempre poco delicata riguardo certe cose, specialmente quando il discorso andava a riguardare il passato della donna.
    Le domande erano troppe...
    <<silvio, ATTENTO!>> alzai lo sguardo di scatto e un pallone da calcio mi colpì dritto al viso, facendomi capitombolare all'indietro dalla panchina sulla quale mi ero seduto a riposare. Mi trovavo a scuola, più precisamente nel cortile destinato all'ora di educazione fisica.
    Mi tenevo il naso dolorante con la mano destra quando due dei miei compagni di classe mi accorsero in aiuto; <<amico, che botta hai preso!>> esclamò quello alla mia destra mentre mi porgeva una mano per aiutarmi a tornare in piedi. <<stai bene?>> chiese poi, una volta rimessomi in equilibrio sulle mie gambe; <<una favola>> risposi cercando in tutti i modi di evitare una crisi di pianto. <<ah, andiamo, non ti esce sangue, femminuccia!>> disse l'altro vedendomi tastarmi nuovamente le narici e controllare i polpastrelli subito dopo. Gli scoccai un'occhiataccia non appena ebbe pronunciato l'insulto, ma, prima che potessi ribattere, la campanella che segnava l'ora del ritorno a casa squillò e, a quel rumore, il putiferio più assoluto si scatenò nell'intero edificio scolastico e tutti coloro che si trovavano all'interno del cortile si dileguarono, lasciando il posto completamente deserto, come se quel luogo non avesse mai ospitato anima viva. Sospirai. Un piacevole venticello fece frusciare le foglie dei rari alberi rimasti lì. Mi stupii della velocità alla quale erano tutti corsi a casa: avrei scommesso qualsiasi cosa che nella scuola ci ero rimasto soltanto io in compagnia del mio zaino. Sorrisi e mi apprestai a recuperare i miei libri e finalmente abbandonare quel posto.

    ***



    <<sei in ritardo!>> annunciò mia madre non appena ebbi varcato la soglia di casa nostra: un edificio piccolo, ma caldo e confortevole. <<lo so, scusami>> mi affrettai a dire, ma lo sguardo severo di mia madre, Catherine Shine, non conosceva pietà; a quel punto altro non potevo fare se non abbassare lo sguardo ed attendere la classica ramanzina. Tuttavia, curiosamente, questo non accadde, anzi, mi ritrovai a guardare il viso di una divertita Catherine. A quella vista rimasi a bocca aperta.
    <<non fa niente>> disse, <<su, corri a lavarti le mani, che il pranzo è pronto!>> rallegrato di averla passata liscia per una volta, obbedii e mi godetti il pasto.
    Finalmente, dopo aver mangiato e sbrigato i miei doveri di studente, potevo rilassarmi con una buona lettura. Seduto sul soffice divano del nostro salotto, e con una bella stufa elettrica messa a riscaldarmi i piedi, sfogliavo con interesse morboso uno dei miei tanti libri di avventure nella piacevole penombra del tramonto di quel particolare giorno. Mia madre era accanto a me, silenziosa, a lavorare con grande maestria ad una delle sue creazioni di ricamo: io, ovviamente, credevo che la velocità con la quale riusciva a creare disegni così dettagliati e piacevoli da vedere fosse frutto di vera e propria magia. Con lo sguardo e la mente persi in mezzo alle righe, non facevo caso assolutamente a nulla, se non al cavaliere che combatteva furiosamente con un dragone che riuscivo a visualizzare in quelle pagine fitte di parole fantastiche, quasi arcane.
    Al di fuori della nostra abitazione, le persone facevano andirivieni costantemente, nonostante fosse quasi notte e il loro brusio, talvolta, mi distraeva dalle mie avventure.
    Quello che mi distolse nuovamente fu il silenzio che, tutto d'un tratto, era calato. Tutti tacevano, tranne alcuni che probabilmente avevano visto qualcosa di decisamente strano. <<guarda lì!>> disse piano un uomo, come se non avesse voluto farsi sentire se non dal suo destinatario; <<gia, li vedo!>> rispose l'altro, silenziosamente come il suo amico. <<non ti sembrano come vestiti da astronauti?>>; cos'è? Una parata? pensai entusiasmandomi all'idea di assistere ad un bello spettacolo e, magari, assentarmi da scuola il giorno dopo. <<sì, sembra anche a me. Ma non mi sembrano degli attori, guarda come sono seri!>> riprese l'uomo di prima, ma la risposta non arrivò mai: si sentì un potente sparo e il distinto rumore di un corpo che si accascia a terra. Allora mi spaventai. Il cuore prese a battermi all'impazzata, mentre spalancavo gli occhi e continuavo a seguire il discorso.
    <<buonasera a tutti voi, abitanti di Wine Hill!>> disse qualcuno dalla voce evidentemente amplificata da un megafono, <<mi dispiace molto distogliervi dalle vostre preoccupazioni, ma vi prego di ascoltare la mia richiesta...>> non ebbe neanche il tempo di prendere fiato per esporre il suo desiderio che dalla folla che sicuramente era riunitasi attorno a lui si levò il grido di una donna:<<torna da dove sei venuto, assassino che non sei altro!>>
    Si sentirono altri due colpi di fucile e le grida spaventate della marmaglia: la seconda vittima era stata mietuta. Con il cuore in gola, mi voltai verso mia madre, che ascoltava con grande attenzione. <<come dicevo>> riprese, <<ho una richiesta per voi: ditemi dove si trova l'abitazione della famiglia che va di cognome Shine e sparirò per sempre dalle vostre vite>> nessuno rispose; colui che aveva preso parola rise, <<nessuno lo sa, eh? Bene! Allora facciamo così: ora comincerò a ripetere la domanda, finchè qualcuno non mi risponderà e, tra una domanda e l'altra, attenderò cinque secondi. Scaduto questo lasso di tempo, se non avrò ricevuto risposta, ordinerò ai miei uomini di aprire nuovamente il fuoco e di uccidere uno di voi. Intesi?>>
    Ma è completamente pazzo?! Pensai, con il cuore che mi martellava nel petto.
    L'uomo enunciò la domanda... nessuno rispose: un altro colpo di fucile, un altro morto.
    La ripeté e, nuovamente, nessuno rispose: un colpo, un morto.
    Altre tre volte l'azione ebbe inizio e fine, finché un'altra voce si levò quando il dannato ebbe ripetuto la domanda per la sesta volta: <<abitano lì!>>
    Oh, no... mi disperai.
    <<molte grazie! Ora sparite, tutti quanti!>> ci fu un rumore assordante di piedi che colpivano il suolo freneticamente per diversi istanti: tutti coloro che erano sopravvissuti stavano fuggendo.
    Per un terribile minuto, il silenzio ebbe il sopravvento su tutta la situazione. Guardai mia madre che andava a guardare dallo spioncino della porta d'ingresso; <<silvio!>> sibilò, <<nasconditi sotto il tavolo, presto!>> obbedii senza discutere e mi infilai sotto il piano d'appoggio.
    Si sentì un pestone sulla porta: erano lì davanti. <<catherine Shine!>> gridò l'uomo, <<so che sei lì dentro!>>; <<mamma!>> sussurrai, ma la donna mi fece cenno di tacere all'istante.
    <<avanti!>> inveì l'altro, con evidente esasperazione, <<vieni fuori, e porta tuo figlio!>> Catherine non rispose; fuori dalla porta si sentì una risata isterica, <<molto bene, se entro venti secondi non avrai fatto quello che ti ho ordinato, entrerò io stesso e ti porterò quì a forza!>>
    La donna si rosicchiava le unghie a sangue. Come avremmo potuto sopravvivere? Che speranze potevamo avere? Ma, soprattutto, cosa voleva quel pazzo da noi?
    Sono già passati venti secondi...
    Timidamente, feci per uscire da sotto il tavolo, ma Catherine mi fulminò con un'occhiata; rientrai immediatamente nel nascondiglio.
    Trenta... è finita...
    <<così sia!>> disse l'uomo fuori dalla casa e si sentirono due colpi di fucile che colpirono la porta e la fecero scardinare. La piccola struttura in legno cadde a terra con un boato assordante.
    Vidi mia madre indietreggiare fino a ritrovarsi con le spalle al muro del salotto; con pesanti, ed esasperatamente lenti passi, il responsabile di tanta distruzione entrò in casa nostra: il viso era quello di un ventiduenne, dai capelli neri e occhi dello stesso colore. Aveva lo sguardo di chi era disposto a tutto pur di conquistare i suoi obiettivi. Era vestito con un completo militare nero, non come i suoi due seguaci che lo seguirono all'interno dell'abitazione. L'uomo dai capelli neri ghignò, facendomi ribollire il sangue; poi, espresse un unico ordine: <<prendetela!>>
    Gli altri due obbedirono, afferrando per le braccia la donna e stordendola con un colpo del calcio del fucile di uno di loro; Catherine si inginocchiò, dal momento che non poteva accasciarsi. Il cosiddetto comandante le si avvicinò e la costrinse a guardarlo in faccia tirandola per i capelli. In quel momento era così vicino al mio nascondiglio che, se avesse anche per caso guardato alla sua destra, mi avrebbe visto.
    Invece chiese con voce glaciale: <<dov'è tuo figlio?>>, ma mia madre era ancora bella che agguerrita, dunque si limitò a sputare in faccia all'intruso.
    Feci uno sforzo per non ridere. Beccati questo! Dissi tra me e me.
    <<portatela fuori!>> gridò l'uomo furibondo, e i suoi uomini obbedirono. Non riuscivo a vedere da lì, così, cautamente, mi spostai da sotto il tavolo fino a dietro una grossa aiuola che usavamo tenere dietro la porta.
    Catherine era costretta in ginocchio, in mezzo alla strada davanti alla nostra abitazione. L'uomo dai capelli neri le camminava attorno, le mani intrecciate dietro la schiena. <<ripeterò la domanda>> disse, spazientito, <<dov'è tuo figlio?>>; <<credi che lo dirò a te?!>> gridò lei, <<tu li hai massacrati, tutti quanti! Tutto quello che dirò ad un verme come te è di andare all'inferno!>> strattonò la braccia, ma gli uomini che la sorreggevano erano troppo forzuti. L'altro rise. <<dunque non lo sai?>> chiese e avvicinò la bocca all'orecchio della donna, per poi sussurrare qualcosa; ella rimase scioccata, <<no!>> gridò, lottando con ancor più forza, <<è impossibile! NON PUO' ESSERE LUI!>>; <<e invece sì!>> ribatté stizzito il comandante, <<dunque te lo chiederò per l'ultima volta: dove è Silvio Shine?>>
    <<mi porterò questo segreto nella tomba...>> sibilò Catherine, gonfiando il petto d'orgoglio; l'uomo rise nuovamente e, quando smise, pronunciò una frase che mi fece gelare: <<sì, si può fare>>
    Che cosa?!
    Il comandante si fermò dietro di lei, e da una fondina che portava all'ascella estrasse una pistola: ci mise il caricatore, tirò il carrello e fece scattare la sicura. Per poi puntarla alla testa della prigioniera. Catherine era voltata verso di me, in quel momento e, alzando gli occhi per un istante, mi vide. Sul viso le comparve un sorriso, il sorriso di chi è cosciente di quel che l'aspetta. No... pensai, sentendomi salire le lacrime agli occhi.
    Le labbra di mia madre si mossero, pronunciando senza voce un'unica parola: addio...
    L'uomo premette il grilletto, esplodendo il colpo; il bersaglio venne colpito e la testa della donna scattò violentemente in avanti, per poi rimbalzare all'indietro: sulla sua fronte si vedeva chiaramente un foro rosso di sangue grosso quanto una palla da golf. I due soldati lasciarono andare le sue braccia, facendola cadere con un tonfo secco. E da lì non si sarebbe più alzata...
    Il tempo si fermò, per le mie concezioni. Non esisteva altro se non il dolore per la perdita di una persona così importante per la mia vita. Non mi importava più di nulla. Corsi fuori dalla porta, mi inginocchiai accanto al corpo di mia madre e presi a scuoterlo piangendo un fiume infinito di lacrime amare. La scuotevo, come se stesse solamente dormendo, come se si sarebbe alzata e saremmo tornati a casa insieme, dimenticando quei momenti di crudele paura. Ma, nel profondo, ero consapevole che questo non sarebbe accaduto.
    Mi rannicchiai e presi a piangere, coprendomi il viso con le mani.
    <<eccolo quì!>> gridò l'uomo, entusiasta per il successo. Presi a fissarlo. Non avrei mai più potuto essere consolato da una figura materna. Non avrei mai più subito una ramanzina per essere tornato a casa tardi. Sarei rimasto da solo per sempre...
    Mi intristii ancor di più... Ma quella prospettiva mi fece arrabbiare, oltre ogni umana immaginazione. Serrai i denti fino a sentire la mascella scricchiolare; strinsi i pugni fino a sentire le unghie penetrarmi nella carne e presi a respirare pesantemente, riuscendo a malapena a trattenermi dal gridare. <<uccidetelo>> ordinò quello che mi torreggiava davanti; il soldato alla mia destra caricò il suo fucile d'assalto e me lo puntò alla testa. Non ci feci caso. Non riuscii più a trattenermi: gridai. Gridai così forte da farmi male alla gola; fu in questo frangente che accadde qualcosa: sentii i capelli venire tirati verso l'alto, mentre una specie di fiamma dorata mi appariva attorno. Mi alzai in piedi, continuando a gridare. Ad un tratto smisi di sgolarmi. I sette uomini attorno a me mi fissavano attoniti, ma quello incaricato di uccidermi non si mosse; <<muori, piccolo pezzo di...>> non fece mai in tempo a terminare la frase, che mi voltai verso di lui e la follia controllò le mie azioni: mi scagliai contro di lui, sferrandogli un pugno in pieno addome. La potenza dell'impatto spinse all'indietro il nemico, facendolo andare a sbattere violentemente contro il muro dietro di lui. Crollò a terra, inerme. Mi fermai e mi guardai le mani, sorprendendomi per la mia stessa ormai temibile potenza.
    <<fuoco!!>> gridarono tutti gli altri insieme e presero a spararmi all'impazzata. Mi voltai verso di loro e cominciai a correre, riuscendo, più con mia sorpresa che loro, a schivare tutti i proiettili. Colpii quello più vicino con un pugno alla testa, sfondandone il cranio e provocando un'esplosione di sangue; feci una giravolta e colpii quello dietro di me con un calcio al petto, scagliandolo chissà dove. Uccisi il quarto torcendone il collo, mentre il quinto morì a causa del fuoco incrociato.
    Tornai in piedi e guardai verso gli ultimi due: avevano chiamato i rinforzi e stavano fuggendo a bordo di un elicottero. Da lì, l'uomo dai capelli neri mi fece un sarcastico segno di saluto e chiuse il portello del velivolo... il quale puntò verso casa mia... e vi scagliò un missile. Colpita la costruzione, l'esplosione si scatenò, causando una potentissima onda d'urto che mi fece cadere.
    Tossii ed aprii gli occhi: la fiamma dorata che mi aveva avvolto il corpo era sparita e sentivo i capelli tornati al loro posto. Mi alzai di scatto e corsi da mia madre: grazie al cielo, l'esplosione non aveva corrotto la sua salma.
    Ripresi a piangere silenziosamente, più disperato che mai...
    Mia madre non c'era più...
    Casa mia era distrutta...
    Un esercito di uomini mi dava la caccia...
    ...
    ...
    ...
    ... Cosa potevo fare?

    Edited by SilvioShine - 15/9/2014, 14:01
     
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  3. Aori
     
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    Tragica :_: apparte ciò, non ho capito la similitudine della montagna che sovrasta la collina..
    Errori grammaticali come per esempio nella sest'ultima riga.. Corroso e non corrotto..

    Ottimo lavoro!
     
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    per montagna che sovrasta la collina intendo dire che i dubbi erano così tanti rispetto alle certezze che sembrava di nuotarcisi dentro. Invece il cosiddetto errore tra corroso e corrotto, so che il primo può suonare meglio, ma anche corrotto va più che bene.
    Molte grazie per i complimenti!
     
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  5. Luxario02
     
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    Epica. Sei bravissimo ma sul serio mi fai descrizioni bellissime. Però una sola domanda si è trasformato in una specie di Super Sayan alla fine?
     
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    precisamente ;)
     
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  7. Luxario02
     
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    Ahahahahahaha!!!
     
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    CAPITOLO 2
    NUOVA SPERANZA

    Feci l'unica cosa che rientrava nelle mie possibilità: dopo aver sepolto mia madre, raccolsi tutto ciò che era sopravvissuto all'esplosione e che poteva tornarmi minimamente utile, per poi buttarlo in uno zaino, mettermelo in spalla e mettermi in viaggio. L'unico mio desiderio era di mettere quanta più distanza possibile tra me e quel luogo, attorno al quale, ormai, aleggiava un'aria di sofferente desolazione e di abbandono. Non ero l'unico a non riuscire a sopportare la vista di quelle mura diroccate, ricordo di morte e sangue.

    ***



    Trascorsi sette lunghi anni lontano dalla mia vecchia casa; sette anni passati a viaggiare, addestrarmi, sopravvivere... a resistere alla solitudine... a tentare di non sprofondare nella disperazione...

    Tuttavia, alla fine, decisi di tornare a Wine Hill. Magari per ricominciare una vita dignitosa e smettere, una volta per tutte, di girovagare inutilmente per il mondo.

    Osservavo la mia cittadina di origine dalla cima di uno degli edifici più alti. Fui lieto di notare che, nonostante fosse trascorso tutto quel tempo dall'ultima volta che l'avevo veduta, poco o nulla era cambiato: la vita di tutti gli abitanti procedeva con calma, come se gli avvenimenti succedutisi anni prima non avessero mai fatto parte del loro passato. Ma non era così, ne ero sicuro.
    Mi ersi in tutta la mia statura, stando facilmente in equilibrio sul cornicione del palazzo. I miei vestiti, piuttosto malmessi, vennero tormentati dal vento, come i miei capelli, i quali avrei dovuto tagliare presto. Guardai in basso: le automobili e le motociclette sfrecciavano veloci sulle strade di Wine Hill, confondendosi in informi macchioline colorate. A trenta metri dal suolo potevo facilmente scorgere ogni luogo, o quasi; a quell'altezza, quand'ero più giovane, mi sarei sicuramente spaventato, piangendo e urlando di voler scendere da lì. Ora, invece, dopo un addestramento massacrante, quella distanza non mi faceva né caldo né freddo: era come stare sulla terraferma.
    Guardai il tetto di fronte a me e rimasi abbagliato dalla luce del crepuscolo; mi schermai gli occhi e, nel vedere il panorama che mi si presentava davanti, rimasi a bocca aperta: Wine Hill era un luogo che si affacciava sul mare al lato ovest, mentre era fiancheggiato dalle montagne al lato est e, in quell'istante, il sole si specchiava nell'oceano, creando un gioco di luce arancione che avrebbe fatto impallidire qualsiasi artista vivente.
    Era la prima volta che squadravo la città da un punto simile e mi pentii di non averlo mai potuto fare prima.
    Mi è mancato questo posto... dissi tra me e me, felice di essere finalmente tornato al mio luogo di origine; presi una grossa boccata d'aria fresca, godendomi la brezza generatasi in quell'istante. Tornai a guardare il tetto dinanzi a me e sorrisi: era ora di tornare a casa.
    Piegai le ginocchia, caricandone i muscoli; dunque spiccai un agile salto che mi proiettò fino all'altro palazzo. Una volta atterrato, presi a correre a tutta velocità, per poi saltare nuovamente; tuttavia, calcolai male le distanze e non riuscii a raggiungere la mia meta: rischiavo di andare a sbattere contro il muro. Sbuffai e porsi i piedi dinanzi a me; l'impatto avvenne. In fretta, presi a concentrarmi con tutte le mie forze.
    Era da un pò che non facevo quella pratica, quindi dovetti sforzarmi più di quanto avessi voluto; nonostante ciò, riuscii nel mio intento: i miei piedi rimasero perfettamente fissati al muro, come se la gravità fosse improvvisamente rivoltatasi.
    Dovrei esercitarmi di più... pensai, vedendo il piede sinistro staccarsi improvvisamente dal vincolo, facendomi prendere un colpo. Allora, prima di finire a terra, presi a correre verso l'alto. Sentivo che presto non sarei più riuscito a scalare la parete, quindi mi obbligai a correre più velocemente possibile, ignorando le urla di dolore dei miei muscoli. Raggiunta la cima, non mi arrampicai sul tetto, ma eseguii un altro salto, oltrepassando l'intero palazzo, per poi cominciare a planare con l'ausilio di un'altra delle mie nuove abilità.
    Stetti così per dieci minuti abbondanti, scrutando la città dall'alto, svolazzando tranquillamente tra gli edifici. Quando, però, cominciò a fare buio, presi a scendere di quota, cercando al contempo il quartiere dove si trovava casa mia. Non ci misi molto, ma la zona era cambiata drasticamente: molte abitazioni erano state abbattute per fare spazio ad altri edifici, come un dojo o un supermercato. Ma fu un'altra cosa ad impressionarmi di più: in fondo allo spiazzo, poco oltre la strada, vi erano le rovine carbonizzate di quella che era il tetto che io e mia madre dividevamo.
    Atterrai proprio davanti l'edificio, spalancando gli occhi nel notare che le sue mura erano state vandalizzate con scritte fatte con lo spray. E non erano le opere di semplici writer. Su ogni singolo spazio disponibile, erano stati scritti insulti gravissimi indirizzati a me e alla mia famiglia.
    Tentai di non darci peso e cominciai ad analizzare le condizioni complessive della struttura; ma non era finita lì... Notando un muro ancora in piedi, mi avvicinai per vederlo meglio... Ma quando lo feci, desiderai non averlo mai fatto: dipinto con parsimonia, sulla murata sud di quella che in origine era casa mia, vi era un decenne Silvio Shine, ricoperto di sangue e con un ghigno malevolo stampato in volto. Reggeva un cartello con su scritto "ASSASSINO" a caratteri cubitali. Persi le staffe e colpii il muro con un pugno, facendolo crollare senza sforzo. Mi considerano responsabile...
    Mi calmai e cominciai a rimuginare su cosa avrei potuto fare per migliorare la mia situazione...

    ***



    Dopo due mesi di lavoro pressocchè ininterrotto, terminai il lavoro di restauro. Avevo dovuto rubare parecchi materiali, ma la casa era venuta su che una meraviglia.
    Tuttavia, viverci da solo era piuttosto opprimente.
    Magari, se tornassi a scuola e terminassi gli studi potrei migliorare la mia situazione...

    Il giorno dopo, feci il giro dell'intera città alla ricerca di un liceo che potesse accettarmi, ma, fino ad allora, ricevetti solo ed esclusivamente rifiuti, poichè per i presidi "insegnare ad un ragazzino dalla forza sovrumana" era assolutamente inaccettabile. Dopo avermi urlato questa frase in faccia almeno sei volte, mi mandavano sempre via con qualche altro insulto per addolcirmi la pillola. Così mi ritrovai a girare sconsolato per le strade di Wine Hill, perdendo a mano a mano la speranza; prendendo la strada di casa, tuttavia, notai un istituto alla mia destra. Ci pensai un attimo, ma alla fine mi decisi di provare per un'ultima volta.
    <<buongiorno!>> salutai entrando nella segreteria, <<buongiorno a te, ragazzo>> rispose allegramente una professoressa che lavorava dietro una scrivania poco oltre la porta d'ingresso, <<sei stato mandato quì dal tuo insegnante? Ti sei cacciato nei guai?>> chiese poi; mi ci hanno buttato qualche anno fa, nei guai, pensai, già decidendo che la sua eccessiva spensieratezza, e sicuramente una conseguente inettitudine, mi davano sui nervi.
    <<attualmente>> ripresi assumendo un atteggiamento educato, <<sono quì per iscrivermi a questo istituto>>; la professoressa rimase visibilmente sorpresa. Si riscosse e tirò prontamente fuori un modulo da compilare, <<molto bene!>> disse, <<devi solo riempirmi queste scartoffie e sarai subito uno dei nostri>>. Mi si drizzarono i capelli sulla nuca: la sua voce era di un fastidioso indicibile. Mi costrinsi a sorridere; dunque mi avvicinai, presi il modulo e cominciai a compilarlo con una penna rimediata da un portamatite li vicino.
    Terminato il lavoro di scrittura, consegnai il documento; la professoressa lo lesse con grande attenzione e inserì tutti i dati riportativi in un computer. Attesi pazientemente, osservando il cielo sereno da fuori la finestra, fantasticando e ricordando le avventure che avevo avuto durante quei quattro anni d'assenza...
    <<ecco fatto!>> esclamò la prof. facendomi trasalire; << Silvio Shine, sii il benvenuto nel nostro istituto! La tua classe è la quarta della sezione "D">>
    Ringraziai e mi affrettai ad abbandonare quella stanza.
    Dopo qualche decina di minuti passata a cercare la mia aula, finalmente potei entrare e prendere parte alla lezione. <<ragazzi>> annunciò l'insegnante, <<da oggi avrete un nuovo compagno di classe. Presentati, prego!>>; mi ritrovai a stare in piedi dinanzi a venticinque ragazzi, più o meno della mia stessa età. Mi sentii arrossire, poichè quella situazione si era presentata ben poche volte durante la mia vita. Presi un profondo respiro e mi misi sull'attenti; <<il mio nome è Silvio Shine>> dissi, cercando di dimostrarmi di personalità forte, <<ho diciassette anni e spero di farmi nuovi amici, tra di voi>>, ci fu un istante di puro silenzio, durante il quale nemmeno il ronzio di una mosca si sarebbe potuto sentire chiaramente; poi, dal fondo dell'aula, si levò una voce: <<hai detto Shine?>>, <<sì>> risposi con tono più amichevole possibile, e quello prese a ridere a crepapelle, <<ma allora>> riprese trattenendo a malapena un altro attacco di ilarità, <<sei uno di quegli sfigati che sono stati tutti uccisi quattro anni fa>> alle sue risa si unirono quelle degli altri alunni; <<come vedi sono ancora vivo e vegeto>> gli feci notare.
    Il giovane smise un attimo di ridere e ribattè: <<oh, questo lo so! Infatti lo sappiamo tutti che sei stato tu a sterminare tutti i tuoi cari!>> e riprese ad insultarmi con accuse ancor più colorite. Abbassai il capo. Non era la prima volta che venivo accusato apertamente di quel fatto, ma non così. Nessuno si era mai divertito tanto alla faccia mia, per quella pesantissima perdita... Fu allora che mi resi conto di una cosa: gli insulti non si sarebbero fermati lì, anzi, sarebbero continuati e sfociati in azioni di gran lunga peggiori... Ero maledetto... Ero il "Carnefice di Wine Hill"....

    ***



    Tre mesi. A malapena, ero riuscito a sopportare tre mesi di inferno, in quella classe maledetta. Gli insegnanti, invece, sembravano accettarmi, all'inizio, ma dopo un pò cominciarono anche loro ad infierire... a godere della mia sofferenza... e io non potevo fare altro se non nutrire il mio odio più profondo verso ogni singola forma di vita presente all'interno di quell'edificio. Il senso di solitudine mi corrodeva dall'interno e più di una volta pensai al suicidio... ma la coscienza me ne risentiva...

    Fu un importante avvenimento a salvarmi.
    Quel giorno uscii da scuola molto tardi, a causa di un rientro pomeridiano. Appena oltrepassato l'uscio, alzai lo sguardo al cielo per non inveire contro un gruppo di idioti che si era raccolto lì per darmi contro. Ignorando le loro risate di scherno, mi avviai verso casa, dove avrei studiato, cucinato e preparatomi per il giorno successivo. Nuova alba, altre cinque ore di sopportazione mentale.
    Arrivato nello spiazzo di casa mia, mi fermai un attimo. Era scesa la notte. I grilli avevano da poco incominciato il loro ritmico concerto serale; poggiai le spalle ad un muro e misi le mani in tasca, volgendo lo sguardo al cielo: le stelle ricambiavano indifferenti il mio sguardo. L'aria fredda della notte mi fece rabbrividire; ogni volta che lo vedevo, non potevo fare a meno di notare quanto egregiamente si era ripreso quel quartiere. Tuttavia, tutti i suoi abitanti mi temevano, come se avrei dovuto ucciderli da un momento all'altro, anche perchè mi consideravano anche loro, ormai, come il Carnefice, il responsabile della scomparsa di tutti gli Shine. Forse era meglio così, mi dicevo per consolarmi, in quel modo non avrei avuto nessuno tra i piedi.
    Sospirai e alla fine mi decisi a levare le spalle dal muro e ad incamminarmi verso la porta d'ingresso. Tirai fuori le chiavi dalla tasca, facendole tintinnare come delle minuscole campanelle argentate; inserii quella giusta nella toppa della porta ma, proprio quando stavo girando la maniglia, mi fermai di botto: grazie al mio addestramento ero capace di percepire la presenza, o più comunemente l'aura, di una persona, riuscendone a distinguere sesso, età ed emozioni; in quel momento, percepivo l'aura di una giovane donna all'interno dell'abitazione. Scossi il capo. Sarà la stanchezza... mi dissi e feci per aprire completamente la porta d'ingresso. Accadde tutto in pochi istanti: la porta si aprì all'improvviso, tirandomi via; persi l'equilibrio e qualcosa mi colpì violentemente alla bocca. L'impatto mi fece balzare all'indietro. Temendo un secondo colpo, eseguii tre salti mortali all'indietro, per poi fermarmi a distanza di sicurezza. Poggiai il ginocchio destro a terra, mentre tenevo la mano sinistra poggiata su quello ad essa corrisposto. Guardai chi mi aveva colpito: avevo ragione a pensare che quella dentro casa fosse una ragazza; sembrava avere ventiquattro anni. Aveva lunghissimi capelli biondi e un viso dolcemente arrotondato in corrispondenza del mento. I suoi intensi occhi erano di un azzurro penetrante... proprio come quelli di... no, era impossibile.
    Mi asciugai la bocca con il dorso della mano destra e sputai un grumo di sangue rappreso in terra. Mi rialzai lentamente e abbozzai una posizione di guardia; <<chi sei?>> chiesi con la voce vibrante di rabbia. La giovane donna rise, più per scherno che per divertimento; <<chi sono io?>> fece poi, <<chi sei tu?! Cosa avevi intenzione di fare, entrando in casa mia, eh?>>, mi accigliai ancor di più. Mancava poco prima che perdessi la pazienza.
    Presi fiato per ribattere, ma non riuscii a proferire parola: la ragazza mi puntò contro una sfera bianca e rossa, con una specie di pulsante al centro. <<garchomp, allontanalo!>> sbottò lei e la sfera si aprì, liberando, in un accecante lampo di luce bianca, un drago bipede dalle squame dorsali di colore blu notte, mentre quelle sul ventre erano rosse. Era alto il doppio di me ed era molto minaccioso. questo è davvero un pokémon? La mia reazione fu di assumere immediatamente una posizione di guardia vera e propria. Il pokémon ghignò e tentò di fendermi con il suo artiglio della zampa superiore destra. Rapidamente, mi piegai in avanti e balzai a sinistra, passando sotto il braccio dell'avversario; approfittando dello slancio, sferrai un potente colpo all'addome del drago con il gomito destro, facendolo indietreggiare. Questi riprovò a colpirmi con l'artiglio sinistro: lo evitai come feci con il destro, subito dopo scattai verso di lui, poggiai il piede destro sull'articolazione della sua zampa sinistra e presi lo slancio per un salto. Da lì, precipitai, sferrando un poderoso pugno al muso del Garchomp, mandandolo subito al tappeto.
    << E resta giù!>> sibilai per poi voltarmi verso la ragazza; cominciai subito a caricare lo slancio iniziale. << Aspetta!>> sbottò quella e, a sentire la sua voce terrorizzata, mi bloccai, ricordando a chi somigliava: mia madre. Ero scettico; era impossibile, non poteva essere...
    Mi calmai e mi rimisi in piedi. << Hai detto che questa è casa tua>> dissi poi, <<lo è davvero?>>, lei, dopo aver fatto ritornare magicamente il drago nella sua sfera, annuì. <<e' casa di mia madre>> rispose, abbassai lo sguardo per un istante: allora lo è davvero...
    << E come si chiama?>> la giovane sorrise, <<spero che la tua sia solo curiosità>> disse, <<il suo nome è Catherine Shine>>, abbozzai un sorriso nel sentirla pronunciare il nome di mia madre; <<e ora sto aspettando che mio fratello torni da scuola. E' strano che ci stia mettendo tanto>>
    <<e lui? Come si chiama?>> chiesi di nuovo, <<silvio Shine>>; sospirai, <<e tu, invece?>>, <<quante domande!>> si lamentò, però poi rispose: <<il mio nome è Camilla Shine. Piacere di conoscerti... Ora toccherebbe a te presentarti>>, sorrisi, <<non credo ce ne sia bisogno>> dissi, <<quella dietro di te è casa mia>> la guardai negli occhi, << Catherine Shine era mia madre>>, allargai le braccia, per mostrare a Camilla cosa ero, <<e il mio nome è Silvio Shine... sono tuo fratello...>>
    Mi sentii venire trascinato in un soffice e caldo abbraccio; non seppi come reagire, dal momento che quello era un rituale al quale non ero più abituato. Quando Camilla mi lasciò andare, mi prese il viso tra le mani e mi disse: <<hai detto che Catherine "era" tua madre... vuoi dire che...>> annuii con le lacrime agli occhi; ella sospirò, dando un accenno di pianto, e mi prese sotto braccio, <<andiamo dentro, ci sono tante cose che mi devi raccontare>>

    Quegli ultimi mesi erano stati un inferno, ma non me ne importava più nulla: avevo una nuova ragione di vita.

    poteva venire meglio, spero mi perdoniate ^^"


    Edited by SilvioShine - 26/7/2015, 14:49
     
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  9. edward_beck
     
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    Bellissima :*_*: ho quasi pianto quando la madre stava per morire :sad:
    Troppo bella
     
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  10. edward_beck
     
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    È meravigliosa :*_*: continua così complimenti
     
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  11.  
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    Qual è l'ultima cosa che un morto vede con gli occhi di un vivo? ...La luce...

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    CAPITOLO 3
    ARMI PER COMBATTERE

    Rivelare a Camilla gli avvenimenti di sette anni prima, nonostante mi avesse fatto tornare alla mente dei pessimi ricordi, tutto sommato mi fece bene: avere qualcuno ad ascoltarmi parlare e che fosse capace di capire come mi fossi sentito dopo la morte di Catherine e durante tutti quei mesi e mesi di solitudine.
    Le raccontai tutto, senza tralasciare assolutamente nulla: le spiegai cosa avevo sentito e provato prima del momento fatidico; le descrissi l'aspetto fisico dell'assassino, esponendo il mio diretto giudizio riguardante la sua condizione mentale; le parlai della mia misteriosa trasformazione; le raccontai tutti gli eventi più interessanti succedutisi durante l'addestramento. Mi aprii completamente con lei e, una volta esaurita anche la mia ultima parola, mi sentii come liberato da un peso inimmaginabile, leggero come uno spirito. Finalmente qualcun altro, oltre a me, era conscio delle mie avventure e disavventure.
    Camilla, dal canto suo, non aveva passato una vita migliore della mia. Era stata abbandonata dai nostri genitori quando aveva solo dieci anni; da allora aveva girovagato nella regione di Sinnoh, decidendo alla fine di diventare un'Allenatrice. Si allenò per lunghi anni, conquistando vittorie su vittorie, catturando pokémon che per lei erano divenuti importanti amici e potenti alleati. Finendo, poi, per combattere nella Lega Pokémon, un importantissimo torneo durante il quale si decide l'Allenatore più potente della regione; Camilla sbaragliò tutti i suoi avversari, vincendo la Lega a sedici anni e conquistando il titolo di Campionessa più giovane della storia.
    Ma la domanda che mi assillava era tutt'altra: per quale motivo Catherine e Robert abbandonarono loro figlia, essendo consapevoli che con sarebbe sopravvissuta? Erano davvero capaci di tale crudeltà?
    <<sono contenta di rivederti dopo tutto questo tempo>> disse mentre le mostravo la stanza dove poteva alloggiare, <<sai, l'ultima volta che ti ho visto avevi appena due settimane>> la ragazza sorrise, <<eri così carino>>. Non appena mi sentii arrossire, mi affrettai ad augurarle la buona notte e a scappare nella mia camera da letto.

    ***



    Un anno dopo aver conosciuto Camilla, le nostre vite continuavano senza che particolari avvenimenti arrivassero a disturbare la nostra tranquillità.
    Chiusi l'armadietto del bagno e mi guardai allo specchio. Le differenze rispetto a otto anni prima erano enormi: i capelli erano più lunghi e ordinati, tuttavia il colore non era cambiato ed erano castani, proprio come dovevano essere; gli occhi, neri, ormai non erano quelli di un bambino spaventato, ma quelli di un guerriero pronto a tutto; il naso era un sottile, mentre i lineamenti del volto erano spigolosi in corrispondenza del mento e della mandibola, confermando il mio ingresso nell'adolescenza. Guardai il mio riflesso un'ultima volta e sospirai: era il mio compleanno, il diciottesimo, e Camilla era sparita nel nulla, lasciandomi semplicemente un bigliettino sul suo letto con su scritto: ci vediamo stasera. Camilla
    <<gran bella festa...>> dissi tra me e me mentre salivo le scale ed entravo in camera mia, deciso, ormai, a terminare i compiti per l'indomani. Ma non feci in tempo a terminare due equazioni che sentii tamburellare sulla mia porta. Esasperato, dissi sarcasticamente: <<ma chi sarà mai? Entra pure, o misterioso forestiero!>>. La bionda venticinquenne fece capolino dal corridoio: era raggiante, nonostante sapesse perfettamente che ero molto infastidito dal fatto che se ne fosse andata anche dopo avermi promesso di festeggiare il mio compleanno insieme. <<vieni in salotto>> disse con una nota di divertimento nella voce; le rivolsi uno sguardo interrogativo, ma si limitò semplicemente a ripetere la frase. Sbuffai e abbandonai nuovamente la penna sui libri, per poi raggiungere mia sorella.
    Appena scesi le scale, guardai subito a destra, dove si trovava il salotto, e la mia prima reazione fu di sgomento, subito dopo di grande sorpresa: il fragile tavolino di vetro, posizionato davanti ad un candido divano, era colmo di pacchi regalo; ce n'era anche una scatola lunga e molto stretta, che sembrava essere molto pesante. Ancora sconvolto da quella visione, entrai nella stanza, dove trovai anche Camilla in piedi dinanzi al cumulo di doni e che mi rivolgeva un ampio e caldo sorriso. <<ma quale negozio hai rapinato?>> chiesi mentre mi sedevo sul divano e continuavo a scrutare la scatola lunga; la ragazza rise alla mia battuta, <<nessuno!>> esclamò, <<sono tutti per te! Buon compleanno, fratellino!>>. Mi vergognai molto, in realtà: per il suo ultimo compleanno, alla ragazza non avevo regalato assolutamente nulla; mi limitai semplicemente a dedicarle una canzone, poichè era l'unico pensiero che rientrava nelle mie possibilità. Guardai mia sorella, imbarazzato, <<sei sicura di voler spendere tanto per me?>> le chiesi, adocchiando continuamente quel cumulo di oggetti, <<dopotutto, il mio regalo per i tuoi venticinque anni faceva ribrezzo...>>, <<non dire stupidaggini>> mi interruppe, abbracciandomi, <<ho adorato quella canzone. Non hai nulla di cui vergognarti!>>
    Arrossii e distolsi lo sguardo, <<se lo dici tu...>> farfugliai. <<forza>> mi esortò poi, <<cominciamo ad aprire un pò di roba!>>; tornatomi il sorriso, agguantai il primo pacchetto, una scatola grossa quanto un pugno e lunga tre. Scartai ed aprii: conteneva tre sfere uguali a quella che Camilla usava per il suo Grachomp; tre pokéball. <<contengono un Chimchar>> disse lei indicando la sfera a destra, <<un Piplup>> quella al centro, <<e un Turtwig>> quella a sinistra, <<tutti tuoi!>> spalancai gli occhi: avevo ottenuto la bellezza di tre pokémon in un colpo solo. Ringraziai la giovane, incapace di esprimermi completamente.
    Presi il secondo pacco, questo, però, era parecchio grande e leggero; sembrava contenere dei vestiti. E di fatto, ne conteneva: una felpa nera con i dettagli, come le cuciture delle tasche e i risvolti delle maniche, erano completamente bianchi; l'aspetto che subito saltava all'occhio era che il tessuto era estremamente leggero. Ero sicuro che con quella indosso, l'attrito con l'aria durante la corsa e i combattimenti non avrebbe contato nulla. Con estremo piacere, notai che quello era un completo, con tanto di pantaloni e scarpe. Camilla si riscosse e prese qualcosa sepolto sotto i regali; <<a quelli si abbina questa>> e mi porse una fascia da fronte, completamente nera con su stampata in bianco una runa che non seppi riconoscere. Lo chiesi alla Campionessa, ma quella si rifiutò dicendo: <<dovrai scoprirlo da solo>> sospirai, e mi costrinsi a concentrarmi sul mio lavoro di apertura.
    Il prossimo pacco era molto piccolo e, scuotendolo, si poteva sentire uno sbatacchio di plastica contro plastica provenire dal suo interno. Incuriosito, mi affrettai ad aprire: era una specie di orologio digitale dal polso, con lo schermo molto largo, quasi quanto il mio avambraccio; <<questo>> prese a spiegare Camilla, <<è un Pokékron serie quattromila. E' ancora un prototipo, ma dovrebbe andare bene>> quasi mi pentii di averlo scosso nella sua scatola, lo posai delicatamente sul tavolino, temendo di fare altri danni. Mi schiarii nervosamente la voce, mentre trasferivo una scatola molto larga sulle mie ginocchia: al suo interno, scoprii, vi era un set di pokéball vuote da venticinque unità.

    Timidamente, allungai la mano verso il penultimo pacco, che era una busta da lettere, abbastanza piena, dall'aspetto, ma Camilla mi fermò dicendomi: <<aspetta>>; la guardai, chiedendomi cosa volesse. <<prima di aprire gli ultimi due, vorrei che facessi una scelta>> e si alzò, per poi dirigersi al centro del salotto: il suo elegante completo nero faceva un curioso contrasto con la moquette bianca. La ragazza tirò fuori tre pokèball e liberò i loro rispettivi pokémon all'interno della stanza; <<puoi scegliere un ultimo pokémon tra quelli che vedi quì>> annunciò, <<sono un Growlithe>> indicò un cagnolino dal pelo rosso tigrato, seduto educatamente sul pavimento e che mi guardava scodinzolando; <<un Electrike>> indicò un altro pokémon assomigliante a un cane verdognolo, che in quel momento rotolava sulla moquette, rilasciando delle piccole scariche elettriche. <<e un Riolu>> l'ultimo mostriciattolo era alto poco meno di un metro; anche lui assolmigliava vagamente a un cane, ma in forma antropomorfa. Aveva gli occhi di un rosso acceso; il pelo attorno agli occhi era nero, come le orecchie e le zampe posteriori che usava come gambe, mentre tutto tutto il resto, tranne una striscia nera sul petto, era completamente azzurro. Sui fianchi, il pelo si rigonfiava, formando quelli che sembravano dei pantaloncini. Il suo aspetto mi piacque subito, ma fu la sua aura ad impressionarmi, dal momento che era quasi identica alla mia. Mi avvicinai al Riolu e lo guardai intensamente negli occhi; fui lieto di notare che il piccolo non batteva ciglio. Sorrisi. <<riolu>> gli dissi, <<sento che tra di noi c'è una certa affinità e sono convinto che saremo ottimi amici... Ti piacerebbe diventare uno dei miei pokémon?>> il pokémon fece un gran sorriso e annuì con energia. Allora mi rivolsi a Camilla: <<ho deciso>> e lei mi consegnò la pokéball in questione, per poi far ritornare gli altri due nelle loro.
    Mi sedetti nuovamente sul divano, con Riolu a sinistra e Camilla a destra, e presi la busta che avevo adocchiato prima di venire interrotto: conteneva cinquemila Zeny, moneta usata nella regione di Sinnoh.
    <<lo apri o no?>> mi fece Camilla vedendomi esitare dinanzi alla famosa scatola lunga e piatta; lo sapevo che avrei dovuto aprirla, ma non potevo fare a meno di chiedermi che cosa avrebbe potuto contenere... <<e muoviti un pò!>> sbottò lei e mi buttò il pacco sull'addome, svuotandomi i polmoni. Le scoccai un'occhiataccia mentre prendevo il regalo tra le mani e lo tastavo, nella speranza di intuire cosa contenesse. Al diavolo!, dissi alla fine e, con mani tremanti d'emozione, disfeci il nastro. Quando sollevai il coperchio, rimasi sconcertato: era una spada, ma decisamente non una spada da collezione, bensì un'arma fatta apposta per i combattimenti. Il fodero era in noce annerito, con su agganciata una grossa cinghia di cuoio, in modo da poter essere fissato al fianco oppure sulle spalle; terminava con una punta in acciaio al fine di proteggerlo dall'usura e dagli urti. Tirai fuori l'arma bianca dalla scatola e mi alzai nuovamente. Riolu e Camilla mi osservavano in silenzio religioso. Con un gesto solenne, aprii le braccia fino ad averle perpendicolari al corpo. La spada nella mano sinistra. Lentamente, portai entrambe le mani fin sopra la testa; chiusi gli occhi e afferrai saldamente l'elsa con la mano destra. Inspirai profondamente, ed espirando sguainai la lama fino alla punta.
    Muovendomi con rapidità lasciai cadere la guaina per terra e portai la spada fin sotto l'occhio destro, impugnandola con entrambe le mani. Piegai le ginocchia e rimasi così per diverso tempo. L'impugnatura era allungata, rendendo l'opera di forgiatura un'arma a una mano e mezza; la lama era lunga sessanta centimetri e larga dieci in direzione della guardia crociata, che somigliava a una coppia di zampe di ragno direzionate verso la punta. La base della lama, inoltre, era seghettata per i primi quindici centimetri, facendone intuire subito lo scopo: mutilare con la massima efficacia. Cambiai subito posizione ed eseguii una stoccata davanti a me; seguii la lama e colpii un nemico immaginario con un colpo di pomolo che sicuramente lo avrebbe mandato a terra stordito. Scatenai due fendenti laterali e terminai con una giravolta e un ultimo fendente alto; atterrai in ginocchio: quella spada era perfetta per me.
    Mi rialzai e raccolsi il fodero. Rinfoderai l'arma bianca e rivolsi un sorriso a Camilla, che però mi osservava improvvisamente seria; <<come avrai capito>> spiegò, <<ti sto facendo dono di questi oggetti non solo per farti un piacere, ma affinchè tu possa venire a Sinnoh e affrontarmi in una lotta ufficiale. Da troppo tempo, ormai, sono stata la Campionessa. E' ora di far largo alle future generazioni>> assunse un'espressione agguerrita, <<ma non credere che ci andrò piano solo perchè siamo fratelli. Avrai pane per i tuoi denti!>>; sbuffai, concedendomi un momento di spavalderia, <<non ce ne sarà bisogno. Ti affronteremo con tutte le nostre forze e cadrai sotto i nostri innumerevoli colpi>> ghignai, <<giusto, Riolu?>> il pokémon annuì energicamente.

    ***



    Il giorno dopo mi svegliai di buon'ora: la luce del sole filtrava attraverso la finestra della mia stanza, illuminando la mia libreria di un'aura dorata, quasi che la stella avesse voluto sfogliare le pagine di una delle opere letterarie in mio possesso. Riolu dormiva accanto a me, ignorando qualsiasi cosa non riguardasse i suoi sogni, i quali, in quegli ultimi minuti, sembravano essere particolarmente allegri. Mi alzai piano, senza svegliare il piccolo pokémon, e incominciai a prepararmi per andare a scuola.
    Dopo essermi lavato e aver raccolto tutti i libri che mi sarebbero serviti durante quella particolare giornata, lasciai un biglietto sul frigo per comunicare a Camilla che avrebbe trovato la sua colazione nel forno, come facevo ogni mattina, e mi incamminai verso l'edificio scolastico.
    Nonostante il cielo fosse sereno, il vento era insopportabilmente ghiacciato e avevo addirittura dimenticato di indossare un giubbotto. Arrivai a scuola di corsa, in modo da riuscire a riscaldarmi; funzionò, ma ero arrivato un pò troppo presto, quindi ero costretto ad attendere per un'altra mezz'ora.
    Mentre ripassavo l'argomento richiesto a un'interrogazione, dall'altra parte del cortile d'ingresso si generò l'urlo di una ragazza. Un urlo straziante, misto di paura e dolore. Mi si drizzarono i capelli sulla nuca; guardai nella direzione dalla quale sarebbe dovuto arrivare lo straziante verso di gola: un enorme capannello di curiosi stava assistendo a quello che doveva essere uno spettacolo molto piacevole... Ma con persone come loro, per piacevole si poteva liberamente intendere "sadico".
    Mi avvicinai, facendomi largo a gomitate. Una volta arrivato in fondo, vidi quello che giudicai negli anni a venire uno degli eventi più raccapriccianti e disonorevoli per l'uomo che avessi mai potuto scorgere: quattro ragazzi stavano picchiando una ragazza di due anni più giovane di loro. Era terrorizzata. E, mentre tentava di proteggersi con le braccia dai calci di uno di quei maledetti, guardava la folla, in cerca di qualcuno che potesse soccorrerla. Ma un fatto importante che le sfuggiva era che nessuno aiutava nessuno in quella scuola, se non per far soffrire di più un determinato bersaglio. Nei suoi occhi riconobbi la disperazione, anche tutti gli altri fecero altrettanto, ma altro non si limitarono a fare se non ridere ancor più di gusto al sentire le grida di dolore di quella giovane. Mi guardò, con gli occhi colmi di lacrime; sul viso aveva un sanguinolento solco di carne scoperta. Le ingiustizie di quel tipo erano quelle che mi davano di più sui nervi. Mi avvicinai a uno dei quattro: era troppo impegnato ad incitare gli altri tre per fare caso a me. Eseguii una falciata bassa, mandandolo a gambe all'aria; proprio mentre stava per toccare terra, gli pestai l'addome, causando così un impatto molto più violento. Era evidentemente svenuto. Altri due si accorsero di me: quello a sinistra voleva colpirmi a pugni, mentre quello a destra con una mazza da baseball. Fu quest'ultimo ad attaccare per primo: semplicemente scartai verso sinistra, evitandone il colpo, subito dopo gli strappai la mazza dalle mani e gliela spaccai sulla testa. Il terzo intervenne tempestivamente, tentando di colpirmi al viso con un gancio destro. Gli afferrai il polso alla massima estensione dell'arto con la mano sinistra, mentre con la destra lo colpivo con un pugno dritto al naso, rompendoglielo subito; fatto questo, feci leva sul braccio che gli avevo bloccato, mandandolo a terra, e lo finii con un ultimo colpo allo zigomo destro, stordendolo.
    L'ultimo non si era accorto di nulla, impegnato com'era a pestare le braccia della sua vittima. <<ehi, tu!>> gli feci, toccandogli la spalla. Si girò di scatto, sferrando un diretto sinistro, che prontamente schivai inclinando la testa da un lato. Deviai due ganci, sia da sinistra che da destra, per poi afferrargli un braccio e fare rapidamente pressione, spezzandoglielo. Ululò di dolore. Ma non fece in tempo a soffrire per davvero, che già gli spazzavo le gambe e lo sbattevo a terra. <<impara a conoscere il dolore, inutile creatura, prima di pensare di essere degno di poterlo infliggere!>> gli sussurrai all'orecchio. Mi alzai lentamente; stavo per perdere la pazienza. <<c'è nessun altro?>> chiesi. Nessuno rispose. <<c'E' NESSUN ALTRO?!>> gridai di nuovo alla folla, che mi fissò sbigottita, ma neanche questa volta si levò voce oltre alla mia. <<come pensavo>> dissi, <<quando siete convinti di essere superiori, la vostra bocca diventa una voragine infernale, ma quando capite che c'è qualcuno capace di contraddirvi sia con le parole che con i fatti, diventate niente di più di un agnellino spaventato>>.
    Mi avvicinai alla ragazza e, dolcemente, le dissi: <<vieni, appoggiati a me. Ti aiuterò io. Fidati>>, la giovane, con il terrore ancora dipinto in faccia, accettò a farsi prendere sotto braccio e a farsi accompagnare in infermeria.
    Una volta lì, venne medicata, ma lo shock emotivo ci avrebbe messo molto di più a svanire del tutto. <<come ti chiami?>> le chiesi mentre la accompagnavo nella nostra classe, alla quale mi aveva detto di essere stata assegnata. <<l... Lucinda... D... Dawn...>> disse timidamente; sorrisi, <<è uno splendido nome>> commentai, <<il mio, invece, è Silvio Shine. E' un onore fare la tua conoscenza>> e per la prima volta da quando l'avevo vista, riuscii a strapparle un sorriso. La guardai meglio: aveva i capelli lunghi fino alle spalle, curatissimi e neri, proprio come gli occhi, ancora offuscati dalla paura. Il suo fisico era piuttosto minuto, facendola sembrare più giovane di quanto fosse.
    Fortunatamente, gran parte della giornata era trascorsa senza avvenimenti degni di nota. Nel frattempo raccontai a Lucinda come riuscissi a capire la sua sensazione di rifiuto da parte degli altri, com'ero stato soprannominato degli infami presenti in quella classe e come ero riuscito a sopportarli per tutto quel tempo. La ragazza riuscì a rallegrarsi, alla fine, anche se sembrava provare ancora acuto dolore al viso e alle braccia; nulla che un pò di sano riposo non avrebbe potuto curare.
    Ormai, per terminare la giornata, mancava solamente un'ora, ovvero quella che si potrebbe considerare la più piacevole. Non appena il professore fu entrato, ci alzammo tutti quanti, in segno di saluto. <<e questo cosa insegna?>> mi sussurrò Lucinda, <<educazione fisica>> risposi di rimando, <<anche se ultimamente è più "sport estremi">>; la ragazza assunse un'espressione sconvolta, <<tranquilla, non sei obbligata a partecipare>>. La ragazza sospirò di sollievo.
    Dopo dieci interminabili minuti di baccano, riuscimmo ad entrare nella grossa palestra scolastica dove si sarebbe svolta la lezione. Lucinda si mise sugli spalti ad osservare noialtri riscaldarci; quando il professore chiamo i ragazzi attorno a sè. <<molto bene!>> disse battendo le mani, <<siete pronti a dimostrare di essere dei veri uomini?>>, gli alunni - salvo me- risposero con un unanime "SI!", <> ci guardò, serio, come se avesse voluto farci una specie di sorpresa, <<combattimento uno contro uno!>> i ragazzi esultarono, battendo i piedi a terra e agitando i pugni in aria.
    <<bene, bene! Decidiamo subito il primo incontro...>> ci pensò, <<dal momento che qui a scuola ha combinato un gran bel casino, il primo sarà Shine>> tutti si misero a ridere nel sentire il professore pronunciare il mio cognome con evidente sdegno, <<e si farà dare una bella lezioncina dal nostro Edward, d'accordo?>>, <<d'accordissimo!>> rispose Edward, ovvero il ragazzo che mi aveva dato dell'assassino il mio primo giorno. <<forza, tutti sugli spalti a goderci il massacro! Buona fortuna e tutt'e due!>> disse poi indicando me: <<ma servirà più a te che a lui>>, sbuffai d'impazienza.
    Ci mettemmo uno di fronte all'altro; prontamente assunsi la mia tipica posizione di guardia. Edward, invece, mi indicò e mi schernì, scatenando l'ilarità dell'intera classe, professore compreso. Eccolo lì, alla fine. La persona che mi ha causato più sofferenze di chiunque altro durante i due anni scolastici ai quali avevo partecipato. La ragione del mio odio verso l'intera classe: Edward Iceberg.
    L'avversario mi si scagliò tempestivamente contro, pronto ad attaccare con il classico gancio destro, lanciandomi uno sguardo per dire: "se ti faccio male, dimmelo". Strinsi i denti e fermai il suo pugno, senza alcuna difficoltà; lo tirai a me, costringendolo a starmi vicinissimo, <<ora vedremo chi è il verme, qui!>>. A gran velocità sferrai una potente gomitata sinistra al suo naso, costringendolo a tenerselo per il dolore, subito dopo gli sferrai un pugno destro all'addome. Crollò a terra, tossendo violentemente. Mi chinai sopra di lui e gli dissi: <<meglio smettere ora, giusto?>> e mi voltai per andarmene.
    <<dove vai?!>> gridò lui, <<torni da quella sgualdrina di tua madre? Ah, già! Dimenticavo che l'hai uccisa, insieme a tutti quegli inutili sacchi di letame dei tuo parenti>> mi fermai di botto. Non può continuare in questo modo...pensai e mi voltai di scatto: Edward era già in piedi, pronto, a sua detta, a ricominciare. Mi ci scagliai contro con tutta la mia potenza, e gli sferrai un potentissimo diretto destro: sentii ogni singolo osso del suo volto spaccarsi poco oltre le mie nocche, e la sua pelle deformarsi e avvolgere la mia mano. L'impatto fu di una potenza tale da scagliare via la vittima e inchiodarla al muro.
    Due obiettivi in un solo giorno: trovare un amico e vendicarmi dei torti subìti.

    Edited by SilvioShine - 26/7/2015, 14:52
     
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    CAPITOLO 4
    PARTENZE

    Dopo quel combattimento, Edward non si fece vedere a scuola per diverse settimane. Il preside, invece, una volta venuto a sapere dell'accaduto, decise di licenziare il professore di educazione fisica, temendo per altri incidenti simili. Ma io sapevo che non era stato un incidente, anzi, fosse stato per me avrei continuato fino a che quel maledetto si fosse ridotto a un'informe poltiglia sanguinolenta. Quando raccontai l'accaduto a Camilla, lei mi rimproverò per essere stato tanto irresponsabile; stavamo pranzando e io punzecchiavo la mia bistecca con la forchetta, mentre mia sorella mi esponeva tutte le possibili conseguenze delle mie azioni, mi rammentava quanto fossi stupido ed esprimeva le sue serie preoccupazioni per il ragazzo che aveva avuto la sfortuna di affrontarmi. <<chissà quanto ci metterà a ristabilirsi!>> sbottò nuovamente la ragazza, <<credi che lui avrebbe fatto lo stesso, a te?!>>; le scoccai uno sguardo di fuoco e battei il pugno sul tavolo; Riolu e gli altri miei pokémon ci guardarono spaventati. Mi dispiacque molto distogliere la loro attenzione dal loro pasto, ma quella cosa andava chiarita. <<capisco che tu sia convinta che Edward sia un bravo ragazzo>> le dissi, <<ma devi accettare la realtà e credermi quando ti dico che quel "bravo ragazzo" è in realtà un infame, un verme, un dannato pronto a far soffrire il primo debole di cuore che gli capita a tiro!>>, <<ma tu non sei debole!>> ribatté Camilla puntandomi l'indice contro, <<sei la persona più forte che io conosca! Non puoi permettere loro di provocarti...>>; <<ti assicuro che non avranno più il coraggio di farlo!>> sibilai con lo sguardo abbassato. Le mani congiunte a pugno e messe davanti alla bocca, dandomi un'aria tremendamente seria. La Campionessa mi sorprese ridendo di gusto; la guardai confuso. <<sei decisamente mio fratello!>> disse alla fine, risi anch'io e tornammo a mangiare, riappacificati.

    Il giorno dopo, che era domenica, decisi di allenarmi un pò con la spada che da poco mi era stata donata, e, finalmente, saggiare le abilità dei miei mostriciattoli tascabili. Uscii di casa alle sette del mattino, con il fodero dell'arma nella mano sinistra e le pokéball di cui avevo bisogno nella destra. Scesi in giardino, lì avrei avuto tutto lo spazio che desideravo. Il luogo era tranquillo e soleggiato; l'erba del praticello si muoveva pigramente a contatto con la brezza. Il silenzio era dominante. Le rose che Camilla aveva deciso di coltivare stavano godendosi il piacevolissimo calore proveniente dal cielo. Posai le sfere sul pavimento della veranda e mi misi al centro del prato. Indossavo nient'altro che un paio di pantaloni da vento, leggerissimi, e delle scarpe che usavo spesso per allenarmi. Il torso nudo subito percepì la calda luce solare; sospirai e, a occhi chiusi, rivolsi il volto al cielo in modo da rilassarmi e svuotare la mente, poichè, curiosamente, non pensando a nulla riuscivo a combattere in maniera più fluida e complicata. Anche se non era affatto semplice.
    Ancora con lo sguardo cieco rivolto al sole, indossai il fodero della spada a tracolla e strinsi la cinghia all'altezza del petto. Alla fine, lentamente, tornai a guardare dinanzi a me; la mia immaginazione fece il suo lavoro: ero circondato da abili nemici armati, pronti ad ingaggiare una lotta furibonda con il sottoscritto. Respirando profondamente e con la lentezza mistica di un monaco, mi misi in posizione di guardia. Dopo un momento, colpii il nemico davanti a me con un pugno in scatto, eseguii una giravolta e colpii quello a destra con un calcio al viso, facendolo girare su se stesso. Gli altri contrattaccarono con i manganelli. Uno arrivò da destra tenendo l'arma sopra la testa; lo evitai scansandomi di lato e quello cadde lungo disteso. Ne disarmai un altro e lo colpii al viso con l'oggetto stesso per due volte, per poi piantarglielo nella tempia di traverso. Mi voltai e, come se il tempo stesse improvvisamente rallentando, allungai la mano verso l'elsa della spada e ne sguainai la lama, producendo una lunga e vibrante nota cristallina. Con la spada poggiata sulla spalla, piegai le ginocchia e mi lanciai all'attacco. Con rapidi fendenti massacrai decine e decine di nemici, confondendo tutto quanto in un turbinio di sangue e membra mutilate; bloccai un colpo con il pomolo, e con un fendente circolare mozzai il braccio del fantastico malcapitato...
    <<silvio!>> mi richiamò qualcuno; all'istante persi la concentrazione e tutti i nemici svanirono. Persi la presa della spada e quella volò via, piantandosi vibrando nella staccionata delimitante il giardino. Sbuffai, irritato da quell'interruzione. <<si può sapere cosa stai facendo?>> mi chiese Camilla avvicinandosi con uno sguardo severo; sospirai. <<non ci si può più neanche allenare, ora?>> le chiesi di rimando e mi feci scricchiolare il collo, <<allenarsi si>> rispose lei, controllando lo stato delle sue amate rose, <<non mulinare la spada a caso, come se fossi impazzito>> mi concessi una risatina, <<a caso? Per tua informazione, ho studiato arti marziali per quattro anni quindi so perfettamente come impugnare una lama>>, <<se lo dici tu...>> bofonchiò.
    Non potendo allenarmi con la spada, liberai i miei pokémon, per poi cominciare a pensare come fare a testare le loro capacità. Piplup, Turtwig e Chimchar giocavano assieme, stando attenti ai fiori di Camilla, che già li aveva rimproverati; Riolu, invece, stava seduto accanto a me, tutto serio, e mi osservava come se fosse stato ansioso di capire come sarebbe proceduto il loro addestramento. Era un gran bel grattacapo.
    <<vuoi una mano?>> mi chiese la Campionessa mentre mi porgeva un bel bicchiere di limonata e mi si sedeva accanto; bevvi qualche sorso, felice di idratare finalmente la gola riarsa. Mi asciugai un angolo della bocca con il dorso della mano, <<che intendi dire?>> dissi mentre concedevo un pò di bevanda a Riolu; Camilla bevve e rispose: <<potrei aiutare te e i tuoi pokémon con una lotta>>, <<varrebbe a dire affrontarmi con i tuoi?>>, la ragazza annuì. Ci pensai un attimo: combattere con Camilla sarebbe un ottimo allenamento... Ma è la Campionessa di Sinnoh, dopotutto, non ho speranze di fare il solletico ad uno solo dei suoi pokémon, figuriamoci tutti e sei...
    ...
    ...
    ...
    ... Al diavolo! Facciamolo!
    Mi rivolsi a mia sorella, che attendeva una risposta. <<ci sto!>> le dissi, sorridendo, risoluto; Riolu e gli altri pokémon mi guardarono attoniti, increduli alle mie parole. Camilla sorrise, evidentemente compiaciuta. <<molto bene!>> disse, <<cominciamo subito!>>.

    Ci posizionammo a venti metri l'uno dall'altra, in modo da rispettare le dimensioni di un campo lotta regolamentare. <<potrai usare tutti i pokémon che vorrai>> disse la Campionessa, <<io userò solamente Garchomp>>; sospirai, <<forza, Chimchar! Cominciamo!>> lo schimpanzè rosso si fece avanti, nonostante l'esitazione iniziale. <<garchomp, vieni fuori!>> il drago scuro atterrò sul prato, sollevando un grosso polverone, e ruggì ferocemente, lasciando sgomenti tutti i miei pokémon, tranne Riolu che si costrinse a rimanere fermo al suo posto.
    <<attacca pure per primo!>> mi concesse la ragazza; <<cominciamo subito! Chimchar, Graffio!>> il tipo Fuoco si scagliò contro il suo avversario e prese a graffiarlo al ventre con i suoi artigli. Continuò ad infierire per quelli che parvero minuti interi ma, quando ebbe terminato l'attacco, Garchomp ci rivolse un inquietante sorriso: l'attacco non l'aveva neanche sentito. <<dragartigli!>> sbottò Camilla e il suo compagno spiccò un altissimo balzo e, mentre cominciava a ridiscendere in picchiata, il suo artiglio destro si illuminò di energia rossastra. Sentii l'aura del dragone crescere a dismisura mentre caricava un colpo che sarebbe risultato devastante.
    <<chimchar, evitalo!>> lo shimpanzè fece appena in tempo a buttarsi e rotolare di lato, che il suo avversario finì a colpire il suolo, causando un gigantesco e profondissimo squarcio nell'erba. Rimasi a bocca aperta: un pokémon addestrato per così tanto tempo poteva davvero raggiungere una potenza simile? Se era così, ero più che disposto ad impegnarmi con tutto me stesso pur di far diventare i miei compagni delle vere e proprie leggende. Strinsi i denti e ordinai: <> Chimchar saltò sulla testa di Garchomp e cominciò a tempestarlo di braci fiammeggianti; quest'ultimo, però, si limitò a chiudere gli occhi per schermarli dal calore e, quando li riaprì, semplicemente si scrollò il mio pokémon di dosso. Il tipo Fuoco cadde in avanti e per un instante rimase sospeso in aria proprio davanti agli occhi del drago; <<lacerazione!>> ordinò Camilla.
    Oh, no... pensai.
    Il pokémon Caverna colpì il suo minuscolo bersaglio con un fendente dall'alto verso il basso, inchiodandolo in un cratere grande quanto il suo corpicino. Feci rientrare Chimchar nella sua pokéball, augurandogli un buon riposo. Guardai Camilla: era tranquilla, serena, senza alcuna preoccupazione. Per lei, non rappresentavo alcuna minaccia; ero poco più di una mosca che infastidisce un drago. Quasi letteralmente, in quel caso.
    <<piplup, abbi coraggio! Tocca a te!>> dissi al pinguino, il quale, con grandissima spavalderia, si battè una pinna sul petto e si posizionò davanti a Garchomp; <<proviamoci...>> sospirai, <<vai con Bolla!>> e il mio pokémon generò alcune bolle dal suo minuscolo becco e le scagliò contro l'avversario... E lo colpì in piena testa... ma non sarebbe stato sufficiente.
    <<ira di Drago!>> il dragone inspirò profondamente ed accumulò energia tra le fauci, che prontamente si illuminarono di abbagliante luce azzurra. Subito dopo lanciò un potente raggio di energia; Piplup non volle muoversi, anzi, preferì farsi colpire in pieno. << SEI IMPAZZITO?!>> gli gridai, mentre volava via a causa dell'impatto con la mossa nemica. Sospirai di esasperazione e feci ritornare il piccolo nella sua pokéball.
    <<turtwig, te la senti?>> chiesi alla tartarughina; quando annuì, lo sospinsi nel campo lotta. Tuttavia, non feci in tempo neanche a pronunciare neanche un ordine, che già Garchomp fissava Turtwig dritto negli occhi, a meno di venti centimetri di distanza; <<lanciafiamme!>> ordinò Camilla, e il povero pokémon Fogliolina si ritrovò circondato da un insopportabile inferno di fiamme. E non ne uscì incolume.
    Il respiro mi si fece affannoso dalla frustrazione: non ero riuscito a fare assolutamente nulla; la forza di una Campionessa era insuperabile, sconsolante... Schiacciante...
    Mi sentii tirare i pantaloni un paio di volte. Mi voltai: Riolu mi fissava con uno sguardo di supplica. <<vuoi combattere davvero?>> gli chiesi e il piccolo annuì prontamente. Se c'era qualcuno di cui potevo fidarmi, quello era Riolu; con il suo aiuto, ero sicuro di riuscire a dare del filo da torcere a Garchomp e Camilla. Sorrisi. Sì, ce l'avrei fatta. Ce l'avremmo fatta.
    <<riolu, diamoci dentro!>> il pokémon aura si fece avanti e prese a fissare il suo avversario con occhi di fuoco. Camilla, dall'altra parte del campo, sorrise compiaciuta di vederci così agguerriti. <<prendilo!>> gridai e Riolu assaltò Garchomp, correndo a grandissima velocità. <<dragartigli!>> il drago tentò di colpire il suo piccolo avversario mentre gli passava davanti, ma avevamo previsto entrambi quella eventualità; <<giu'!>> gridai e il pokémon scivolò, oltrepassando in questo modo il mostruoso dragone passandogli sotto le zampe ed evitandone l'attacco. <<ora torna su!>> Riolu, mentre ancora si muoveva, afferrò la coda di Garchomp e, sfruttandola come vincolo, si proiettò in alto, finendo fin sopra la testa di quest'ultimo. <<contrattacca!>> sbottò la Campionessa, e il suo pokémon tentò di obbedire, ma il suo artiglio destro, quello appena usato per attaccare, era rimasto bloccato nel terreno e gli impediva di muoversi; dovevo cogliere quell'occasione al volo. <<attacco Rapido!>> ordinai tempestivamente e il pokémon aura si scagliò contro il muso di Garchomp e lo colpì con un poderoso calcio, che lo scagliò, anche se per breve distanza, nella direzione opposta, liberandone anche l'artiglio.
    Riolu si allontanò con qualche saltello e si scagliò nuovamente contro il suo bersaglio. <<di nuovo! Dragartigli!>> Garchomp nuovamente sferrò il suo colpo; sorrisi: era proprio quello che volevo. <<riolu, sfrutta il suo braccio!>> e il piccolo, mentre era in volo, afferrò l'artiglio del drago con le zampe, senza ferirsi, dunque si arrampicò sul suo arto e lo risalì fino alla testa. Lì, poggiò la sua zampa sinistra proprio sul naso di Garchomp. Era un tattica così improvvisa che sia lui che Camilla rimasero sgomenti; <<palmoforza!>> ordinai e la mano di Riolu esplose di luce dorata, scagliando via il pokémon di mia sorella fin dall'altra parte del campo lotta.
    Garchomp si rialzò, furibondo, pronto a riprendere con la lotta; <<basta così!>> lo fermò Camilla con un gesto della mano e lo fece rientrare nella sua pokéball. Abbracciai Riolu, <<amico, sei fortissimo!>> gli dissi e quello sorrise per il complimento; <<non solo lui>> intervenne la Campionessa, <<ma anche tu hai dimostrato di essere molto abile>> toccò a me sorridere. <<ora però>> e tornò seria, <<ci alleneremo così ogni giorno, così potrai migliorare prima di partire per Sinnoh>>, <<non così spesso>> la interruppi, <<ti ricordo che tra un mese ho gli esami: ho bisogno di studiare>>
    <<troveremo una soluzione>>

    ***



    Tre settimane dopo, tutto procedeva a meraviglia, tra studio e allenamenti, nonchè i preparativi per la mia imminente partenza per Sinnoh.
    Tutti i miei pokémon erano diventati molto più forti, e resistevano per parecchio più tempo non solo contro Garchomp, ma anche contro tutti gli altri.
    Quel giorno si sarebbero avviati gli esami scritti. Tutti attendevamo con ansia il momento in cui avremmo dovuto mettere mano alle penne e sfruttare le nostre abilità. Alla fine, non vi furono assolutamente problemi: l'esame era fattibilissimo.

    Il giorno in cui, invece, sarebbero cominciate le prove orali, i problemi si facevano un pò più grossolani. Lucinda faceva parte del primo turno di interrogazioni. Quella mattina, come avevo promesso alla ragazza, attesi davanti alla classe dove si sarebbe dovuta svolgere la fatidica prova. Dopo una mezz'ora, vidi Lucinda arrivare trafelata; la guardai, chiedendomi la ragione per cui si fosse vestita di tutta fretta. <<mi sono svegliata tardi>> spiegò cercando di riprendere fiato, <<e sono riuscita a malapena a pettinarmi i capelli per bene>>. Agitai una mano per farle perdere l'argomento, <<va bene, va bene!>> le dissi in tono piuttosto severo, <<hai portato gli appunti? Hai ripassato la tesina?>>, <<certo che sì! Ho studiato fino a...>>
    <<shine!>> mi sentii chiamare. Dietro Lucinda stava camminando nella mia direzione, nessun altri che Edward Iceberg, facente anche lui parte del primo turno. <<che ci fai qui?>> sbottò e mi spinse con fare arrogante, <<non mi va di vedere la tua faccia prima di dover svolgere l'esame!>>; <<oh, e sono sicuro che andrai benissimo!>> commentai sarcasticamente. Quello perse la pazienza e mi sferrò un pugno; semplicemente mi scansai e finì per colpire il muro dietro di me, sbucciandosi le nocche a sangue. Mi rivolsi nuovamente a Lucinda; <<in bocca al lupo! Fa' vedere loro chi sei!>> la ragazza mi ringraziò e corse dentro l'aula per cominciare la prova.

    Quattro ore più tardi, Lucinda uscì, sembrava impallidita. Non mi stupii: era ovvio uscire sconvolti da un esame, e lo sapevo per esperienza diretta. <<silvio...>> disse, ora sembrava molto giù, <<devo parlarti>>.

    <<davvero?>> le chiesi, scioccato dalla rivelazione: da lì a una settimana, lei, l'unica amica che avessi mai avuto, avrebbe traslocato in una regione lontana, che, però, si rifiutava di nominare. <<sì...>> rispose. Stavamo passeggiando sul lungomare di Wine Hill; era il tramonto. Camminammo così per parecchio tempo, godendoci la compagnia dell'altro come meglio potevamo, poichè quelle erano le ultime ore che avremmo passato insieme.
    Quando la serata terminò, quasi mi venne da piangere nell'abbandonare quella ragazza. <<addio...>> le dissi, rivolgendole un solenne inchino mentre tornava a casa, come un cavaliere faceva con la sua regina... Era il minimo che potessi fare...

    Passò un mese... Toccava a me... Il mio viaggio, quello vero, stava per cominciare...
     
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    Qual è l'ultima cosa che un morto vede con gli occhi di un vivo? ...La luce...

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    CAPITOLO 5
    DUEFOGLIE

    Lentamente, aprii gli occhi.
    Ero nel mio letto, rilassato, ma triste. Molto triste. Notai che avevo gli occhi bagnati: evidentemente avevo pianto nel sonno. E il motivo era piuttosto evidente: incubi.
    Sospirai e mi costrinsi a mettermi a sedere; Riolu, come al solito, dormiva beatamente, con una calma imperturbabile. Come lo invidiavo, talvolta.
    Mi alzai dal letto e guardai fuori dalla finestra: dalla posizione del sole, dovevano essere le nove del mattino. Molto bene, mi dissi mentre mi stiracchiavo, andiamo a prepararci...
    Scesi in bagno e mi feci una bella doccia bollente, come piaceva a me e, subito dopo, presi a preparare la colazione. Mi fermai di botto mentre stavo per cominciare a cucinare la porzione per Camilla, ricordando che anche lei era partita la sera prima dopo avermi detto: "io devo tornare a Sinnoh, ci rivedremo lì!"; sbuffai d'impazienza per la grave mancanza di spiegazioni da parte della Campionessa bionda. Una volta mangiato, e fatto altrettanto con i pokémon, tornai al piano di sopra, nella mia stanza, dove presi il completo regalatomi per il mio compleanno, per poi cominciare ad indossarlo; quel che avevo pensato la prima volta che avevo toccato quei vestiti aveva appena trovato conferma: erano leggeri come l'acqua.
    Quando indossai il fodero della spada, mi venne un dubbio. Se indosso anche lo zaino in questo modo, starò scomodissimo... Allora legai l'arma bianca al retro della bisaccia; la differenza si notò immediatamente e l'intralcio nei movimenti si era ridotto al minimo. Sorrisi e mi tolsi lo zaino per cominciare a riempirlo di tutto ciò di cui avrei avuto bisogno durante la mia curiosa campagna: pokéball, pozioni, antidoti, antiparalisi, qualche bacca, del cibo per entrambi, acqua, cure mediche per me e qualche attrezzo personale, così per essere sicuri di avere qualche arma in più.
    <<ragazzi! E' ora di andare!>> dissi ad alta voce mentre scendevo le scale e indossavo un paio di guanti in pelle senza-dita; trovai tutti e quattro i miei pokémon davanti alla porta d'ingresso, ad attendermi. Riolu si agitava dall'impazienza. Sorrisi; <<forza, rientrate nelle vostre pokéball>> e i piccoli obbedirono con poche lamentele. Indossai il Pokékron sul polso sinistro e lo accesi: subito segnò l'ora esatta e la temperatura attuale. <<molto bene...>> sussurrai; mi avvicinai alla porta ma indugiai con la mano sulla maniglia. Guardai alle mie spalle: per undici anni avevo vissuto in quella casa... Ma, evidentemente, il destino aveva deciso altrimenti; non che mi dispiacesse così tanto, per la verità. Mettermi in viaggio con amici fedeli come i pokémon sarebbe stata un'esperienza importantissima per la mia giovane vita. Presi un profondo respiro e aprii la porta: il sole mi scaldò il viso e la fascia da fronte che avevo indossato mi tenne i capelli fermi quando una brezza fresca me li scompigliò. Alla fine uscii, chiusi la porta, e mi incamminai verso il porto, poichè di prendere l'aereo non ci pensavo neanche; a questo punto, avrei potuto arrivare a Sinnoh volando per conto mio, grazie ad un'altra delle mie nuove abilità.

    <<buongiorno!>> salutai la signorina al bancone di vendita biglietti; <<dimmi pure>> rispose lei. <<un biglietto per Sinnoh, grazie>> dissi porgendole il denaro necessario. <<sei da solo?>>
    <<sì>>
    <<ecco qui, uno per Sinnoh. La nave parte tra cinque minuti dal molo sette>> disse la ragazza indicandomi l'imbarcazione; chinai il capo nella sua direzione per ringraziarla e presi il biglietto, per poi prendere posto nella nave.

    ***



    Ci vollero tre giorni per riuscire ad arrivare a destinazione, ovvero il porto di Sabbiafine.
    Alzai lo sguardo e osservai il cielo, una volta sceso dalla nave: non c'era neanche una nuvola in cielo e il sole infieriva su tutto ciò che vi stava al disotto. Riportai lo sguardo sulla città. I palazzi erano davvero pochi, il che mi faceva intuire che vi abitavano al massimo cinquemila abitanti.
    Non ci feci caso e mi incamminai verso una costruzione estremamente importante per un Allenatore: un Centro Pokémon; tuttavia, non avendone mai visto uno, la ricerca era piuttosto ardua. Chiesi in giro e tutti coloro ai quali rivolsi la mia domanda, diedero la medesima risposta: <<nella parte più a sud troverai un palazzo molto ampio, con porte automatiche e una grossa "P" al neon montata in cima, quello è il Centro di Sabbiafine>>, e di fatti era proprio così.
    Entrato, notai immediatamente l'allegria che aleggiava in quel posto, tra Allenatori che chiacchieravano allegramente tra di loro, o bambini che giocavano con i pokémon dei loro amici, o altri ancora che litigavano per qualche motivo. Mi avvicinai al bancone, dove un'infermiera stava spiegando qualcosa di importante ad un ragazzo preoccupato; quando quello se ne fu andato attirai l'attenzione della ragazza. <<ciao!>> mi salutò, <<sei nuovo di Sabbiafine?>>, <<sì, esatto>> risposi sorridendo. <<hai bisogno di qualcosa?>> mi chiese poi assumendo un'espressione di estrema gentilezza e io annuii, <<vorrei sapere dove si trova la città più vicina, sai com'è, ho appena cominciato il mio viaggio e mi piacerebbe conoscere un pò di posti, prima di cominciare ad accumulare Medaglie>>. La ragazza indicò un punto su una mappa della regione alle sue spalle. <<potresti raggiungere la città ad ovest di quì! E' un luogo tranquillo, come questo, ma molto più ampio ed abitato. Sono sicura che ti piacerà!>>; la ringraziai e feci per andarmene, ma lei mi fermò nuovamente. <<aspetta!>> esclamò, <<almeno lo possiedi un Portamedaglie?>> ci pensai un attimo, e, ora che ricordavo, le risposi che no, non ne possedevo uno. Allora l'infermiera sparì dietro al bancone e, dopo qualche secondo, si rialzò, porgendomi un astuccio in plastica di colore rosso acceso. Lo presi tra le mani e lo aprii: all'interno c'era un morbido cuscinetto nero che presentava otto minuscoli spazi, in righe di quattro, all'interno dei quali potevano essere inserite le Medaglie ottenute in giro per la regione. Otto Medaglie concedevano il diritto di partecipare al torneo della Lega di Sinnoh e, una volta vinto questo, la possibilità di affrontare il Campione, o Campionessa, in questo caso.
    Chiusi il Portamedaglie e lo misi in una tasca protetta dello zaino. <<la ringrazio del suo tempo>> dissi alla ragazza ed uscii dall'edificio.
    Dunque... pensai, ha detto ad ovest... bene, mettiamoci in cammino...

    ***



    Non ci misi molto. Mezza giornata di cammino ed ero già giunto a destinazione.
    Un anno prima Camilla mi parlava delle mie origini. "Non sei nato a Wine Hill", mi diceva, "le tue origini risalgono a tutt'altro luogo, al di fuori di questa regione. Sei stato portato quì quando avevi appena un anno, tuttavia ne ignoro le ragioni"
    Ero in cima ad un palazzo ed osservavo la città. Gli occhi schermati dal sole.
    "Probabilmente vedrai questo posto quando sarai un pò più grande di ora"
    Il vento era piuttosto forte. Ero chinato su un ginocchio e scrutavo le persone che si aggiravano indaffarate per in marciapiedi.
    "E' un luogo di estrema tranquillità, vicino ad una foresta"
    Mi alzai in piedi e guardai verso l'orizzonte, dove le costruzioni ancora continuavano.
    "Questa città si chiama... Duefoglie!"
     
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  14. Luxario02
     
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    Che bello!!! Sei partito per il tuo viaggio!!! E hai anche preso il Medagliere!!!!

    Edited by Luxario - 11/6/2014, 03:06
     
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  15. Thedarkofspeed
     
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    User deleted


    Bella Zio
     
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29 replies since 11/5/2014, 18:17   838 views
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